Le aree urbane e suburbane a rischio di radicalizzazione nel milanese – by Andrea Foffano

Secondo i dati raccolti dall’ORIM (Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità) e contenuti nel rapporto relativo all’anno 2016, in Lombardia vivrebbero circa 10 milioni di persone. Fra questi, circa 1.314.000 risulterebbero soggetti immigrati da paesi esteri. Fra questi, gli irregolari sarebbero stimati in circa 96.000 unità. Secondo i dati raccolti in base alle ATS (Agenzia di Tutela della Salute) di riferimento, la media regionale relativa al numero di persone immigrate rispetto alla popolazione locale residente, si attesterebbe attorno al 13% del totale, con punte del 16% riferibili propriamente all’area metropolitana di Milano. A seguire le aree di Brescia e Mantova, con punte che sfiorerebbero il 15%. La percentuale d’immigrati di religione musulmana, riferibile al totale dei soggetti immigrati in Regione Lombardia e ivi residenti nell’anno di rilevazione 2016, sarebbe il 37,6% del totale, contro il 25% riferibili alla sola città di Milano e il 29,8% all’intera provincia milanese.

Questi i numeri dai quali dobbiamo partire, per concentrare la nostra attenzione sull’intricato “mosaico milanese”. È proprio datata poco più di una settimana fa, la notizia secondo la quale sarebbero state presentate a Milano le linee guida del futuro “Piano di Governo del Territorio” (PGT), con annesso “Piano per le strutture religiose”. La giunta in carica ha optato per alcune scelte che, se dovessero ottenere l’approvazione del Consiglio Comunale, cambierebbero radicalmente l’approccio alla diffusione del culto religioso islamico in città.

Il documento, infatti, concederebbe il “via libera” alla nascita di 7 moschee a Milano. In 4 casi si tratterebbe di una semplice messa a norma di immobili abusivi, oggi già utilizzati dalle associazioni culturali islamiche come luoghi di preghiera: l’edificio di via Padova/Cascina Gobba (associazione Al-Waqf Al-Islami in Italia), quello di via Maderna (Comunità Culturale Islamica Milli Gorus), lo stabile di via Gonin (associazione culturale no profit Der El Hadith) e la moschea di via Quaranta (Comunità Islamica Fajr). Nei rimanenti tre casi, gli spazi di via Esterle, di via Marignano e del parcheggio Trenno di via Novara, la giunta Pisapia aveva già messo a concorso le relative metrature per la realizzazione di luoghi di preghiera, ma i progetti furono poi bloccati da altrettanti ricorsi. Ora, in base alla legge urbanistica di Regione Lombardia, che prevede l’inserimento obbligatorio nel PGT delle aree destinate alla realizzazione di luoghi per il culto religioso, le tre aree potrebbero essere assegnate ai relativi vincitori, tre associazioni musulmane. L’unico punto di domanda riguarda gli spazi di via Marignano, che potrebbero essere affidate a un Centro Cristiano Evangelico, vista l’esistenza di una norma che impedisce l’affido di tutti e tre i bandi alla medesima confessione religiosa.

Non solo: il bando specifica che “i soggetti richiedenti dovranno garantire la totale trasparenza nella gestione e documentazione dei finanziamenti ricevuti, provenienti dall’Italia o dall’estero”. Un chiaro rimando al caso “Qatar Charity” relativo alla moschea di Sesto San Giovanni, nel quale alcune fonti giornalistiche evidenziarono la possibilità di finanziamenti esteri di dubbia provenienza: l’associazione “Qatar Charity”, infatti, è stata più volte accusata dagli analisti americani di essere un’organizzazione vicina ad Al-Qaeda e al terrorismo internazionale, sin dalla fine degli anni novanta. Questo fatto ha spinto molte delle amministrazioni comunali a imbastire una sorta di vigilanza economica, per evitare che la costruzione di luoghi di culto islamici si trasformi in una massiccia elargizione di finanziamenti occulti destinabili radicalismo religioso.

Nello specifico, analizzando il contesto sociale dell’area metropolitana di Milano, siamo in grado di individuare alcuni hot spot, ovvero alcuni punti geografici in cui il contesto sociale locale subisce una marcata deviazione rispetto alla media generale, creando le condizioni situazionali specifiche nelle quali potrebbe più facilmente attecchire il fenomeno del radicalismo religioso. Li elenchiamo di seguito:

  • Zona Corvetto: in via Quaranta si trova una moschea abusiva in via di autorizzazione. L’edificio è inserito in un’area a elevato tasso di criminalità, soprattutto relativo allo spaccio di sostanze stupefacenti. La risultante è un centro di culto che si è spesso trovato indifeso alle infiltrazioni radicali, ed è finito al centro delle cronache per le sue frequentazioni. Un eventuale opera di proselitismo religioso, in questa zona, troverebbe terreno fertile per la debolezza sociale di alcune fasce della popolazione residente.
  • Zona San Siro: sono più di 900 gli alloggi Aler occupati abusivamente. Gli appartamenti sono soggetti al controllo del racket, gestito principalmente da stranieri nordafricani, che hanno la concreta possibilità di assegnare l’utilizzo temporaneo di un’abitazione dietro compenso economico. Ad agosto 2017 Regione Lombardia ha emanato un nuovo regolamento che prescrive e regola l’usufrutto di tali appartamenti, ma alle norme non sono seguiti gli sgomberi e gli interventi per sradicare il problema. Pertanto, a oggi la situazione rimane assolutamente critica. La moschea di riferimento più vicina in zona è quella di via Gonin.
  • Zona Piazza Selinunte: conosciuto come il “quadrilatero della paura”, definito dall’incrocio delle vie Tracia, Civitali, Paravia e Morgantini. E’ la zona più problematica del quartiere San Siro. Si stima che su 12.000 persone residenti, più di 5.000 siano stranieri. Da un appartamento di via Civitali proveniva Mohammed Game, che nel 2009 rimase ferito nello scoppio di un ordigno avvenuto davanti alla caserma “Santa Barbara” dei Carabinieri. Inoltre, proprio in via Tracia viveva anche il marocchino Nadir Benchofri, arrestato nel 2016 con l’accusa di progettare un attentato nel centro commerciale di Sesto San Giovanni.
  • Zona Lorenteggio/Giambellino: qui si trova la moschea via Gonin. Il quartiere, noto alle cronache per il suo passato turbolento, soffre di problematiche sociali di devianza criminale. I fenomeni di spaccio di sostanze stupefacenti sono sotto stretto monitoraggio delle forze dell’ordine, che non mancano di compiere azioni di contrasto e smantellamento delle strutture criminali attive nell’area. Il business del racket delle occupazioni abusive è una piaga che colpisce il quartiere in maniera incisiva. Alta la percentuale di stranieri residenti illegalmente, di cui spesso è anche difficile compiere un censimento preciso.

Importante anche definire la situazione nella quale versano da anni alcune moschee milanesi, tra le quali quelle di:

  • Via Cosenza: lo stabile è stato giudicato abusivo da due documenti ufficiali di settori competenti in materia del comune di Milano. Le tracce dei finanziamenti di cui avrebbe goduto la comunità religiosa della zona sono finiti, proprio in questi giorni, al centro di roventi polemiche, a causa dei dubbi sollevati relativamente alla loro provenienza. Il luogo di culto è allestito nei circa 200 metri quadri di un ex magazzino-laboratorio all’interno di un condominio.
  • Via Stadera: il luogo di culto è situato nel bel mezzo di un quartiere molto problematico, nel quale episodi di aggressioni, anche alle forze dell’ordine, e spaccio di sostanze stupefacenti sono all’ordine del giorno.
  • Viale Jenner: è la moschea in cui sono passati Abu Omar, indagato dalla procura di Milano per terrorismo internazionale, Abdeikader Ben Moez Fezzani, arrestato nel 2016 in Sudan poiché ritenuto il principale reclutatore di ISIS in Italia per la Libia, Abu Imad, altro imam condannato per terrorismo, e due degli attentatori responsabili degli attacchi di Madrid del 2004.

Passando ora ad analizzare la parte suburbana della provincia milanese, notiamo come gli hot spot descrivano una sorta di semicerchio, che circonda il centro della città, quasi a protezione della stessa. Da qui il nome “cintura milanese”, riferita alla zona composta da tutti quei paesi siti nella periferia di Milano, sicuramente meno sottoposti ai controlli delle forze dell’ordine, che hanno una probabilità intrinseca assai maggiore di sfuggire ai meccanismi di controllo. Di seguito alcuni eventi molto significativi:

  • San Donato Milanese: Nabawy Mohamed Ahmed Salem, 31 anni, cittadino egiziano rimpatriato nel 2017 per connessioni al terrorismo internazionale.
  • Sesto San Giovanni: oltre alla questione dei 320.000 euro di debiti relativi alla comunità religiosa locale e al mancato rispetto legge regionale sull’urbanistica del 2015, che prevede l’inserimento nel PGT della costruzione della nuova moschea, a Sesto San Giovanni è stato ucciso Anis Amri, il terrorista responsabile degli attacchi di Berlino. Inoltre, nel 2017 Omar Nmiki, marocchino di 35 anni, viene arrestato con l’accusa di apologia di terrorismo. L’inchiesta è partita dalla Polizia Postale di Perugia e vede coinvolti altri soggetti residenti in Germania. Sempre nel 2017 scoppia il caso “Qatar Charity”, nel quale alcune testate giornalistiche pongono il dubbio sulla lecita provenienza dei fondi per la costruzione della nuova moschea.
  • Rozzano: nella moschea di via Aspromonte sono circa 300 le persone che il venerdì si recano in preghiera. Tra questi, 3 sospetti fiancheggiatori dell’ISIS e un italiano convertito, che viveva tra Londra e Milano e che era stato segnalato per i suoi spostamenti in un paese arabo. Il caso è salito alla ribalta delle cronache nel 2015.
  • Inzago: molto famoso il caso di Fatima, ovvero Maria Giulia Sergio, la prima foreign fighter donna italiana. Assieme a lei, la procura di Milano ha coinvolto nelle indagini tutta la sua famiglia: il padre Sergio Sergio, la madre Assunta Buonfiglio e la sorella Marianna Sergio. Indagati anche il marito Aldo Kobuzi e alcuni suoi parenti.
  • Vimodrone: Monsef El Mkhayar e Tarik Aboulala erano giovani seguiti in una comunità di recupero del paese diretta da un sacerdote. Nel 2015 scappano dall’Italia e nel 2016 il primo muore nei combattimenti in Siria; per Aboulala viene spiccato un mandato di cattura internazionale.
  • Cologno Monzese: S.B. è un muratore precario e nel 2014 viene ripreso mentre partecipa ad una esecuzione di soldati di Assad caduti prigionieri. Lui e altri 8 siriani vengono indagati per terrorismo internazionale.
  • Vimercate: un tunisino di 41 anni viene espulso perché dalle intercettazioni emerge chiaramente la sua disponibilità a compiere “gesti eclatanti” in nome della fede. Vengono provati i suoi frequenti contatti con un connazionale, foreign fighter in Siria: è il marzo 2018.
  • Bresso: Ahmed Taskour, 47 anni, a dicembre 2014 si licenzia, ritira il TFR e si reca con la famiglia in Siria. Subito dopo posta un video che ritrae la sua famiglia mentre inneggia all’ISIS.

Quanto sopra descritto non può non farci dedurre alcune importanti considerazioni finali. In primo luogo la grande opportunità rappresentata dal disegno di legge sul radicalismo islamico presentata dai deputati Manciulli-D’Ambrosio. L’approvazione di questa norma consentirebbe di porre vincoli precisi sulla proliferazione del radicalismo nel nostro paese, consentendo peraltro i controlli finalizzati in tal senso da parte delle autorità amministrative locali e statali. In secondo luogo, non può non colpire il nesso intercorrente fra il radicalismo religioso e i luoghi di culto abusivi che spesso nascono in quartieri ad alto tasso di criminalità diffusa. La conseguenza di un tale evento è senza dubbio la nascita di fenomeni di devianza sociale che, come gli esempi francesi e belgi dimostrano in maniera cristallina, portano il giovane a divenire facile preda dei reclutatori, spesso inseriti in contesti religiosi abusivi e poco sorvegliati. Infine, la collocazione geografica degli hot spot sopra elencati, permette la facile individuazione di una tendenza centrifuga degli episodi di radicalizzazione, che avvengo sempre più in aree periferiche o addirittura suburbane e provinciali, dove la comunità religiosa è più facilmente penetrabile dai soggetti radicalizzati, che trovano protezione e supporto logistico in un ambiente caratterizzato da una scarsa sorveglianza e da una minore presenza delle forze dell’ordine.