Volo Egyptair e sicurezza negli aeroporti – by Gaia Rossi

Nella notte tra il 18 e il 19 maggio alle 2.45’, il volo MS804 scompare dal radar. L’airbus, partito dall’aeroporto Charles de Gaule alle 23:09, non è mai arrivato a destinazione. Il volo con 66 persone a bordo è precipitato al largo dell’isola greca di Karpathos. Subito le amministrazioni si sono pronunciate con diverse ipotesi sulle cause dell’accaduto, la più “gettonata” sembrava essere quella del terrorismo. Ancora stamattina (24/05) non ci sono conferme o smentite su rivendicazioni riguardo l’accaduto.

Gli aggiornamenti di poche ore fa, riportano dichiarazioni di esperti della sicurezza aeronautica, americani e israeliani, convinti che la spiegazione più plausibile sia l’esplosione di un piccolo ordigno a bordo, o addirittura di più ordigni.

Le dichiarazioni continuano a essere contrastanti e poco chiare, soprattutto perché sono in campo interessi divergenti: la compagnia egiziana ha interesse a smentire dichiarazioni riguardo alle brusche virate compiute dal velivolo – informazioni che fino a ieri sembravano certe -; d’altro canto, per la Francia, ammettere che un nuovo tipo di micro-bomba abbia eluso i controlli, non è un buon biglietto da visita. Certezze arriveranno soltanto forse quando gli esperti riusciranno a recuperare la scatola nera; nell’attesa, viene spontaneo formulare alcune ipotesi.

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Se venisse confermata l’ipotesi del terrorismo, si ripresenterebbero gli “inquietanti” interrogativi che non trovano risposte certe dallo scorso (22 marzo) attentato all’aeroporto di Zaventam (Bruxelles). I media locali hanno più volte riportato le denunce fatte dal personale dell’aeroporto nei confronti di una criticità che dovrebbe essere tutt’altro che ignorata: 50 persone che lavorano all’aeroporto, tra il personale delle pulizie o duty free, hanno compiuto un viaggio di andata e ritorno verso la Siria. L’interrogativo è sul tipo di controlli effettuati su questo personale e se sia stata ignorata una informazione potenzilamente rilevante, specialmente nello stato d’allerta in cui è ora il Belgio?

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Analizzando lo scenario Egypt air, alcune domande sono ancora senza risposta:

  1. Assumendo che il volo MS804 sia stato attentamente perquisito e messo in sicurezza prima dell’accesso dei passeggeri, se si trattasse di terrorismo, come avrebbe fatto una bomba a eludere i controlli di accesso all’aereo?
    1. I controlli non sono stati effettuati in modo efficace ed efficiente?
    2. E’ possibile lo scenario di personale “infiltrato” nell’aeroporto[1]?
    3. Se sì, quale ruolo ricopre?
    4. A quali aree di sicurezza ha accesso?
  2. Le intelligence, se ne sono informate?
  3. Sono sufficienti gli standard di sicurezza attuali?

Già in seguito all’attentato dell’aeroporto di Zaventam i media diffondevano la notizia dell’implementazione nelle misure di controllo aeroportuali. Oggi, ci domandiamo la veridicità di queste informazioni e se, soprattutto, le misure di sicurezza siano sufficienti.

La sicurezza degli aeroporti Europei è legata alle norme internazionali stabilite dall’ente delle Nazioni Unite dedicato alla sicurezza dell’aviazione: ICAO (International Civil Aviation Organization). L’ente si occupa principalmente di sviluppare e coordinare una policy globale efficace, in risposta alle crescenti minacce all’aviazione civile. Tuttavia, la funzione di verifica del rispetto, della corretta e puntuale applicazione dei pertinenti requisiti tecnici e operativi previsti, è attribuita all’Autorità dello stato di registrazione.

Norme aeroportuali: due modelli a confronto

Tutti, bene o male, abbiamo viaggiato almeno una volta e ci siamo scontrati con la difficoltà e la noia di rispettare le normative di sicurezza riguardo al trasporto di liquidi e dei bagagli a mano. Documentarsi riguardo alle procedure da rispettare è facile, e tutte le informazioni sono riportate sui siti degli aeroporti Europei.

Le diverse procedure normalmente seguite comprendono:

  • misure di sicurezza applicate ai bagagli, ispezionati tramite il passaggio a Raggi X;
  • ispezioni alla persona, tramite il passaggio attraverso il metal detector, strumento che permette di individuare la presenza di oggetti metallici;
  • unità cinofile
  • telecamere interne e sulle entrate all’aeroporto.

L’interrogativo è: quanto queste misure di sicurezza ci danno la tranquillità e la certezza di imbarcarci su un volo “sicuro” (o almeno, messo in sicurezza da minacce che possano imbarcarsi insieme ai passeggeri) ?

Proviamo a considerare il Modello di sicurezza applicato nell’aeroporto di Tel Aviv, Ben Gurion. Esso prevede più di 5 livelli di sicurezza, divisi tra area interna ed esterna all’aeroporto:

  • L’area è completamente militarizzata: dalle strade, tutti i veicoli che arrivano all’aeroporto devono passare attraverso preliminari security checkpoint, dove guardie armate ispezionano il veicolo.

I controlli sono posti lungo le strade d’accesso e ai varchi merci; le bonifiche sono ripetute all’interno del perimetro degli scali.

  • Sofisticate macchine a raggi-X ispezionano le persone, a differenza dei tradizionali metal detector.
  • È data una maggiore attenzione al “fattore umano”:
    • I passeggeri devono arrivare almeno tre ore prima del decollo del volo: vengono “interrogati” dal personale dell’esercito specialmente se manifestano segnali d’irrequietezza e ansia;
    • Si differenziano le tempistiche dell’intervista e le domande poste in base all’età, la razza, la religione e la destinazione;
    • In seguito all’intervista è assegnato un “indice di pericolosità (Figura 4).
  •  Il supporto dell’intelligence, inoltre, agisce “a monte”: i database di sicurezza «studiano» il passeggero già al momento dell’acquisto del biglietto.
  • Il monitoraggio dei passeggeri è affidato a uomini dell’esercito, non a società private.
  • I bagagli sono messi in una camera a pressione atta a rilevare ogni possibile esplosivo.
  • Sono previsti dei robot che controllano il pavimento degli aeroporti.
  • Anche le aree dell’aeroporto non frequentate da passeggeri sono ispezionate: le recinzioni attorno al perimetro degli aeroporti sono monitorate da telecamere H24 e da sistemi radar che controllano non ci siano intrusioni.
  • Più ci si avvicina all’imbarco più i controlli sono serrati.

Raphael Ron, per cinque anni direttore della sicurezza di Ben Gurion, ritiene che porre una maggiore attenzione al “fattore umano” all’interno di un meccanismo di sicurezza, aiuti maggiormente a individuare e fermare gli attacchi terroristici. In quanto, essendo perpetrati da persone, concentrandosi direttamente sui comportamenti dell’individuo, congiuntamente a un buon uso della tecnica di profiling, gli attentati avranno una percentuale certamente inferiore di successo (considerando che, escludere totalmente il rischio, è impossibile).

Quale impatto potrebbero avere sulla società europea simili norme?

Se per implementare il sistema di sicurezza degli aeroporti europei, fosse necessario applicare le misure sopraelencate, queste good practices, quale impatto avrebbero sull’individuo?

Analizzando il paradigma del modello Tel Aviv, è evidente la maggiore “invasività” perpetrata nei confronti dei passeggeri rispetto al “meno invasivo” modello Europeo.

Ripensando brevemente alle reazioni delle persone in seguito a due storici macro-eventi, paragonandolo con quello attuale, si evincono reazioni psicologiche differenti: in seguito all’11/09 l’aumento dei controlli all’interno degli aeroporti fu vissuto e percepito come misura “necessaria” e il fastidio di un controllo più attento sulla persona, fu tollerato; dopo Bruxelles, 22/03, in seguito anche al passaggio dello stato di allerta da 3 a 4, la reazione delle persone si è suddivisa tra “forte paura” e “tentativo di reazione alle minacce”, cercando di allontanare il pensiero della loro realtà. La reattività alla grave minaccia, però, ha generato in alcuni un rifiuto nei confronti di misure di sicurezza più rigide, vivendole come una grave e inutile intrusione nella propria sfera di privacy.

Oggi, a pochi giorni dal misterioso incidente del volo MS804 di Egypt Air, è interessante osservare la reazione che è scaturita: non si sa ancora se si sia trattato di attentato terroristico o meno, ma in un certo senso, si aspetta una conferma con una rivendicazione del Daesh. Questo perché, nei momenti di paura, è importante che il nemico abbia un volto. Perché, in un certo senso, la via dell’attentato, escluderebbe l’ipotesi del guasto, problema che avrebbe possibilità maggiori di ripetersi e dal quale non sia possibile proteggersi maggiormente, essendo un’ineludibile fatalità.

Non avendo ancora conclusioni certe in merito alla causa scatenante l’incidente, le voci delle persone sono titubanti, spaventate; qualcuno già si sbilancia nel pronunciare il proprio fastidio all’idea di un innalzamento delle misure di sicurezza.

Non voler rinunciare alla propria libertà personale, è legittimo. Ma dipende a quale contesto si fa riferimento. Le persone non gradiscono controlli invasivi, ma contemporaneamente vogliono e pretendono sentirsi al sicuro quando viaggiano.

Il trade off è inevitabile, quello in cui si opera è un “negotiating space”: se si vuole più sicurezza, bisogna in parte rinunciare alla propria libertà personale; se si vuole preservare la propria libertà personale, non si può avere una maggiore certezza di sicurezza.

Purtroppo non ci si sofferma a ragionare sul valore che potrebbe avere tollerare un minimo d’invasione in più nella propria sfera di privacy: in un momento di non normalità, non si può rispondere normalmente. Più restrittive misure di sicurezza non dovrebbero essere viste dalle persone come limitazione, ma come un Servizio verso l’individuo, nel momento in cui il rischio è alto.

La non implementazione di misure di sicurezza, dopotutto, non avrebbe come conseguenza quella di non “fare il gioco del Daesh”; poiché, com’è evidente, la sua propaganda sta funzionando lo stesso. Anche se non si ha la certezza che l’incidente dell’Egypt Air sia stato un atto terroristico, la paura e gli affari hanno già parlato per Daesh. La strategia di propaganda di Daesh si è radicata e diffusa a tal punto che siamo noi stessi a far propaganda al terrorismo. Il terrorismo agisce da remoto, ormai parla anche senza dover utilizzare rivendicazioni.

Ecco perché, implementare le norme di sicurezza, potrebbe essere una “contrattazione” accettabile. Il terrorismo al momento non è comunque un’ipotesi da escludere, attribuirgli le responsabilità di incidenti è qualcosa che già sta avvenendo: perciò, cercare di prevenire in modo pratico per avere maggiore protezione-prevenzione, potrebbe essere un primo passo verso la sua effettiva limitazione.

Last but not least: l’aumento nella percezione di potersi spostare in modo più sicuro, potrebbe avere effetti positivi sull’economia, che al momento sta certamente avendo una crisi.

[1] Di stamattina la notizia che afferma che fonti israeliane sostengono che Parigi e Il Cairo siano convinti che il disastro sia stato causato «da un nuovo tipo di micro-bomba, o più di una, introdotte a bordo da un complice all’aeroporto Charles de Gaulle».