Attacco alla Francia. Daesh? Di certo il terrorismo

Oggi 23 marzo 2018, mattina, un ventiseienne d’origine marocchina, successivamente identificato come Redouane Lakdim, fermava un’auto a Carcassonne (Francia meridionale), sparava ai due occupanti del veicolo, uccidendo il passeggero e ferendo gravemente il conducente per poi impossessarsi del mezzo. Una volta a bordo si avvicinava e sparava colpi di arma da fuoco contro 4 militari della polizia nazionale che facevano jogging, ferendone uno gravemente al torace (due costole rotte e un polmone perforato). Sono le 10:30 circa. Successivamente Lakdim si dirigeva verso un supermercato di Trebes, il Super U, dove si asserragliava tenendo in ostaggio la clientela e uccidendo due persone. Gli ostaggi venivano poi fatti uscire; con il marocchino rimaneva un ufficiale della gendarmeria offertosi come ostaggio di scambio e rimasto gravemente ferito subito prima dell’assalto del GIGN alle 14:25 circa che ha posto fine all’assedio, abbattendo il terrorista. Un gendarme coraggioso che, lasciando acceso il proprio cellulare ha fornito utili informazioni ai colleghi all’esterno. Redouane Lakdim era schedato con la fiche S della radicalizzione.

Durante l’assalto Lakdim affermava di agire per conto di Daesh ed era armato di coltello, arma da fuoco e una granata. Secondo un testimone, il terrorista è entrato nel supermarket urlando “Allahu Akbar”, ha dichiarato di voler “vendicare la Siria” e ha chiesto la liberazione di Salah Abdeslam, l’unico superstite degli attentati parigini del 13 novembre 2015, attualmente in carcere in Francia.

Risulta d’interesse la data, visto che sei anni fa (il 22 marzo 2012) veniva ucciso Mohamed Merah, l’attentatore di Tolosa che aveva colpito dei militari francesi e una scuola ebraica. Ancora, due anni fa (22 marzo 2016) venivano invece colpiti l’aeroporto e la metropolitana di Bruxelles.

Di massima nulla di nuovo: un personaggio conosciuto alla sicurezza, francese di cittadinanza e alieno di cultura, che usa Daesh per scaricare la rabbia radicalizzandosi nel suo nome, offrendosi come porta bandiera a una organizzazione morente. Ma non sconfitta per i germi che ha distribuito e si sono radicati, in attesa di germogliare, senza un segnale evidente che ne segnali la fioritura: fiori del male molto diffusi in Francia.

Il modus operandi messo in atto durante l’operazione, così come gli obiettivi colpiti, sono ascrivibili alla metodologia operativa della lone jihad anche se l’attacco solleva ancora diversi interrogativi in relazione al suo livello di premeditazione e alla qualità dei collegamenti che lo ricondurrebbero al Daesh. Secondo le ricostruzioni, il soggetto sarebbe stato pesantemente armato, elemento che farebbe ipotizzare un certo livello di pianificazione precedente ma l’incertezza è grande perché

  1. L’attentatore, invece di affittare un mezzo o utilizzare il proprio, ha scelto di rubarne uno, uccidendo il conducente. Perché? Forse perché consapevole di essere segnalato temeva che affittare un’automobile fosse comunicato alla polizia. Forse perché non aveva soldi a sufficienza o perché a Carcassone non c’erano affitta auto a portata di mano. O forse perché ha improvvisato. Per ora la risposta è aperta, ma ciascuna evidenzia diversi livelli di consapevolezza delle proprie azioni o di preparazione strategica piuttosto che di improvvisazione totale.
  2. Lakdim ha aperto subito il fuoco contro degli agenti di polizia intenti a fare jogging. Perché? Se l’obiettivo principale, come sembra, non erano le forze di sicurezza, l’azione poteva rischiare di compromettere l’intera operazione, attivando immediate procedure di sicurezza. L’improvvisazione torna a riproporsi come la guida principale alla azione.
  3. Lakdim ha continuato poi la sua corsa ed è penetrato all’interno del supermarket Super U, situato a una decina di chilometri dal luogo della precedente sparatoria. A breve distanza si trovava anche il paese di Trebes: la scelta dell’obiettivo finale non risulta affatto chiara. L’l’hostage taking messo in atto all’interno del supermarket rappresentava un obiettivo pianificato? Oppure è stato un bersaglio di “fortuna” frutto di un atto terroristico voluto ma compiuto senza troppe attenzioni?

Chi è Redouane Lakdim?

Redouane Lakdim risiedeva a Carcassone dove viveva in casa con i genitori e le sorelle, frequentava la moschea locale, era un pregiudicato noto alle autorità per consumo e spaccio di stupefacenti. I suoi vicini lo descrivono come “calmo, gentile, simpatico, con una buona parola per tutti”.

Lakdim era però seguito dal DGSI (Direction générale de la Sécurité Intérieure) in quanto assiduo frequentatore di siti salafiti dove era molto attivo. Era anche sospettato anche di aver fatto un viaggio in Siria. Il 16 gennaio 2016 Lakdim veniva fermato e controllato dalla Polizia di frontiera francese.

Certamente era all’interno di quel circuito sensibile alla radicalizzazione, esposto alla comunicazione virale di Daesh e predisposto alla replica imitativa dei comportamenti violenti a cui era spinto. Non serviva un piano, bastava una scintilla. Forse.

Un paio di prodotti recenti della comunicazione recente di Daesh possono anche essere stati significativi. Per esempio il video “And a reminder 4” della wilayh Barakah diffuso il 15 febbraio, che ritrae Abu Umamah al-Maghrebi, jihadista marocchino come lo stesso Laktim, mentre sprona a combattere i nemici di Allah. Oppure il numero 118 del bollettino al-Naba, dove si plaude alla fermezza dimostrata da Salah Abdeslam – la cui liberazione era una delle richieste di Lakdim – durante il processo.

La rivendicazione.

Di certo è che appena morto, Lakdim è entrato nei ranghi ufficiali del terrorismo del defunto Daesh. L’agenzia di stampa AMAQ ha rivendicato prontamente l’accaduto: in lingua araba verso le 15:40 la prima edizione, poi le altre in numerose lingue tra cui italiano, inglese, francese e russo. La grande varietà di lingue in cui è stato tradotto il messaggio, in così poco tempo, è un dato interessante: forse un modo per estendere il più possibile la risonanza dell’attacco oppure un tentativo di raggiungere anche dal punto di vista linguistico i diversi supporter sparsi per il globo.

Una grande velocità a reclamare l’attacco, certamente spiegabile con la grande necessità che Daesh ha, adesso, di cantare quei colpi che ne possano dimostrare la sopravvivenza dopo la distruzione in Siraq. Daesh si sta giocando ora la vera sopravvivenza. Due sono gli scenari che portano a questa rapida rivendicazione.

Il primo scenario fa riferimento a eventuali contatti tra Lakdim e membri vicini al califfato. Solitamente la procedura rapida di rivendicazione tramite Amaq prevede la preventiva conoscenza dell’attacco da parte dell’agenzia. Spesso questo processo comprende l’invio, da parte dell’attentatore, di una video-giuramento che l’agenzia dovrebbe diffondere ad attentato compiuto. Sono molteplici i casi che hanno riportato questo schema d’azione in relazione alla rivendicazione, a esempio gli attentati terroristici avvenuti a Ansbach, Normandia, Balashikha, Berlino, Surghut e, pochi giorni, fa l’attentato perpetrato a Grozny. Se, nel caso di oggi, questo fosse lo scenario allora esso evidenzierebbe possibili connessioni tra Lakdim e “una organizzazione”, rendendo possibile anche il caso di virtual planning. Siamo in assenza di un video-testamento, ma la sua mancanza non può essere considerata indice assoluto di una mancanza di collegamenti con membri del califfato.

Il secondo scenario considera come elemento necessario per la celere rivendicazione lo stesso modus operandi di Lakdim. In altre parole, l’aver esplicitamente affermato di essere “membro” del Daesh e aver condotto l’attacco gridando “Allahu Akbar” divengono quegli elementi necessari e sufficienti per effettuare una rivendicazione dell’accaduto da parte di Amaq: sono elementi prontamente comunicati dai mass media, dunque pubblici, disponbili a chiunque in ascolto. È interessante porsi una domanda sulla possibilità di una sistematizzazione di questa pratica da parte del Daesh. In una fase di ridefinizione degli equilibri tra l’organizzazione terroristica e altri attori all’interno del contesto della guerra ibrida, può risultare comodo fornire indicazioni che permetterebbero in maniera automatica una rivendicazione sicura in termini di affidabilità dell’accaduto, in tal caso la chiara verbalizzazione dell’appartenenza e la successiva diffusione da parte dei media garantirebbe ai comparti mediatici del califfato una “green light” .

Il terzo scenario infine prevede un sistema di rivendicazione postumo. Daesh impiega questa modalità soprattutto in due casi: primo, quando l’attacco sembra ispirato ma non risulta diretto dal califfato; secondo, quando l’assaltatore o il gruppo di assaltatori rimangono uccisi durante l’operazione. Questa tattica costituisce l’occasione per identificare immediatamente i terroristi come propri martiri, innescando una celebrazione che potenzialmente potrebbe sfociare in un processo imitativo e virale da parte di altri simpatizzanti. In questo caso la rapidità della rivendicazione potrebbe essere stata accelerata dai supporter online amplificatori dell’attacco: tale ipotesi vedrebbe il ritorno della comunicazione spontanea e reattiva a un ruolo di primaria importanza.

Se l’ennesimo attacco alla Francia non ci dice ancora molto, apre domande interessanti a cui si lavora per rispondere. Perché aiutano a comprendere la nuova forma del terrorismo post Daesh.

Ma la tendenza è chiara: Daesh, nella forma organizzativa finora conosciuta, non c’è più perché si è trasformato – si sta trasformando anzi – in qualche cosa di altro. Ormai la questione non è più quella di “cercare Daesh” ma è quella di interrogarsi su quale sia la sua eredità e chi ne stia beneficiando. Solo in questa prospettiva possiamo attualizzare il pericolo, valutando la minaccia che ancora, e per lungo tempo, il terrorismo islamista porterà ai suoi nemici.

Due aspetti importanti di questa eredità, che Daesh ha consegnato al futuro terrorismo, sono la viralità della comunicazione e l’imitazione del comportamento. Nel corso del 2017 il califfato ha insistito per diffondere, attraverso i suoi canali comunicativi, metodi semplici di attacco, passando dall’uso del veleno ai coltelli, ai furgoni, all’uso del fuoco e degli acidi, al provocare incidenti d’auto: suggerimenti mai declinati in procedure specifiche ma, piuttosto, in semplici descrizioni di azioni tipo cartoni animati di Willy Coyote. Il contagio comunicativo ha promosso l’imitazione: non sono più state le convinzioni a muovere il terrorista ma la possibilità facile di esprimere la propria violenza, non necessariamente per Allah. Ormai può bastare una incazzatura con la moglie. Sdoganati questi comportamenti, non si torna più indietro e  un’automobile sulla folla, per inesplorate ragioni, è una possibilità in ogni città.

Lakdim è certamente un beneficiario di questa eredità perché il Daesh sconfitto, che non rinuncia a riproporsi, confida soprattutto nella capacità di attivazione spontanea dei sui adepti. E per questo la minaccia di attacchi terroristici in Europa si mantiene elevata e imprevedibile, indirizzata a soft target ad alta intensità comunicativa quando colpiti, pianificata al più basso livello possibile di organizzazione, mimetizzata nella quotidianità..