Meriem Rehaily: cosa implica la storia della jihadista padovana – by Giovanni Giacalone

Meriem Rehaily, la ventiduenne marocchina fuggita nell’estate del 2015 da un paesino del padovano per raggiungere la Siria e unirsi al Daesh, potrebbe essere rientrata in Europa e sarebbe attualmente nascosta in Francia sotto falsa identità. La notizia è stata rivelata pochi giorni fa dal quotidiano marocchino Al-Ahdat al-Maghribia e si baserebbe su fonti legate all’intelligence europea, forse francesi o spagnole. La notizia ovviamente non trova conferme ufficiali da parte degli investigatori. Ambienti vicini al ROS di Padova interpellati dall’Ansa sottolineano che si tratta di fonti al momento non verificabili e quindi non attendibili, ma che sul caso sono in corso ulteriori accertamenti.

La Rehaily è stata condannata lo scorso 12 dicembre dal Tribunale di Venezia a quattro anni di reclusione per arruolamento con finalità di terrorismo e con espulsione prevista al termine della pena; è tutt’ora latitante.

Nell’attesa che emergano ulteriori elementi che possano confermare un suo eventuale rientro in Europa è utile ricostruire alcuni elementi sul caso in questione in modo da avere una visione più chiara.

Il 14 luglio 2015 Meriem Rehaily spariva dalla sua casa di Arzergrande, in provincia di Padova, per raggiungere l’aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna dove si imbarcava su un volo per Istanbul. Poche ore prima di salire sull’aereo postava il suo giuramento al Califfo: “Dio, ho promesso il mio pegno di fedeltà e lo rinnovo per il principe dei fedeli, il mio Cheick Abu Bakr al-Baghdadi”.

Di lì a poco la Rehaily giungeva in Siria dove il Daesh, grazie alle sue capacità informatiche, la reclutava come hacker e la mandava anche al confine con la Turchia per aiutare a filtrare gli ingressi, sfruttando le sue conoscenze linguistiche.

In una conversazione intercettata la Rehaily spiegava il suo ruolo e la necessità di terrorizzare gli infedeli:

Faccio logistica, qui mi sento utile. Noi siamo terroristi e il fatto di atterrirvi è parte della nostra fede… Ho sostenuto il mio Stato davanti a un computer e non tornerò indietro. Se dovessi essere costretta lo farò anche sul campo”.

Nel settembre del 2016 gli inquirenti formulavano l’ipotesi secondo la quale la marocchina potesse essere entrata a far parte della brigata “al-Khansaa”, composta esclusivamente da donne in gran parte provenienti da Europa e Russia, nota per le violenze messe in atto nei confronti delle “sorelle” che non rispettano i dettami imposti dal Daesh.

Meriem Rehaily aveva mostrato in più occasioni di avere le idee chiare, come quando aveva inviato a una sua amica delle immagini di una decapitazione affermando: “Non puoi immaginare quanto ho goduto ieri, non vedo l’ora di piegare uno e togliergli la testa”.

La ragazza aveva anche pubblicato l’elenco di dieci obiettivi da eliminare, uomini delle forze dell’ordine di cui aveva inserito foto e indirizzo di residenza, risultati poi non completamente esatti. Per quanto riguarda un suo possibile ritorno in Italia diceva: “Ovvio che ritorno con la testa alta, io, non me ne frega di nessuno: se anche mi arrestano più di centomila anni, me ne vanto…”.

Oltre ad affermare di “essere fiera di essersi unita all’Isis” e di aver “visto la verità” la Rehaily sparava a zero contro i giornalisti, accusati di aver scritto falsità su di lei: “Quando ritorno, sarà un altro discorso con loro, con tutti i giornalisti, lo giuro su Dio che sarà un altro discorso con loro…”.

Nel contempo però emergevano elementi sul possibile pentimento della Rehaily: nel gennaio 2016 i Carabinieri del ROS intercettavano una telefonata fatta al padre nella quale la ragazza affermava di essere pentita della scelta fatta e chiedeva di essere riportata a casa.

Un altro contatto con la famiglia avveniva nel novembre del 2016 quando la ragazza ribadiva il suo pentimento, affermando di essere terrorizzata dalla guerra, ma di non poter lasciare Raqqa; poi più nulla.

Lo scorso luglio da Raqqa giungevano informazioni non confermate secondo cui la Rehaily sarebbe stata lapidata per adulterio dalla polizia religiosa, ma anche in questo caso la notizia non ha mai trovato conferma.

Nel frattempo però iniziavano già a circolari altre voci su un suo rientro in Europa, forse tramite rotta balcanica. Pochi giorni fa il quotidiano marocchino precedentemente citato rendeva noto che la Rehaily sarebbe riuscita a fuggire all’assedio di Raqqa mescolandosi tra i jihadisti in fuga verso il confine turco e da lì verso la Francia dove vivrebbe con documenti falsi, contando su una rete di contatti jihadisti del Daesh. Se così fosse allora vi sarebbe anche il rischio che la ragazza possa attivarsi per colpire obiettivi in Europa.

Il magistrato Roberta Marchiori spiegava che a preoccupare è la sua disponibilità al martirio:

“Allo stato non può escludersi che l’indagata possa essere disponibile a mettere a segno azioni kamikaze da commettere anche in Italia e in particolare a Roma”. [1]

In base alle informazioni a disposizione è possibile mettere in evidenza alcuni aspetti e porsi delle domande.

In primis le tempistiche del “pentimento” della Rehaily coincidono con l’inizio della disfatta del Daesh in seguito all’intervento militare russo partito nel settembre 2015.

A inizio ottobre le forze aeree di Mosca cominciavano i bombardamenti su Raqqa, come confermato sia dalla Reuters sia da Al-Mayadeen TV. [2] Tra gli obiettivi colpiti vi erano basi aeree, posizioni del Daesh, centrali elettriche, vie di comunicazione. [3]

L’8 dicembre 2015 una serie di missili lanciati da un sottomarino russo nel Mediterraneo centra obiettivi importanti del Daesh sempre a Raqqa e in seguito veniva reso noto che in soli tre giorni le forze aeree russe avevano operato trecento operazioni colpendo più di seicento obiettivi.

L’11 dicembre 2015 il Presidente russo Vladimir Putin ordinava all’esercito russo di distruggere tutti gli obiettivi che potessero risultare potenziali minacce e di colpire duramente. [4]

Raqqa, la capitale dell’autoproclamato “Stato Islamico” e il resto del territorio siriano sotto il controllo del Daesh si erano trasformati in un inferno e forse non è un caso che nel gennaio 2016 la Rehaily chiamava casa dicendo di essere pentita e di essere spaventata dalla guerra e dalle bombe.

In secondo luogo, se il rientro della Rehaily in Europa tramite rete jihadista dovesse essere confermato, allora è plausibile ritenere che la ragazza sia ancora legata al Daesh e ciò lascerebbe trasparire dubbi sul pentimento dichiarato nelle telefonate intercettate. Insomma, una situazione ben poco chiara.

Per quanto riguarda la rete che ha reclutato la ragazza marocchina e che le ha permesso a di raggiungere la Siria, trattasi della stessa che l’ha poi aiutata a rientrare in Europa sotto falso nome? Oppure si è appoggiata ad altre network?

In Francia sono attive diverse “reti del terrore” che, secondo fonti locali, troverebbero appoggi nelle banlieue delle periferie, luoghi di difficile accesso alla Polizia. E’ plausibile che anche la Rehaily possa aver usufruito di tale supporto?

[1] http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2017/05/17/news/meriem-papa-aiutami-voglio-tornare-a-casa-1.15346737

[2] https://www.reuters.com/article/us-mideast-crisis-syria-raqqa/russia-jets-strike-islamic-state-in-northern-syria-al-mayadeen-tv-idUSKCN0RV4UV20151001

[3] Tra gli obiettivi colpiti anche la base delle milizie Liwa al-Haqq.

[4] http://www.bbc.com/news/world-europe-35070354