Coordinamento ed efficacia operativa: una coalizione fragile su un terreno instabile – by Marco Maiolino

Obama e Putin discutono oggi, all’interno della cornice delle Nazioni Unite, le strategie relative al contrasto dei finanziamenti dello e allo stato islamico, in prospettiva di aumentare il coordinamento e l’efficacia operativa della coalizione internazionale anti IS.

Se si analizzano gli avvenimenti recenti, relativi alla lotta contro Daesh e più in generale che riguardano il Medio Oriente, alcuni elementi di riflessione catturano l’attenzione dell’osservatore.

L’abbattimento del jet russo da parte delle forze turche per la violazione dello spazio aereo ha scatenato pericolose tensioni fra la Russia e la Turchia. Oltre a svelare dinamiche più sottili relative al supporto turco verso i miliziani turco-siriani operanti nel nord della Siria e a rendere noti i pensanti bombardamenti dei russi su questi miliziani avvenuti nelle settimane precedenti all’abbattimento, le frizioni tra i due paesi hanno causato dure retoriche, care sanzioni di ritorsione e pericolose accuse reciproche di finanziamento al terrorismo, apparentemente sostenute da prove reali.

Inoltre, l’intelligence del dipartimento del tesoro americano ha rivelato l’esistenza di un apparente circuito del commercio illegale di petrolio interessante Daesh, il governo siriano di Bashar al Assad e alcune banche russe. In aggiunta, alcuni paesi del Golfo sembrano direttamente finanziare IS. La veridicità delle accuse e delle rivelazioni citate è ancora dubbia ma, una cosa è certa: la coalizione internazionale anti IS è estremamente fragile.

Questa fragilità è nuovamente confermata da altri, e più recenti, eventi.

La dichiarazione degli Stati Uniti di voler inviare forze speciali (si parla di 200 unità) in Iraq per combattere lo stato islamico, è stata immediatamente criticata dal governo iraqeno, mentre potenti milizie sciite iraqene (legate agli iraniani) hanno dichiarato che combatteranno tali forze americane, qualora inviate.

Ancora, ieri la Turchia ha inviato un contingente militare pesantemente armato (si parla di più di 1000 unità) nei pressi di Mosul (nella regione di Bashiqa), apparentemente a seguito di una esercitazione e per l’addestramento di milizie sunnite iraqene (composte da ex forze di polizia iraqene e volontari) e dei peshmerga kurdi. È necessario ricordare che la Turchia è in conflitto con i kurdi siriani ma detiene ottimi rapporti, invece, con i kurdi iraqeni (un buon canale per incrementare l’influenza regionale), tanto che la presenza turca nell’area di Mosul sembra essere stata richiesta direttamente dal governo regionale kurdo iraqeno. Di tale dispiegamento, l’Iraq era completamente all’oscuro e il suo presidente Fouad Massoum ha immediatamente denunciato il fatto come una violazione della sovranità nazionale iraqena e delle leggi internazionali, richiedendo alla Turchia l’immediato ritiro, mentre gli USA fanno sapere che erano a conoscenza dell’azione turca ma che essa non rientra nelle operazioni della coalizione anti IS guidata dagli americani.

Ora, la reale motivazione delle forze turche non è ancora chiara ma, gli eventi descritti non solo dimostrano la totale mancanza di dialogo fra i membri della coalizione internazionale e la sua relativa debolezza (nei termini che ora la caratterizzano), ma confermano anche un ulteriore elemento di preoccupazione: il Medio Oriente e la densa costellazione di diversi attori ed interessi che lo rappresentano, è una realtà straordinariamente complessa e, come tale, rappresenta un terreno alquanto instabile su cui operare. L’instabilità del panorama medio orientale è ciò che rende, per esempio, l’utilizzo di forze locali per combattere IS più una conveniente e astratta dichiarazione politica che una possibilità materialmente concreta.

La fragilità della coalizione internazionale anti IS, manifestata nella sua totale mancanza di coordinamento operativo e la pesante instabilità del contesto in cui essa opera, compromette, in ultima istanza, l’efficacia stessa della sua azione. In questa cornice, l’incremento dei bombardamenti (come nel caso della Gran Bretagna) sembra, pur danneggiandolo, giocare a favore del nemico piuttosto che a suo totale svantaggio. Tali azioni non risolutive eleggono chi le opera a bersaglio prioritario degli attacchi del califfato, spargendo terrore fra la popolazione, senza nemmeno la necessità (da parte di IS) di compiere materialmente l’attacco, ma solo sfruttando l’aspettativa di una minaccia imminente.