Elezioni 2018: narrative e attacchi dello Stato Islamico alla “religione della democrazia” – by Daniele Plebani

I primi mesi del 2018 hanno visto il gruppo Stato Islamico (IS) fortemente ridimensionato nelle sue capacità operative. All’avanzare dei suoi nemici sul territorio si è aggiunta nel tempo anche una maggiore attenzione a prevenire la formazione di un cyber califfato ed a inficiare la sua propaganda: con un cerchio che diventa quindi di giorno in giorno più stretto, IS si è visto costretto a mutar pelle per poter sopravvivere.In questo momento di trasformazione il gruppo emerso dalle ceneri di Mosul, Raqqa e Marawi (solo per citare alcune delle ultime roccaforti liberate dalla sua presa) ha tuttavia mantenuto una delle caratteristiche fondamentali della sua dottrina strategica: l’opportunismo, in particolare lo sfruttare eventi stagionali e apicali per lanciare nuovi appelli e colpire in momenti e luoghi vulnerabili.

In questi mesi tale strategia ha trovato dei bersagli ideali nei processi elettorali di diversi Paesi della regione MENA. Particolare rilievo hanno assunto, in questo contesto, i casi delle consultazioni in Tunisia, Libia, Egitto, Iraq e Afghanistan. Sebbene attacchi/minacce di questo tipo non siano nuovi, il fatto che Paesi così profondamente segnati dalla presenza di IS si trovino ad andare alle urne in un periodo di tempo tanto ravvicinato costituisce un‘occasione preziosa per un gruppo resiliente ma sotto forte pressione. Non solo: tale prossimità temporale favorisce la moltiplicazione dell’effetto mediatico e di conseguenza ogni attacco sferrato a bersagli legati alle elezioni sarà messo in relazione ai precedenti e ne aumenterà l’impatto propagandistico, come è accaduto tra le fine di aprile e i primi giorni di maggio (cfr. fig. 2).

Questo “fronte elettorale” aperto da IS evidenzia una serie di fattori che prefigurano l’avvio di una nuova stagione terroristica/costituisce il terreno della prima campagna di questo tipo del gruppo nella sua nuova forma: media e attentati sono i due strumenti che nel solco della hybrid warfare concorrono a colpire cuore e mente del nemico ma soprattutto poggiano su un sostrato ideologico ridivenuto centrale negli ultimi mesi e che per IS costituisce il salto di qualità tra una semplice serie di attacchi non coordinati e una campagna tout court.

Le fondamenta sulle quali poggia questa nuova offensiva avente i simboli del sistema democratico come proprio centro focale si sono palesate in maniera sempre più evidente durante l’Operazione Sinai 2018, la nuova campagna varata del Cairo per estirpare la presenza di terroristi nel Paese e lanciato a poco più di un mese dalle elezioni presidenziali di fine marzo. Pochi giorni più tardi il wilayah Sinai – la “provincia” di IS nell’omonima regione – ha diffuso un video, I Protettori della Sharia, nel quale si mostrano in sequenza prima dei religiosi cattolici, poi una statua del Buddha, la House of Commons inglese e infine un seggio elettorale (cfr. fig. 1): lo scopo del messaggio era quello di equiparare la democrazia a una religione e il giorno delle elezioni al “giorno del politeismo” – come dichiarato dal frontman del video Abu Muhammad al-Masri.

La comunicazione non ufficiale offerta dai sostenitori di IS ha poi raccolto le direttive del video e iniziato sia a pubblicare materiale contro le elezioni che ad avvisare i fedeli di astenersi da qualsiasi attività associabile alle procedure di voto. Sebbene le elezioni egiziane siano passate senza attacchi rilevanti, le basi mediatiche ed ideologiche di questa linea narrativa erano state gettate: nel successivo mese di aprile diversi attacchi collegati ai processi elettorali sono stati rivendicati da IS in Iraq, Afghanistan e pochi giorni dopo anche in Libia (cfr. fig. 2).

Come si può notare, la maggior parte degli attacchi si sono concentrati tra fine aprile e inizio maggio. In realtà la tabella non riporta gli attentati falliti o sventati, pur di notevole importanza: per esempio, il candidato al Parlamento iracheno Ammar Hidayat Kahiyah è sopravvissuto a ben due tentativi di assassinio nell’arco di nove giorni (15 e 24 aprile). In tutto questo lasso di tempo IS ha soffiato sulle fiamme della narrativa contro la democrazia sia rivendicando i diversi attacchi citati che con appositi contributi su al-Naba, il suo gazzettino ufficiale in lingua araba pubblicato a cadenza settimanale. Nel numero 123, infatti, l’obiettivo si è spostato sulle elezioni in Tunisia del 6 maggio: un articolo accusava taluni partiti “islamisti” (il riferimento riguarda il partito Ennahda) di essere scesi a compromessi – ad esempio non avendo sostenuto l’implementazione della shari‘a come fonte legislativa – pur di prendere il potere (la medesima accusa al medesimo partito – pur in maniera implicita – era stata lanciata da Ayman al-Zawahiri nel discorso Dopo sette anni dov’è la salvezza? del 6 gennaio 2018). Dal numero 128 (20 aprile) è possibile notare una svolta verso un approccio marcatamente più inflessibile orientato su teatri multipli: in questo numero una infografica riporta tre operazioni condotte precipuamente contro obiettivi legati alle elezioni irachene e ai “politeisti democratici”. Una in particolare descrive l’assalto alla sede del partito al-Hal – una sorta di sezione just terror tactic – sotto la quale viene riportata la motivazione ideologica che sottende tali operazioni attraverso le parole di Abu Mus‘ab az Zarkawi. Due giorni più tardi, i medesimi argomenti sono stati ripresi in un importante messaggio audio del portavoce di IS, Abu al-Hasan al-Muhajir: questi descrive il governo iracheno come in mano agli sciiti, incita a rovesciarlo e avverte che è lecito versare il sangue di coloro che parteciperanno in qualsiasi modo alle elezioni. La linea narrativa anti-democrazia raggiunge qui il più alto grado di attenzione, insistendo sul fatto che il processo democratico è un atto tramite il quale gli uomini violano l’esclusiva sovranità divina, arrogandosi il diritto di redigere leggi non in linea con le norme sciaraitiche ed esercitare il potere. Lo stesso giorno in cui il messaggio è stato trasmesso, IS ha rivendicato un attacco presso un centro elettorale a Kabul; nei giorni seguenti altri due attentati verranno direttamente collegati alle parole di al-Muhajir: l’esecuzione in Iraq di due attivisti il 27 aprile e l’assalto a Tripoli di una sede dell’High National Electoral Commission il 2 maggio. Una seconda infografica riportata su al Naba-130 del 4 maggio e relativo articolo (Lo Stato Islamico e la religione della democrazia) rivendica diversi attacchi in Iraq, Libia e Afghanistan, tutti verso obiettivi elettorali.

Azioni violente e propaganda costituiscono quindi le due colonne portanti di questa campagna lanciata da IS, una delle prime a denotare un deciso coordinamento a un tempo mediatico e sul campo dopo la fase seguita alla caduta delle sue roccaforti siro-irachene.

Quali i frutti? Tirare le somme risulta ancora prematuro ma è possibile valutare alcune considerazioni sul percorso finora intrapreso. Il fatto che le elezioni in Egitto e Tunisia siano passate senza attacchi diretti non implica che quelle di IS siano vuote minacce: lo stesso giorno in cui si è votato a Tunisi senza alcun incidente un candidato alle elezioni irachene è stato ucciso in circostanze ancora non totalmente chiarite – sebbene IS ne reclami l’assassinio; a questo bisogna aggiungere tutti quegli attentati falliti che godono di poca risonanza mediatica presso la stessa stampa locale, oltre ai pieni sventati.

Al di là degli attacchi sferrati in questi mesi, quindi, il punto fondamentale rimane quello di capire perché IS abbia concentrato così tante delle sue risorse in questa campagna in questo momento e quanto intenda investire per proseguirla. Probabilmente i vertici hanno ben presenti le conseguenze che le elezioni possono avere sul gruppo, in particolare nei territori che aveva occupato – in queste aree tali eventi potrebbero costituire infatti una duplice sconfitta. La prima, simbolica: un afflusso importante potrebbe indicare la volontà del popolo di voltar pagina rispetto al miraggio che è stato IS, il che rivelerebbe un deciso tracollo nella sua capacità di irretire e intimorire per mantenere il potere. La seconda, più “pragmatica”: un’elezione segnata da importanti livelli di affluenza alle urne indicherebbe li venire meno di IS nel dar seguito alle sue minacce e soprattutto porrebbe il sigillo sulla sua sconfitta territoriale – non tramite le armi ma attraverso la popolazione su cui esercitava il dominio e sul cui supporto dipende per la sopravvivenza.

Di certo una prova determinante saranno le elezioni irachene del 12 maggio. È qui infatti che la propaganda anti-democrazia di IS ha battuto con più forza ed è qui che il califfato era stato proclamato nel 2014; il Paese inoltre sembra essere profondamente diviso e non solo reduce dalla guerra contro il califfato ma anche vittima di divisioni interne. Tuttavia queste elezioni presentano anche una delle migliori opportunità per riscattare decenni di lotte e IS è consapevole di dover impedire che tale possibilità veda la luce. Alla vigilia delle elezioni del 12 maggio, a prescindere dalla sua vittoria o sconfitta, è chiaro che IS potrà ancora contare su un’arma a suo vantaggio: l’opportunismo. L’intera regione è infatti in preda a una instabilità diffusa e un processo delicato come quello elettorale può essere una facile preda se gli uomini di al Baghdadi sapranno far leva sulle questioni che negli anni hanno spinto migliaia di persone a unirsi alla sua causa. Infine, è bene ricordare che nei mesi a venire altri Paesi verranno chiamati al voto, compresi la Libia – dove a suo tempo IS ha instaurato una delle sue marche occidentali – e l’Afghanistan – terra di elezione della sua giovane provincia del Khurasan: quali che siano i risultati delle consultazioni di questa primavera, è certo che IS saprà far tesoro delle lesson learned di questi mesi per metterle a frutto in entrambi i teatri.