Attacco a Melbourne: come rispondere alle nuove minacce – by Matteo Vergani

L’attacco avvenuto venerdì scorso a Melbourne non è una novità. L’utilizzo di armi rudimentali (come i coltelli da cucina) da parte di individui con vaghe, o addirittura inesistenti relazioni con gruppi terroristi, è già stato visto in Europa, Stati Uniti e Australia. ISIS e al-Qaeda hanno promosso questa metodologia “low cost” nella loro propaganda, suggerendo tattiche, strumenti e consigli pratici per fare attentati senza avere grandi competenze, addestramento o equipaggiamento. Questo rende sempre più difficile il lavoro delle agenzie di sicurezza per identificare i potenziali attentatori e fermarli prima che portino a termine i loro piani.

Come è possibile prevenire questo tipo di attacchi?

Esperti di intelligence[1] suggeriscono di potenziare la risposta all’attacco creando team di agenti altamente addestrati e con tecnologie di avanguardia per intervenire tempestivamente in caso di attentati. Politici conservatori, tra cui il primo ministro Australiano Scott Morrison,[2] chiedono che i leader religiosi aumentino il loro controllo nelle loro moschee e comunita’ per impedire che ci siano estremisti in grado di reclutare i giovani. Altri politici chiedono nuove leggi che permettano alle autorità di arrestare preventivamente persone con ideologie estremiste o intervenire con altri provvedimenti come il braccialetto elettronico o il divieto di usare internet.[3] Infine, molti commentatori hanno chiesto piu’ risorse l’intelligence per monitorare elementi considerati a rischio.

A mio parere, nessuna di queste risposte e’ soddisfacente.

I team di agenti super-addestrati possono essere utili nel caso di sequestri prolungati, ma non riuscirebbero ad arrivare in tempo quando l’attentato si conclude nel giro di pochissimi minuti. In questi casi (la maggior parte), è molto più efficace avere agenti preparati e una cittadinanza consapevole e preparata a rispondere nel modo adeguato alla minaccia. Così come in paesi soggetti a catastrofi naturali come terremoti e tsunami la popolazione viene educata a reagire nel modo corretto, anche nei casi di attacchi di terrorismo è possibile sviluppare resilienza e preparazione.

Dare la responsabilità ai leader religiosi è fondamentalmente miope perché serve solamente a esasperare relazioni con le comunità. Dire che i leader religiosi non fanno abbastanza, implica che non ci sia trasparenza o volontà di intervenire quando vedono un problema. Al contrario, la verità è che i leader Islamici non hanno contatti con i giovani più radicali. Le comunità spesso faticano ad instaurare un dialogo tra prime e seconde generazioni, e vivono in mondi separati. Non sono i giovani attivi nelle moschee e nelle comunità ad essere un problema, ma coloro che sono alienati e allontanati dalle relazioni sociali. Quello di creare un dialogo con questi ragazzi è un lavoro lungo, che avviene dietro le quinte, nel quale sono impegnati lavoratori sociali, educatori, leader di comunità e servizi sociali. Sono molti gli interventi che vengono finanziati in queste comunità, e probabilmente questi sono tra i metodi più efficaci di prevenzione dell’estremismo. L’attentatore di Melbourne, Hassan Khalif Shire Ali, era purtroppo sfuggito al radar di questi interventi, nonostante ne avesse un estremo bisogno. Molte testimonianze di chi lo conosceva hanno sottolineato come avesse problemi di abuso di sostanze e di salute mentale, che hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale nel suo percorso di radicalizzazione.[4]

Cambiare la legislazione e promuovere leggi restrittive delle libertà e dei diritti individuali non è una soluzione. Anzi, è una risposta che fomenterebbe il terrorismo. L’obiettivo del terrorismo è proprio quello di provocare una reaizone esagerata da parte delle istituzioni, al fine di alienare la popolazione, dividere le comunità, creare conflitto e delegittimare le istituzioni (cfr. il concetto di “doppia radicalizzazione” sviluppato da ITSTIME). Gruppi come l’ISIS sostengono che esiste uno scontro di civiltà tra l’Islam e l’Occidente, e l’Islamofobia e l’alienazione delle comunità musulmane in Occidente legittima la loro visione del mondo, e facilita il loro reclutamento. La sfida per le democrazie multiculturali occidentali è quella di garantire la sicurezza, e al tempo stesso i diritti e l’integrazione tra tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro religione, ideologia politica e origine etnica.[5]

Infine, il monitoraggio di tutti coloro che sono potenzialmente a rischio di commettere atti di terrorismo non è una soluzione praticamente percorribile. Le agenzie di sicurezza avevano motivi per ritenere Hassan Khalif Shire Ali un potenziale pericolo. Nel 2014 era entrato in contatto con Khaled Sharrouf, che poi sarebbe diventato un noto esponente australiano di ISIS.[6] Nel 2015 aveva tentato di andare in Siria lui stesso, ma era stato bloccato dalle autorita’ australiane che gli avevano revocato il passaporto. Conosceva personalmente Yacqub Khayre, che nel 2017 prese in ostaggio una prostituta e uccise un usciere a Melbourne.[7] Eppure, nonostante ciò, Hassan Khalif Shire Ali non era tenuto sotto controllo dalle agenzie di intelligence australiane. Il motivo è semplice: la sorveglianza è molto più difficile e costosa di quanto i film di Hollywood ci hanno abituato a pensare. L’Australia ha avuto centinaia di persone che hanno cercato di andare in Siria dal 2014, e questi a loro volta conoscono centinaia di persone che potenzialmente condividono la loro ideologia. E’ impossibile monitorare tutte queste persone permanentemente.[8] Piuttosto, è necessario investire in ricerca e migliorare le metriche esistenti per identificare coloro che sono a maggior rischio di passare all’azione e per selezionare chi, tra migliaia potenziali terroristi, deve essere monitorato.

Per concludere, è molto difficile prevenire questo tipo di attacchi. Ma proprio per questo bisogna lavorare più intensamente nella prevenzione, coinvolgendo le comunità e la società civile in questo sforzo. Questo potrà accadere solamente dove esiste un rapporto di mutua fiducia tra istituzioni e cittadini, tra forze dell’ordine e comunità. I leader politici e i commentatori che creano sospetto e fomentano la discriminazione dell’Islam aumentano il rischio di attentati, fanno il gioco dell’ISIS, e mettono a repentaglio il lavoro di prevenzione che viene fatto, giorno dopo giorno, lontano dai riflettori e dai microfoni dei media.

[1] https://www.smh.com.au/national/new-armed-terror-squad-needed-to-take-down-attackers-specialist-says-20181111-p50fds.html

[2]https://www.sbs.com.au/news/islamic-leaders-can-t-stick-heads-in-sand-on-radicalisation-says-pm

[3] https://www.canberratimes.com.au/politics/federal/why-are-we-waiting-for-them-to-commit-an-offence-mp-calls-for-extremist-orders-20181110-p50f78.html?_ga=2.154247548.576358821.1542105412-255466825.1542105412

[4] https://www.smh.com.au/lifestyle/health-and-wellness/please-do-not-tell-us-to-pray-away-our-mental-health-issues-20181008-p508dz.html

[5] https://www.palgrave.com/gp/book/9789811080654

[6]https://myaccount.news.com.au/sites/theaustralian/subscribe.html?sourceCode=TAWEB_WRE170_a&mode=premium&dest=https%3A%2F%2Fwww.theaustralian.com.au%2Fnews%2Fnation%2Fbourke-st-killers-ties-to-notorious-jihadist%2Fnews-story%2F03cb211a9f217ff371292ffe125f37fc%3Fnk%3Dd0f4fc8f13794ca1b4cc1654aad515dc-1542106159&memtype=anonymous&v21suffix=apaf-a

[7]https://myaccount.news.com.au/sites/heraldsun/subscribe.html?sourceCode=HSWEB_WRE170_a_GGL&mode=premium&dest=https://www.heraldsun.com.au/news/law-order/terrorist-hassan-khalif-shire-ali-knew-man-responsible-for-brighton-siege/news-story/92ed33d9f5fe4d0fd0ac279c07b85ef5&memtype=anonymous

[8] https://www.smh.com.au/world/oceania/lone-wolf-attacks-hard-to-prevent-but-so-are-simplistic-reactions-20181110-p50fa7.html