Dopo l’11 settembre: logiche comunicative di una guerra “promessa” – by Marco Lombardi

Il mio primo commento, poche ore dopo l’11 settembre 2001, faceva riferimento a una lettura di tipo “comunicativo” dell’attacco al WTC: un evento mediatico curato da un fortunato e abile regista assassino. D’altra parte, il terrorismo così come la politica trova spesso spiegazione delle proprie manifestazioni nelle logiche dello spettacolo e della comunicazione.

Anche oggi, dunque, i venti di guerra che soffiano si possono leggere con continuità sia rispetto a un canovaccio di eventi concatenati in uno spettacolo che si protrae da oltre un anno, sia rispetto al modello interpretativo che si può utilizzare per comprenderli. Quello comunicativo, appunto. Oggi, la tensione dello spettatore è tutta rivolta al dilemma della guerra con l’Iraq, là dove un nuovo sipario potrebbe alzarsi. Ma questa tensione coinvolge anche gli attori, che impersonano le parti più per dimostrare la loro bravura nel calcare il palcoscenico, piuttosto che preoccuparsi di una recita corale. Anche se tutti hanno bisogno di tutti. Che “dramma” sarebbe per il Presidente Bush se il Rais Saddam si suicidasse in un impeto di timore per la folla. Oppure se dalle tre alle sei avventurose comparse ben informate, con un colpo di mano facessero scomparire il Rais. Eppure, in altri momenti si faceva. E forse anche ora si sarebbe potuto fare con successo, se non si avesse avuto la necessità di andare in scena. Perché le comparse restano dietro le quinte, anche se il loro risultato è eclatante, e tantomeno il nome del regista – che è sempre la vera prima donna – può andare in cartellone. Tutti comprimari allora. Per un evento ad alto potere mediatico che potrebbe anche rapidamente finire: il pubblico applaude al primo attore impegnato contro il Male, gli si stringe attorno dandogli il consenso necessario a rinforzare il suo spirito interpretativo. L’apice dell’applauso sarà a novembre. Ma poi lo spettacolo finisce, si spengono le luci della ribalta, anche il Presidente Protagonista preferisce incassare e chiudere nel giubileo del Congresso la rappresentazione di una nuova maggioranza repubblicana. Eppure, anche la pausa interminabile ricca di incertezza, quel silenzio essenziale per distinguere le note del concerto, si delinea. Nuove comparse, a diecine, potrebbero entrare in campo per effettuare una verifica oggettiva del Male: “Dove sono le armi?”, si chiedono senza rispondere al loro pubblico. Ed ecco il possibile capovolgimento di scena: le comparse bucano il video e si impongono allo spettatore perché diventano le armi passive del Rais che, per prendere tempo, le schiera davanti agli obiettivi sensibili, non delle telecamere. Non sarebbe la prima volta. Tutto si ferma… chi era cattivo resta cattivo chi era buono resta buono, anzi tutti e due più di prima. Come ogni spettacolo migliore, da Pirandello a Kurosawa, la molteplicità degli intrecci possibili appassiona e la loro lettura speculativa fornisce informazioni preziose al critico che studia l’autore. Se proviamo a utilizzare queste informazioni, allora, ci rendiamo conto che la prima pista, chiamiamola dell’”intelligence”, sarebbe stata la più pratica ma avrebbe avuto bisogno di una capacità di previsione del futuro e determinazione di intenti che non è propria della moderna realtà mediatica dell’ “ora, subito… ma non so!”. Soprattutto non corrisponde all’ipotesi comunicativa. La seconda e la terza, al contrario, rispettano entrambe il modello comunicativo. Entrambe, alla fine, sono declamatorie, più che sostanziali: i co-protagonisti improvvisano intorno al canovaccio per soddisfare il loro pubblico, anzi ne sono prigionieri, e non desiderano né perderlo né che si faccia male. Il Presidente e il Rais, “attori narcisi”, riscuotono “applausi”. Eppure lo spettacolo eccita, il limite del palcoscenico si può perdere e la finzione confondere con la realtà: la tragica commedia si trasforma nella vita quotidiana. Solo il ruolo del pubblico resta a ricordare agli attori che stanno calcando una ribalta, un pubblico che non ha neppure pagato il biglietto per entrare, sul quale grava una tale grande responsabilità.

Marco Lombardi