Terroristi a Bari: la catena Afpak, i rifugiati e le minacce all’Italia – by Marco Lombardi

Gli arresti di oggi a Bari sono importanti e interessanti: ci stiamo lavorando. Ma già sono possibili alcune considerazioni anche in relazione ai fatti di queste settimane.Innanzitutto vale la pena di ricordare un’ovvietà: gli arresti, e in queste settimane se ne sono fatti molti, devono tranquillizzare: significa che l’attenzione è massima e la capacità di prevenzione delle istituzioni del nostro Paese elevata. E’ appunto un’ovvietà: ma è utile, e anche oggettivo, leggere ogni tanto la “metà mezza piena del bicchiere” per non indulgere nell’allarmismo, senza negare l’oggettività della minaccia sottesa.

Nello specifico delle persone arrestate emerge una filiera afghano pakistana che, per esempio, si scosta da quella magrebina di lungo periodo che ritroviamo come matrice di quindici anni di attentati e che si colloca nella “casa madre” belga e centro europea. Ciò conferma una penetrazione più diffusa sul nostro territorio del radicalismo islamista. I cinque oggetto del decreto di fermo sono Qari Khestamire Ahmadzai, Surgul Ahmadzai, Gulistan Ahmadzai, Zulfiqar Amjad e Hakim Nasiri, oltre all’indagato Mansoor Ahmadzai: il cognome Aḥmadzai (o anche Ahmedzai) in Afghanistan solitamente identifica una tribù di musulmani sunniti Pashtun, a ulteriore rinforzo del legame Afpak che emerge.

La capacità operativa del gruppetto è ancora tutta dimostrare ma emerge una attenzione alla pianificazione di possibili attentati, come testimoniano le immagini ritrovate nei loro device e i documenti utili alla loro formazione da terroristi. Questo aspetto pianificatorio autonomo richiede ulteriori approfondimenti rispetto alle analisi sulla catena di comando e controllo che ha finora orientato gli attentati di Daesh in Europa. In questa prospettiva è altresì fondamentale capire attraverso quali canali questa catena si è dipanata, anche in riferimento alle indicazioni che erano state date agli arrestati nel varesotto, di settimana scorsa, ai quali era stato chiesto di non partire per Daesh ma di restare in Italia per commettervi attentati. Se questo fosse un indirizzo generale, condiviso anche da differenti cerchie radicali, significherebbe un incremento significativo dello stato di allarme, indipendentemente dagli “scalzacani” o meno che lo ricevono. In ogni modo, l’attenzione ai soft target è evidente: ma anche in questo caso scontata, come abbiamo più volte affermato, rispetto alla serie di attacchi di cui si è sofferto in questi mesi. Si tratta di un trend confermato.

La connessione con i flussi di persone, migranti o rifugiati, è altrettanto constata. Già nei giorni scorsi era stato lanciato un allarme sui centri di accoglienza ed era confermata la presenza di agenti anti terrorismo Europol inviati in Italia e Grecia. La guerra ibrida, le contiguità tra terrorismo e criminalità organizzata, la flessibilità e l’opportunismo di Daesh, ci avevano indotto a fine 2014 a sostenere lo sfruttamento della tratta da parte del terrorismo. Poi ci sono state le evidenze degli ultimi mesi. E oggi formali constatazioni dell’impiego di questi canali. Ma non era possibile parlarne oggettivamente.

Sul tema delle migrazioni, in tutte le se sue sfaccettature, in questi anni abbiamo solo ascoltato il rumore con cui la politica ha riempito l’Europa, in una totale assenza di governance del fenomeno. Un rumore che si è solo polarizzato intorno alle scelte di chiusura o apertura, confliggenti ma totalizzanti entrambe, impedendo di arrivare a scelte condivise e, appunto, di governo.

Ormai siamo in ritardo.

Il rischio è quello di una ulteriore radicalizzazione del dibattito politico interno europeo intorno a queste due polarità, con la conseguenza di favorire una successiva radicalizzazione del sistema di relazioni internazionali, sia che si optasse per l’una che per l’altra.

Entrambe sono fallimentari perché sono entrambe, nella loro radicalità, contrarie al sistema di norme che impone l’aiuto, in certi casi, e il respingimento, in altri.

Entrambe sono fallimentari perché entrambe rinforzerebbero la capacità di penetrazione di Daesh arrivando allo scontro finale e totale che cerca: il “Dabiq” che vuole.

E’ il momento della scelta e della azione: cioè di esprimere capacità di governo.

Afg1