Ansar al Islam – by Marco Lombardi per Limes 1/2004

Fino agli ultimi mesi del 2003 si poteva considerare Ansar Al Islam come un gruppo terrorista del fondamentalismo islamico relativamente poco conosciuto dal grande pubblico. Infatti, sono stati soprattutto gli arresti effettuati a Milano nel novembre di quell’anno a rivelare le connessioni tra una diffusa rete di reclutatori operativa nel nostro Paese e, appunto, Ansar Al Islam operativo, almeno per tradizione, nel Kurdistan iraqeno.

Le pagine che seguono, dunque, si pongono l’obiettivo di fare il punto intorno a questa organizzazione, con particolare attenzione alle sue connessioni con Al Qaeda, e ai possibili scenari futuri, utilizzando una serie di informazioni da me raccolte sul campo, durante una missione di studio in Iraq svolta tra l’agosto e il settembre 2003. Partita da Amman per Baghdad, la missione si è concentrata tra le città di Erbil, Kirkuk e Sulaimani, permettendo ampi movimenti nell’area controllata dal Partito dell’Unione Kurda (PUK) fino ai confini con l’Iran. Tra le numerose interviste[1], quelle più significative rispetto al tema qui trattato e a cui farò ampio riferimento nel seguito, sono state raccolte in colloqui privati con Barham Salih primo ministro del PUK; Didar Khalid Khaled e Keis Abu Assim, entrambi terroristi di Ansar Al Islam; Sarkout Hasan Jalal, responsabile dei servizi di sicurezza a Sulaimani e Rizgar Ali, responsabile del PUK a Kirkuk.

Il contesto di riferimento: Kurdistan Iraqeno

Ansar Al Islam nasce nel contesto tradizionalmente problematico e difficile del Kurdistan Iraqeno: la terra dei Medi dove, sull’alto e medio corso del Tigri e dell’Eufrate, la Bibbia collocava l’Eden, il paradiso terrestre. In qualche modo il Kurdistan è la culla della civiltà, situata nella lunga striscia che corre al confine fra Turchia, Iran, Iraq e Siria: i quattro stati che nel 1923 si videro assegnare dalle potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale altrettante frazioni dell’unità territoriale, linguistica e storico-culturale kurda. Da allora il popolo kurdo ha utilizzato diverse forme di lotta per ricostituire uno stato nazionale proprio, fino all’esperienza della Repubblica di Mahabad (1946) nel Kurdistan iraniano. Ma di fatto fino al 1992, cioè fino a dopo la Prima Guerra del Golfo, in Kurdistan non sono mai state possibili iniziative legali volte a dare autonomia e rappresentazione politica e statuale alla popolazione kurda. Il  19 maggio 1992, dunque,  si svolsero elezioni a suffragio universale nell’area autonoma del Kurdistan iraqeno, che rappresentarono la prima esperienza di procedure democratiche di una intera comunità. Vi parteciparono tutti i gruppi politici del Fronte del Kurdistan iraqeno, con lo scopo di nominare il Parlamento della regione autonoma. PDK (Partito Democratico del Kurdistan) e PUK (Partito dell’Unione Patriottica del Kurdistan), i partiti principali, ottennero rispettivamente il 45%  e il 43,6% dei voti, i partiti minori non raggiunsero il quorum stabilito. Il Parlamento divise i seggi al 50% tra i due partiti. L’atmosfera di ricostruzione e pace che aveva regnato durante il processo elettorale cessò quasi subito, per collassare definitivamente nel 1994 con lo scoppio di nuovi scontri tra PDK e PUK. I programmi elettorali di entrambi i partiti si erano concentrati soprattutto sulla ridefinizione amministrativa del territorio e sulla divisione delle entrate provenienti dalla frontiera con la Turchia, e questi furono anche i punti di divergenza che, insieme ad altre motivazioni di carattere politico e sociale, determinarono la ripresa degli scontri.  In seguito agli scontri dell’inverno 1993-94 e del maggio 1994, il governo francese promosse a Parigi alcuni incontri tra i rappresentanti di PDK e PUK[2].

Ma già all’indomani degli accordi gli scontri tra le avverse fazioni ripresero e proseguirono fino all’inizio dei colloqui di Ankara (1996), che si protrassero in diversi round fino al settembre 1997. Essi videro protagonisti Jalal Talabani, rappresentante del PUK, e Massoud Barzani, rappresentante del PDK, e si concentrarono su questioni militari più che amministrative.  Ma nuovamente la situazione degenerò in nuovi scontri. Durante questi scontri il PDK fu sostenuto dalla Turchia e il PUK dall’Iran. L’Iraq, temendo una sempre maggiore presenza dell’esercito turco nel suo territorio, propose alle parti di organizzare colloqui di pace sotto la supervisione di Baghdad, ma anche questo tentativo fallì. Il 17 settembre 1998, dopo numerosi altri incontri tra una delegazione statunitense e i rappresentanti kurdi, insieme al Ministero degli Esteri turco, sono stati siglati a Washington gli ultimi accordi, firmati di pugno da Barzani e Talabani[3]. Di fatto il paese si è trovato diviso in due, con una duplice amministrazione statale basata a Mosul per il PDK e a Sulaimani per il PUK. E’ poi il precipitare degli eventi internazionali che sembra favorire un riavvicinamento tra le parti, infatti gli uomini del terrorismo internazionale di Al Qaeda “hanno cominciato a fare battaglie contro di noi, perché prima dell’attacco all’Afghanistan avevano deciso di pronunciare la Jihad contro il governo regionale del Kurdistan, cacciare via il PUK con l’aiuto di 6-7000 arabi e afghani provenienti, a piccoli  gruppi, dall’Afghanistan e creare qui una grande forza e cacciare via le autorità kurde per fondare un emirato islamico in Kurdistan. Ma l’attacco Usa in Afghanistan, dopo l’11 settembre, ha sgretolato il loro programma” (Sarkout Hasan Jalal, responsabile dei servizi sicurezza di Sulaimani). In seguito il Governo Regionale Kurdo ha appoggiato l’intervento alleato in Iraq, garantendo una certa stabilità al fronte nord e, soprattutto, partecipando attivamente agli interventi con le truppe speciali americane che, tra febbraio e marzo 2003, hanno attaccato ed eliminato le basi di Ansar Al Islam collocate nella zona nord orientale dell’Iraq. Sicuramente, sia il contributo militare dei peshmerga kurdi sia dell’ “intelligence” locale non estranea alla più recente cattura di Saddam Hussein peserà sul piatto della negoziazione politica del futuro assetto del Kurdistan iraqeno. Oggi, anche la doppia amministrazione PUK/PDK ha avviato fattive forme di collaborazione sia all’interno della nuova coalizione di governo iraqena sia con l’informale costituirsi della città di Erbil a potenziale capitale di un Kurdistan riunificato, nella prospettiva di prossime elezioni politiche: “ora che Saddam è andato via, noi dobbiamo fare di più per il nostro popolo: ecco perché dobbiamo riunire le amministrazioni, organizzare presto le elezioni per il Parlamento come da voi. Insomma fare quanto dichiariamo! Io nutro speranza per la riunificazione delle amministrazioni e sto giusto scambiando indicazioni e suggerimenti con i miei colleghi del PDK, ho proprio la speranza che tale riunificazione si faccia” (Barham Salih,Primo Ministro del governo kurdo del PUK, Sulaimani).

Ansar Al Islam: la storia del movimento

Ansar Al Islam nasce in Kurdistan iraqeno, nel settembre 2001, coagulando intorno a se una molteplicità di movimenti, quale risultato degli ultimi 10 anni di storia delle organizzazioni islamiche estremiste nell’area e con dirette connessioni con la dimensione internazionale del terrorismo islamico.

Un aiuto alla ricostruzione di questo processo di costituzione viene dato dalle informazioni raccolte presso le agenzie di sicurezza kurde a Sulaimani e Kirkuk, in particolare da Sarkout Hasan Jalal, responsabile dei servizi di sicurezza a Sulaimani, il quale ricorda come si debba fare riferimento a “Bzutnawai Islami (Movimento Islamico) che nacque nel 1979 in Iran, per poi costituirsi in Kurdistan come partito politico legittimo dopo la rivolta del 1991”. Ma le posizioni abbastanza moderate del movimento non soddisfacevano un congruo numero di aderenti, spostato verso posizioni estremiste, che cominciarono a riunirsi in gruppi spontanei ma senza interrompere le relazioni formali con Bzutnawai Islami. Si tratta di una fase che caratterizza gli anni dal 1994 al 1998 circa, dove non si assiste alla organizzazione di gruppi indipendenti quanto, piuttosto, al formarsi di correnti interne al Movimento, che saranno il prodomo ai futuri movimenti islaimici kurdi della fine degli anni Novanta: “nei dintorni del confine di Halabja hanno fondato Hamas, ancora segretamente e senza annunciarlo. Un altro gruppo a Erbil ha fondato un’organizzazione estremista di nome Al Tawhid (Riunificazione), anche questi non erano d’accordo con il programma del Movimento Islamico sulla questione della Jihad e sulla creazione di una regione islamica in Kurdistan. C’era anche un altro movimento nell’ambito di Bzutnawai Islami che veniva chiamato la Hezi Dui Soran (Forza 2 del Soran, una regione del Kurdistan.), coordinati da un gruppo di giovani estremisti. C’era anche un altro gruppo che chiamavano Islah (Miglioristi), questi dall’inizio erano coordinati dal Mullah Krekar” (Sarkout Hasan Jalal), cioè da Najmuddin Faraj Ahmad, rifugiato in Norvegia, insediato nell’area di Golp e Halabja[4].

Le ragioni del progressivo radicamento dell’islamismo radicale e fondamentalista organizzato in gruppi estremisti in Kurdistan trova ragioni pratiche nell’embargo economico che il governo iraqeno applicò alla regione dopo il 1991: la situazione economica interna era di piena recessione e tutte le entrate del Governo Regionale del Kurdistan, che erano basate soprattutto sui dazi doganali, si erano ormai ridotte. In questo contesto “i gruppi islamici sono venuti per sfruttare la situazione, sfruttare la povertà della gente attraverso alcune organizzazioni legate all’Arabia Saudita: aiutavano gli orfani, le vedove, gli anziani. Questo coordinamento lo facevano le organizzazioni islamiche e tutto ciò per attirare l’attenzione della gente. La gente stessa in quel periodo era povera perciò i soldi li influenzavano” (Sarkout Hasan Jalal).

Ansar

Si avviò in quella fase turbolenta di metà anni Novanta, una sistematica costruzione di moschee finanziate dalle associazioni saudite in cui si “impartivano lezioni ai bambini nelle moschee e li abituavano alle idee dell’Islam. Dopo aver fatto questo gli islamici estremisti attraverso i loro uomini nelle moschee estremizzavano i giovani parlandogli della Jihad con le loro tesi e con le idee della Jihad”, specifica Sarkout Hasan Jalal, confermato dalle numerose testimonianze raccolte nei villaggi di montagna soprattutto nell’area orientale del Kurdistan. La situazione comincia a cambiare dopo la risoluzione 986 del 1995 delle Nazioni Unite, a seguito della quale il governo kurdo decide di intervenire avversando questa progressiva politica di arabizzazione, perché “noi siamo una società a maggioranza islamica, ma ciò che facevano loro era diverso, loro rendevano l’islam politico e questo è diverso dalla religione. Inoltre Ansar e Jiund Al Islam dopo aver fatto tanti atti terroristici diedero una brutta immagine degli islamici politicizzati” (Sarkout Hasan Jalal).

Dunque la chiave per comprendere la nascita di Ansar Al Islam sta proprio nelle complesse dinamiche che ruotano attorno al Kurdistan sul finire degli anni Novanta, che non riguardano solo il tentativo di penetrazione “politica assistenziale” dell’Islam, ma rimandano a specifiche direttive che evidenziano un nuovo coordinamento internazionale del terrorismo islamico, basato in Afghanistan, sotto la leadership di Osama Bin Laden. E’ il 2000 quando Al Qaeda fa pressioni sulle differenti organizzazioni kurde, affinché queste confluiscano in un gruppo operativo unificato “Al Qaeda ha detto ‘le frammentazioni ci danneggiano, dovete unirvi’” (Sarkout Hasan Jalal) e Bin Laden affida la promozione dell’iniziativa al suo uomo Abu Abd Al Raman Al Suri. Nel corso del 2000, intorno a maggio, il gruppo di Hamas con quello di Al Tawhid si riuniscono nel Fronte Islamico Unito, ma è circa un mese più tardi la partecipazione di Hezi Dui Soran che porta alla fondazione di Jund Al Islam: è il primo settembre 2000. Questo era un gruppo estremista  insediato nelle regioni di Tawela e Biyara, a nord est del Kurdistan verso il confine con l’Iran dove “hanno aperto un ufficio con il nome di Jund Al Islam e hanno appoggiato Al Qaeda e da essi ricevevano tutte le direttive” e, sembra, un finanziamento di 600.000 USD. Il leader era proprio Abu Abd Al Raman Al Suri, alla cui morte in battaglia con i peshmerga kurdi si sostituì Abu Abdullah Shafii. Il compito del gruppo era destabilizzare l’area e formare nuovi terroristi reclutati tra gli estremisti kurdi, secondo uno schema di celle indipendenti organizzate in sei reggimenti.

E’ nel 2001 che finalmente nasce Ansar Al Islam, come coronamento di questo sforzo di riunificazione, quando il gruppo di Mullah Krekar (Najmuddin Faraj Ahmad), Islah, si unisce a Jund Al Islam. Proprio quest’ultimo ne assume la leadership: “dopo la creazione di Ansar Al Islam, Krekar divenne il loro emiro. Abu Abdullah Shafi con Asso I Hauleri divennero i suoi vice” (Sarkout Hasan Jalal). La medesima linea di comando, anche nelle sue interazioni con l’Afgahnistan di Al Qaeda, è confermata dalle interviste a Didar Khalid Khaled e Keis Abu Assim (Abu Assi,) terroristi di Ansar.

La prima azione di Ansar fu un’imboscata alle forze del PUK, che procurò loro 42 morti, poi nel febbraio 2002 assassinò Franso Hariri, governatore di Erbil e in primavera cercò di eliminare Barham Salih, Primo Ministro del Governo PUK. Nell’attacco fallito furono tuttavia uccise cinque guardie del corpo e due dei tre terroristi del commando, il terrorista di Ansar sopravvissuto è Keis Abu Assim (Abu Assi,), da me incontrato nelle prigioni di Sulaimani. Le azioni di Ansar continuano per tutto l’anno con imboscate e attentati suicidi: i terroristi di Ansar parlano di un attacco con circa 100 morti e 120 feriti ai peshmerga del PUK intorno a fine dicembre 2002, attacco che tuttavia non è stato confermato dai governativi. In questo periodo le connessioni internazionali di Ansar emergono ancora più chiaramente: lo stesso Primo Ministro della Giordania dichiara che Abu Musab Al Zarqawi (Sheikh Fedel Nazzel Khalayleh), giordano di origine, condannato in quel paese e connesso ad Al Qaeda, si trova presso Ansar Al Islam ed è l’ispiratore sia dell’attacco a Salih sia dell’assassinio di Laurence Foley, dell’U.S. Agency for International Development.

E’ stato l’avvio della guerra in Iraq che ha permesso agli uomini della coalizione, soprattutto truppe speciali americane e uomini della CIA nell’area orientale e specialisti inglesi in quella occidentale, con i peshmerga kurdi di attaccare ed eliminare le basi di Ansar Al Islam nella regione: “avevano un rapporto diretto con Al Qaeda e con il governo iraqeno che li addestrava, fino a quando l’America li ha attaccati e loro sono fuggiti in Iran. Le loro forze sono cadute e molti di loro sono stati uccisi, molti sono agli arresti e il resto scappati in Iran. Tehran fece imprigionare un gruppo di loro per pochi giorni, salvo poi rispedirceli indietro. Le nostre forze, ancora una volta, li hanno costretti a ritornare in Iran, così si sono stabiliti nelle città di Marivan, Sanandaj, Mahabad. Molti degli arabi sono andati verso Tehran. Dopo la caduta del regime iraqeno e l’ingresso Usa, si sono riorganizzati in Iran a gruppi hanno mandato gente in Iraq, ma i gruppi maggiori sono entrati con i pellegrinaggi sciiti a Najaf e Kerbala, per anni vietati da Saddam, per visitare le tombe di Hassan, Hussein e Ali. Si sono infiltrati tra i pellegrini per dirigersi nel centro sud dell’Iraq raggiungendo altri gruppi di Al Qaeda e di arabi non iracheni arrivati per attaccare l’America insieme all’esercito iraqeno. Questi erano tutti gruppi di Al Qaeda, che ha colto l’occasione per inviare altre persone in Iran dove si sono organizzati” (Sarkout Hasan Jalal).

Le informazioni raccolte rispetto all’insediamento in Iran di Ansar Al Islam evidenziano un aspetto critico, ambiguo e poco chiaro: quello del rapporto tra Iran e le organizzazioni del terrorismo islamico internazionale. Secondo diverse fonti (soprattutto turche e iraqene) Al Qaeda avrebbe in Iran un vero e proprio terreno di transito e di riposo che accoglie quadri di alto livello dell’organizzazione. Negli ultimi due anni Tehran avrebbe accordato, con conoscenza di causa, visti e facilità di transito a corrieri e altri responsabili della struttura centrale. Questa politica si giustifica probabilmente con il fatto che l’Arabia Saudita, uno degli obiettivi di Al Qaeda, resta un avversario naturale per la Repubblica Islamica dell’Iran, ma non spiega per intero la presenza del Jihad sul suo suolo e pone interrogativi su ruolo dell’Iran nell’attuale contesto politico internazionale. D’altra parte l’ospitalità ad Ansar era già messa in dubbio per via dei legami del Mullah Krekar con l’Iran, dove passò diversi anni della sua vita e da dove proveniva quando fu arrestato all’aeroporto di Amsterdam. Sempre in relazione ad Ansar quale gruppo kurdo, una possibile ragione di supporto dell’Iran può essere il timore di avere nel futuro un vicino stato kurdo democratico e islamico, quale risultato della stabilizzazione della regione. Infine, il supporto ai gruppi islamici potrebbe essere letto nel quadro di una manovra di “controllo” iraniano sul futuro assetto iraqeno. Tuttavia, queste ipotesi non sono tanto lineari e prive di ambiguità da non fare pensare a possibili divergenze tra differenti ambiti iraniani, non fosse, per esempio, che gli attacchi terroristi condotti in Iraq hanno soprattutto colpito proprio gli sciiti – forse con l’idea di eliminare i dirigenti moderati favorevoli alla presenza americana o un desiderio di epurazione di fronte alla dissidenza sciita da sempre condannata dai radicali sunniti -. In ogni caso, questi attacchi, sono destinati ad essere controproducenti perché, da un  lato, la maggioranza della popolazione irachena è sciita, dall’altro queste aggressioni non possono che allontanare Tehran e Hezbollah dalla Jihad. Infine, recenti testimonianze raccolte negli ambienti della sicurezza iraniana, sembrano ricollocare la presenza di Al Qaeda nei territori del nord nel contesto di un difficile controllo di tutta quell’area, in particolare  dei confini iraniani settentrionali. Tale questione sta diventando molto significativa per Tehran, dove si raccolgono commenti preoccupati per i possibili effetti che il terrorismo può avere sia all’interno del paese sia nel contesto delle relazioni internazionali che si stanno riallacciando.

Ansar Al Islam: l’organizzazione

L’organizzazione di Ansar Al Islam, con particolare riferimento al reclutamento, alla struttura e alla leadership mette nuovamente in evidenza la dimensione internazionale dei gruppi del terrorismo islamico.

La storie di Didar Khalid Khaled[5] e di Keis Abu Assim (Abu Assi)[6] sono, per certi versi, emblematiche.

Dall’intervista a Didar Khalid Khaled:

  • Perché sei qui? (Nota: nelle carceri kurde di Sulaimani).

o   Sono stato catturato perché ero di Ansar Al Islam. Sono entrato con loro a diciotto anni.

  • Come hai conosciuto questa organizzazione?

o   Ero amico di uno che mi ha fatto conoscere Ansar Al Islam. Volevamo fare Jihad.

  • Perché ti sei messo con loro?

o   Perché ero con questo amico e mi sono fidato di lui.

  • Quale era l’obiettivo del gruppo di Ansar Al Islam?

o   La ragione principale, come mi hanno fatto capire durante i loro discorsi, era quella di fare la Jihad per l’Unico Grande Dio.

  • Come Kurdo perché credevi nella Jihad?

o   Ciascuno di noi ha una propria convinzione e io allora avevo quella.

  • Cosa è successo quel giorno?

o   Avevo addosso un gilet con una cintura esplosiva (Nota: 5 kg di TNT), ma quando sono entrato tra di loro nel luogo…ho avuto paura di farmi esplodere. E poi mi dispiaceva farmi uccidere per uccidere degli altri.

  • Ma allora eri disposto a farlo. Perché?

o   Perché farmi uccidere e uccidere gli altri fa parte della Jihad.

  • Come era strutturato il tuo gruppo di Ansar?

o   Ansar ha degli uomini che venivano a parlare con me o con altri ragazzi per convincerli a eseguire atti terroristici, suicidi e attentati.

  • Sì, d’accordo  ma dimmi  come era organizzato il tuo gruppo, c’era un capo che impartiva ordini…?

o   Eravamo sette persone nel nostro gruppo, ognuna di noi doveva uccidersi in qualsiasi modo, e Abdullah Raman Shafiici coordinava.

  • Eravate tutti kurdi?

o   Sì. Ma i membri di Ansar che coordinavano erano in rapporto con Al Qaeda.

Dall’intervista a Keis Abu Assim (Abu Assi):

  • Chi sei?

o   Sono un mujahid della Jihad e lavoravo con Ansar Al Islam e Al Qaeda, che sono due organizzazioni che collaborano e hanno il medesimo programma.

  • Quando sei entrato in Ansar?

o   Nel 2000 ho cominciato a collaborare con loro e sono uno dei fondatori.

  • Cosa facevi prima?

o   Studiavo studi scientifici islamici.

  • Come era strutturato il tuo gruppo di Ansar Al Islam?

o   C’era un emiro, un vice e 20 membri di un Consiglio. Dietro di loro ci sono 7 basi con ognuna 100 persone.

  • Quale è il nome dell’emiro?

o   Abu Adbullah Shafii

  • Come mantenevano i contatti con Al Qaeda?

o   Abbiamo un buon rapporto con Al Qaeda, l’anello di collegamento era un gruppo di arabi venuto qui da noi. Dopo di ciò alcuni kurdi sono andati in Afghanistan a fare gli addestramenti. Sia loro che altri gruppi di arabi sono poi tornati qui da noi.

Il sistema di reclutamento che emerge, sia dalle interviste sia da informazioni concorrenti, è quantomeno conosciuto: da una parte ci si rivolge  agli studenti delle scuole islamiche e dall’altra ai giovani, spesso marginali, che in un pericoloso gioco di emulazione reciproca, rinforzata da una ossessiva e continua pressione informativa e formativa dei reclutatori, si trovano poi a unirsi al movimento. Questo meccanismo di reclutamento è rilevabile sia in loco (per esempio in Kurdistan) sia nei paesi occidentali: gli arresti in Italia di fine anno 2003, hanno proprio evidenziato una sistematica iniziativa di affiliazione promossa sia nell’ambito dei luoghi di aggregazione religiosa sia in riferimento alle fasce dell’immigrazione meno “integrata”. D’altra parte, sappiamo dai prigionieri detenuti nella base di Guantanamo che circa il 10% dei mujahidin provengono dai paesi europei o hanno la doppia nazionalità, e una delle due nazionalità sarebbe europea. Rispetto alle informazioni che reputano essere di circa 20.000 i terroristi addestrati da Al Qaeda prima dell’11 settembre, di cui circa 2.000 morti in Afghanistan, una semplice proiezione che si basa su questi 18.000 attivi, a cui aggiungere circa 3 o 4.000 sopravvissuti alla guerra tra Afghani e sovietici, suggerisce un paio di migliaia di mujahidin con passaporto europeo. Probabilmente un numero in crescita proprio grazie alla attività di reclutamento sempre più attiva nei paesi occidentali, di cui Ansar ha fornito un esempio.

Nuovamente, entrambe le interviste concordano nel definire un’organizzazione abbastanza snella, che all’origine disponeva di circa 700/800 persone, distribuite in sette o otto basi sotto la guida di arabi afghani[7]. La composizione delle basi è ormai internazionale: “c’erano anche gli arabi, tanti arabi, sauditi, siriani, palestinesi, algerini, marocchini, yemeniti e anche iraqeni… C’erano tutte le razze arabe che accettavano il programma della jihad ed erano membri di Al Qaeda. Venivano qui e facevano guerra contro di noi. Loro, anche se avevano una piccola zona sotto controllo, avevano un’organizzazione molto più vasta. Anche perché dopo l’attacco all’Afghanistan non avevano più un posto dove nascondersi e perciò hanno scelto questa zona, il Kurdistan, dove non c’era tanto controllo su tutto il territorio” (Sarkout Hasan Jalal). Dunque, legami organici con Al Qaeda, confermato padrino di Ansar che oggi può contare su almeno 600 uomini distribuiti nella basi in area kurdo iraniana, secondo una contabilità che prevede circa 200 morti nelle azioni della primavera del 2003.

Ancora, le due interviste fanno riferimento a Abu Abdullah Al Shafii quale emiro loro capo. Per quanto rilevato, Abu Abdullah Al Shafii è un arabo afghano, forse di origine egiziana o siriana, che ha guidato Jund Al Islam e poi inseritosi come “numero due” nella leadership di Ansar. Infatti, come già evidenziato il leader carismatico di Ansar è il Mullah Krekar (Najmuddin Faraj Ahmad), arrestato nel settembre 2002 dalle autorità olandesi, al suo sbarco da un aereo proveniente da Tehran. La vicenda di Krekar è significativa: rifugiato in Norvegia, a Oslo, è stato ultimamente arrestato il 2 gennaio 2004, su richiesta dell’Oekokrim, l’unità contro la criminalità economica norvegese,  e poi rilasciato il 5 gennaio 2003. L’accusa per il fondatore del gruppo islamico che si ritiene collegato ad Al Qaeda era di pianificazione e partecipazione a tentativi di omicidio, anche con attacchi suicidi, contro membri del PUK, in un periodo che va dal dicembre 2001 al maggio 2002. L’Oekokrim aveva chiesto che il Mullah Krekar restasse in carcere per quattro settimane al fine di avviare un’indagine che producesse supporti alle accuse. Come anche riportato in questo mio commento alla vicende di Ansar, sono numerose le testimonianze che legano Ansar ad Al Qaeda e Krekar ad Ansar, ma i complessi sistemi normativi nazionali europei e la mancanza di determinazione politica forniscono, ancora una volta, la possibilità di eludere il “diritto alla pena” che spetta a ogni criminale terrorista.

Un’altra figura di spicco vicina ad Ansar è sicuramente Abu Musab Al Zarqawi (alias Sheikh Fedel Nazzel Khalayleh), che ha cominciato a farsi conoscere nel 1999 ed è oggi uno dei futuri importanti dirigenti della Jihad sul piano internazionale, salito alla ribalta delle cronache di tutto il mondo quando il segretario di Stato Colin Powell ha citato il suo nome davanti al Consiglio di Sicurezza per illustrare i legami esistenti tra l’Iraq e il terrorismo internazionale. Di origine palestinese, nato in Giordania, Zarqawi è un veterano contro i sovietici negli anni 80 e appartiene dunque alla generazione degli afgani della prima epoca. Dirigente del gruppo islamista Jund Al Shams (una organizzazione affiliata ad Al Qaeda, basata in Giordania, Siria e, sembra ma non è confermato, in Kurdistan) è stato condannato ad Amman nel 1999. Ritornato in Afghanistan, ha diretto un campo specializzato nell’utilizzo delle armi chimiche e biologiche e dopo la dispersione dei campi afghani, è stato visto nel Caucaso (alle gole di Pankissi) e in Kurdistan, dove dirigeva, in questi due luoghi, campi di formazione per il terrorismo chimico e batteriologico. In Kurdistan si è legato sicuramente, anche se forse non con un ruolo formale, ad Ansar Al Islam. Si tratta dunque di un leader emergente e pericoloso: un esempio, a livello personale, della rete internazionale di legami tra i dirigenti del terrorismo islamico e, a livello organizzativo, sia del posizionamento di Ansar tra i gruppi terroristi sia del sistema reticolare che ormai li caratterizza.

Questo ultimo aspetto ci riconduce ai legami di Ansar ad Al Qaeda e ci avvia ad alcune conclusioni. Il terrorista intervistato Keis Abu Assim (Abu Assi), a proposito del futuro di Ansar dice: “Ansar Al Islam c’è ancora e siamo più forti di prima, se prima avevamo un solo indirizzo oggi non l’abbiamo più perché siamo ovunque sul territorio.  Non è stato catturato nessuno del Consiglio, siamo presenti e più forti che mai. A noi non interessa fare Jihad solo qui o impossessarci delle città, noi facciamo Jihad qui o da qualunque altra parte non fa differenza. Loro ci uccidono e noi li uccidiamo che sia qui o a New York non cambia niente.”  In questa logica della Jihad si ritrova Al Qaeda, per le modalità con cui si è riorganizzato il terrorismo internazionale di matrice islamica, e si aprono delle finestre sugli scenari futuri, a partire  dalla collocazione di Ansar Al Islam nel network del terrore.

Alcune riflessioni conclusive

Dopo la guerra in Afghanistan il terrorismo di Al Qaeda è stato interessato da un profonda ristrutturazione organizzativa che ha portato i suoi uomini a disperdersi, per poi riorganizzarsi in una nuova rete internazionale. Questa prima fase si è conclusa già nei primi mesi del 2002 e sono seguite, sovrapponendosi, una seconda fase per la restaurazione dei centri operativi, che può considerarsi finita alla fine del 2002, una terza di offensiva verso gli obiettivi occidentali, tuttora in corso. In questo periodo, il nucleo centrale di Al Qaeda sembra essersi diviso in due rami, l’uno “politico”, incaricato di fissare gli obiettivi strategici, e l’altro “militare”, incaricato di coordinare le azioni particolarmente simboliche, di creare cellule locali, di provvedere al loro sostentamento e di assistere i movimenti affiliati. Il ramo politico – Bin Laden, Ayman Al Zawahiri, una decina di persone a loro vicine e qualche decina di un sistema di sicurezza centrale – si trova in qualche località tra il Pakistan e l’Afghanistan. I responsabili politici di livello più basso si sono dispersi in altri paesi (Yemen, Sudan, Iran, Caucaso). La direzione militare è dispersa in tre zone di azione principali: Sud-Est asiatico, Caucaso e  Somalia. Nel Caucaso i movimenti ceceni hanno stretto accordi operativi con Al Qaeda e hanno messo a disposizione di quest’ultima molti campi, in Cecenia ma soprattutto in Georgia, nelle gole di Pankissi.

Dal punto di vista organizzativo e operativo la Jihad, in generale, e Al Qaeda in particolare, hanno sempre lasciato ampia autonomia di azione agli esecutori e alle reti affiliate. Il movimento funziona con un  sistema di “franchise”: il membro o l’organizzazione prestano la “bayyat” (giuramento islamico di fedeltà) a Bin Laden e poi ricevono, se necessario, una formazione. Fatto questo, il nuovo membro/cellula ritorna  verso il suo luogo naturale di attività dove  condurrà azioni a carattere locale, giustificate da una sua specifica strategia, ma anche azioni più importanti per conto dell’intero  movimento. Per fare questo, il membro non ha bisogno di ricevere un ordine scritto in quanto si tratta di azioni iscritte nel quadro generale tracciato da Bin Laden, dunque può condurre azione indipendenti, purché genericamente motivate come anti occidentali o anti americane. Questa autonomia, che è ancora aumentata negli ultimi mesi, sicuramente ripropone il problema dei comunicati mediatici di Al Qaeda, attraverso Bin Laden, la cui diffusione permette anche di mantenere le coordinate operative delle azioni della Jihad. Ciò significa, anche, che il terrorismo oggi non muore se “si taglia la testa al serpente”, perché il meccanismo del “franchising” si è avviato: dopo l’11 settembre si possono contare almeno 2.000 morti tra i mujahidin e buona parte dei quadri di Al Qaeda eliminata o catturata, le strutture logistiche per buona parte distrutte,  centinaia di milioni di dollari congelati e decine di organizzazioni sospettate di essere legate ad Al Qaeda dissolte o poste sotto sorveglianza. Ma ciò non ha fermato gli attacchi terroristici: perché il movimento è passato ormai dal “progetto” alla “realizzazione”, con una autonomia inerziale di percorso elevata per ogni singolo membro. La medesima situazione iraqena insegna: almeno dall’agosto 2003 in Iraq è apparsa una nuova attività armata che non ha più nulla a che vedere con la guerriglia baathista. Per il suo modus operandi (attentati suicidi), per la natura degli obiettivi (tra i quali la comunità sciita) e per la personalità dei suoi protagonisti, questa attività si ricollega alla Jihad e al terrorismo di matrice islamica, che si tratti di membri di Ansar Al Islam, di Al Qaeda o di una nuova rete ancora sconosciuta a cui è affidato il compito di spargere la morte per mantenere “saldamente incerto” il futuro del Paese. E’ molto probabile che questa situazione di elevato rischio perduri per molto tempo. E che nel prossimo futuro gli attentati si moltiplichino non solo in Iraq, ma anche in altri paesi, e non solo occidentali. Per questo l’attentato alle sinagoghe turche di novembre, per esempio,  mi sembra perfettamente riconducibile al disegno complessivo che ha il proprio epicentro del terrorismo in Iraq per allargarsi, da qui, verso sud e occidente, attivando cellule in sonno ma, soprattutto, innescando pericolosi comportamenti imitatitivi in altri contesti islamici con legami in Occidente. Quanto accade oggi in Asia Centrale determina la futura quotidianità pacifica – o meno – del nostro vivere nelle città occidentali.

In conclusione, oggi il mondo democratico, attaccato dal terrorismo internazionale come mai era successo nel passato, a breve e medio termine, può rispondere solo con azioni militari multiformi, con operazioni di intelligence e con una offensiva giudiziaria e poliziesca decisa e senza incertezze. Ma tutto ciò non sarà sufficiente a assicurare una vittoria decisiva e nemmeno ad assicurare un periodo importante di tregua. A lungo termine, la sconfitta del terrorismo islamico non sarà possibile che a condizione di comprendere bene i suoi fondamenti, di conoscere correttamente i suoi meccanismi e di combattere le cause che lo rendono interessante per un numero sempre crescente di persone nel mondo. Di conseguenza, in questa più ampia prospettiva, solo l’esportazione della democrazia può colpire alla radice le cause del terrorismo, perché su di essa  si fonda la convivenza pacifica, purché essa possa essere apprezzata sulla base degli strumenti suoi  propri (sistemi di reppresentanza, istituzioni funzionanti, ecc.) piuttosto che per essere “valore in sé” e si sia dotata della capacità di difendersi  e di proporsi quale pre-requisito irrinunciabile, per cui le regole della democrazia non possono prevedere la sostituzione della democrazia con altra forma di governo.

 Marco Lombardi

[1] Tutte le interviste sono state raccolte dall’autore e documentate con supporto video digitale durante la missione.

[2] Gli accordi, siglati nel luglio 1994, prevedevano di stabilire modalità decisionali democratiche nel Kurdistan iraqeno, la riorganizzazione del governo in senso più funzionale tramite l’eliminazione di alcuni ministeri, l’utilizzo esclusivo del governo delle entrate ottenute dai dazi sui confini e l’ospitalità ai Kurdi provenienti dagli stati vicini senza però che installassero basi militari.

[3] I punti principali dell’accordo prevedono: l’unità territoriale dell’Iraq con amministrazione di tipo federale, il non utilizzo del territorio kurdo iraqeno da parte del PKK per installare proprie basi contro l’esercito turco, l’unificazione degli eserciti kurdi iraqeni.

[4] Le aree indicate si trovano nell’area montuosa kurdo iraqena confinante con l’Iran.

[5] Terrorista di Ansar Al Islam che doveva farsi esplodere in un ministero kurdo ma, per un attimo di incertezza, è stato arrestato dalla forze di sicurezza ed è in prigione a Sulaimani. Ha ventanni e ha fatto la scuola superiore a Erbil. Oggi, si dichiara pentito.

[6]Terrorista di Ansar Al Islam, unico sopravvissuto del comando che attentò alla vita del Primo Ministro kurdo Barham Salih, è stato arrestato dalla forze di sicurezza ed è in prigione a Sulainami. E’ kurdo di Erbil, ha ventotto anni, parla arabo perché si rifiuta di parlare altra lingua (il kurdo).

 [7] Il nome dato agli arabi non iraqeni ma inviati da Al Qaeda dall’Afghanistan.