Resilience Fiction: quando la resilienza delle infrastrutture critiche è solo apparenza  – by Barbara Lucini

Succede in Italia:

  • 09 Aprile 2015 Spari in Tribunale a Milano: tre vittime
  • 10 Aprile 2015 Crollo pilone di un viadotto sull’autostrada A19 in Sicilia
  • 13 Aprile 2015 Crollo di una scuola elementare a Ostuni: due bambini e una maestra feriti
  • Ondate migratorie delle ultime settimane

Questo è un racconto di uno strano fenomeno ovvero di come una parola, che la semiotica rimanda necessariamente ad un significato, nella triste realtà dei fatti elencati sembra non esistere, è quasi pura invenzione, nonostante continui ad essere citata da molti, in qualsiasi contesto. La parola in questione è “resilienza” ovviamente e questo scritto riguarda come essa venga sempre più accostata ad altre parole o concetti e di come si crei la magia di questa finzione e del suo mancato esserci.

Perché parlare di resilienza come già si è detto è solo una moda.  Si sta privando del suo significato e della sua importanza reale, un concetto tanto antico quanto fondamentale.

Una parola che è stata mortificata avvicinandola ad altri costrutti per dare importanza e scientificità a concetti e persone che forse in sé non ne avevano.

E’ diventata anche un giustificativo per sollecitare finanziamenti di progetti spesso imperiosi, ma irrealizzabili o con risvolti pratici solo per gruppi sociali (se così si possono definire) ben specifici.

Ecco allora spuntare la resilienza delle infrastrutture critiche.

Ma siamo davvero così sicuri che in Italia si possa parlare – allo stato attuale – di una resilienza in questi contesti e rivolta a queste strutture?

Prendiamo l’esempio della sparatoria occorsa in Tribunale a Milano, quasi tre settimane fa.

Tutti a puntare il dito sui controlli mancati, sul metal detector che non funzionava in entrata, ma se analizziamo bene, il problema più grande dopo l’entrata di un omicida in un tribunale che a ben ragione si categorizza come infrastruttura critica, è stata l’uscita indisturbata dell’assassino per le strade del centro di Milano e periferia, arrestando la sua folle corsa dopo una mezz’ora circa di viaggio.

E a nulla valgono le solite e quasi oramai rassicuranti (perché sempre più utilizzate) domande di rito: “come è stato possibile?!”

Bene: non è necessario chiedersi come sia stata possibile una simile situazione, perché la risposta la sapevamo ancora prima del fatto.

Perché la risposta a questa vergogna è stata data il giorno seguente con la lunga coda di persone in fila per entrare in Tribunale, perché il giorno dopo tutto è sempre più efficiente, curato e perché no resiliente.

Invece, il crollo del pilone sull’A19 in Sicilia identifica bene problemi noti da 100 e più anni: certamente un conosciuto dissesto idrogeologico sul quale però si è costruito in modo dissennato.

Per esperienza, ricordo ancora il mio primo viaggio in Molise nel 2011 dopo nove anni dal terremoto e quel “rumore” poco rassicurante dei binari del treno al suo passaggio lungo un viadotto. Appena arrivata chiesi da che cosa fosse determinato quel suono così strano ad alcuni abitanti, che fra l’intimorito e l’umiliato mi risposero: “sa dopo il terremoto, le viti dei viadotti non sono più così stabili…”

Se si pensa che attraverso quelle stesse strade sono passati i mezzi di soccorso e le colonne mobili regionali e nazionali, si capisce perché sostengo la necessità di parlare di resilienza in campo operativo e strategico solo in presenza di competenze specifiche.

Ancora, il crollo della scuola elementale a Ostuni rappresenta uno dei limiti massimi di danno e incuria che un’infrastruttura come la scuola, può raggiungere.

Altri soffitti erano già crollati, purtroppo causando anche la morte di uno studente e sempre la prima idea alla quale ho pensato è stata: “va bene il gioco delle responsabilità fra Presidi e imprese costruttrici, va bene sentirsi sempre dire che le cause sono da ritrovarsi nella “cultura italiana” della mancata prevenzione, ma ci si dimentica sempre più spesso di un aspetto inquietante: le scuole primarie e quelle secondarie di primo grado sono obbligatorie di legge, ovvero genitori o chi ha in affido bambini non possono sottrarsi all’obbligo di mandare questi minorenni a scuola.

E questa è una legge nazionale senza possibilità di dividersi responsabilità fra soggetti vari.

E la connessione fra questa obbligatorietà coercitiva e l’assoluta mancanza di sicurezza certificata dovrebbe far sorgere delle riflessioni sul futuro (questo sì resiliente) di simili infrastrutture.

E’ la stessa situazione delle carceri localizzate in zone a rischio sismico (come per esempio a L’Aquila) e le mancate norme di sicurezza in caso di emergenza.

Perché se è vero che in Italia la pena di morte è stata abolita, è anche vero che persone rinchiuse in strutture fatiscenti o non a norma, in caso di terremoto potrebbero essere destinate a gravi danni.

E in questo contesto occorre parlare dei naufragi delle ultime settimane e della necessità quanto più urgente di chiarire ruoli e approcci tecnici da utilizzare in queste situazioni.

I porti e le zone costiere sono da sempre infrastrutture critiche e la loro difesa è sempre stata oggetto di controversi dibattiti politici e tecnici.

Questi eventi nelle ultime settimane hanno riportato l’attenzione alla necessità di ripensare sia la definizione di infrastrutture critiche, che in società sempre più complesse vedono il loro moltiplicarsi in modo quasi esponenziale, sia la reale aderenza del concetto di resilienza al contesto nel quale si vuole introdurla.

E’ il caso di evitare il suo utilizzo come passepartout di qualità e sicurezza, a favore di una maggiore e seria riflessione circa la sua adeguatezza e le sue possibilità di azione concreta.

I fatti prima citati hanno invece fortemente messo in luce quella caratteristica, per lo più italiana, di utilizzare il concetto di resilienza in maniera vicaria.

Ed ecco quindi alcuni dei motivi per i quali si può parlare di resilience fiction:

  1. resilience fiction rimanda ad una doppia accezione: da un lato resilienza come finzione, dall’altro resilienza come fiction ovvero genere cinematografico, basato essenzialmente su un meccanismo di narrazione a puntate. Più o meno la stessa dinamica attraverso la quale possono essere riassunti i recenti tragici eventi;
  2. accanto alla più che stringente normativa relativa al settore sicurezza, per le scuole, gli ambienti di lavoro e le infrastrutture critiche in generale, esiste una zona d’ombra, una selva di condoni, revisioni, delibere che permettono lo svilupparsi di azioni devianti, mascherate poi (perché sempre di fiction si parla) da resilienza e legittimate in termini di opportunità e sviluppo;
  3. si sta pericolosamente trasmettendo il messaggio che la resilienza possa considerarsi come un principio universale dotato di vita propria. Anche questa è finzione. Se è vero infatti, che in ambito individuale psicologico una persona può o meno avere innate qualità o aspetti di personalità resilienti, non è possibile dirlo per le organizzazioni;

Le infrastrutture critiche, le comunità hanno la facoltà di poter scegliere come organizzarsi e di conseguenza come reagire a momenti di stress o emergenze;

Enti, organizzazioni a agenzie di vario livello e settore imparano ad essere resilienti, a prevedere, anticipare e analizzare fenomeni che potrebbero generare una crisi e rendere indispensabile una risposta resiliente;

  1. la resilienza è un principio operativo che deve essere condiviso fra le diverse componenti delle infrastrutture critiche. Dovrebbe essere utilizzato in un approccio finalizzato al coordinamento e non alla gerarchia organizzativa o peggio politica;
  2. la resilienza urbana o quella delle infrastrutture critiche non si basa su meccanismi dati una volta per tutte, ma su dinamiche e scenari in continua evoluzione, che necessitano di essere rivisti nelle loro necessità tecniche, logistiche, organizzative, strategiche.

Come hanno dimostrato questi ultimi eventi, le infrastrutture critiche in Italia versano in una pericolosa situazione di precarietà e vulnerabilità.

La loro efficace e adeguata resilienza dipende dai concreti piani di intervento e prevenzione, che sarà possibile attivare in modalità di coordinamento e solo dopo un’attenta considerazione delle specifiche vulnerabilità e criticità.

Prima prova per questa differente visione del concetto di resilienza saranno le decisioni prese dalle varie agenzie istituzionali, in merito alla gestione della crisi politico-umanitaria, che il Mediterraneo sta faticosamente cercando di gestire.