COVID-19: la gestione della comunicazione pubblica – by M. Lombardi

Chernobyl fu il disastro nucleare del 26 aprile 1986 in Ucraina. Allora eravamo in un regime comunicativo differente dall’attuale. Alcuni paesi, come la Francia ma non solo, tennero strategicamente una comunicazione contenuta dell’evento e delle sue ricadute. Altri, come l’Italia, ne esasperarono le caratteristiche emergenziali e le conseguenze sul lungo periodo. Come sappiamo questo portò all’abrogazione per referendum (1987) della costruzione delle centrali nucleari in Italia e alla continuazione della produzione invece nella vicina Francia. Da cui oggi compriamo energia.

Allora parlai di “catastrofe informativa”.

La gestione comunicativa della crisi del Corona Virus sta portando ai medesimi effetti perversi per il nostro Paese, che pagherà non sul piano della salute pubblica ma su quello economico e politico un’emergenza inesistente esasperata da una comunicazione inefficace.

Nel mondo iper-complesso delle interdipendenze, caratterizzato dal sistema ancora più complesso della comunicazione digitale, non ci si è resi conto che, soprattutto nella comunicazione, non si possono prevedere tutti gli effetti delle nostre azioni. Anzi, la complessità estrema rende più ampia la quota della imprevedibilità moltiplicando la vulnerabilità di chi, in modo obsoleto, crede di costruire strategie efficaci focalizzandosi sugli specifici bersagli, invece che analizzare con attenzione l’ampiezza dei possibili danni collaterali, delle conseguenze inattese, delle ricadute e degli effetti domino al di fuori dell’area “nel mirino”.

Di fronte a una malattia dove (tutti d’accordo i medici) l’80% dei colpiti guarisce spontaneamente, il restante ha bisogno di cure più intense ma solo il 4% di terapia intensiva e un ridotto 2%-1% muore avendo come con-causa il virus, si è costruito un dispositivo comunicativo (la quarantena è comunicazione!) che voleva raccontare la nostra capacità a contenere il contagio, a risolvere il problema prima ancora che si presentasse, a certificare la realtà (che è reale!) di un ottimo sistema sanitario: per rassicurare noi stessi e gli altri.

Un errore di valutazione rispetto allo scenario di conflitto latente che caratterizza il mondo in questo momento, in cui la nostra iniziata di buona volontà si è inserita.

Non ci si è resi conti che, a fronte di un dato epidemiologico oggettivo di scarso peso, così facendo si è dato il destro ai nostri competitor, nel contesto della guerra economica in corso, per adottare misure di contenimento del sistema Italia.

Siamo noi che abbiamo dato la possibilità ai Paesi concorrenti di chiuderci nell’angolo, fornendogli le medesime argomentazioni e metodologie che abbiamo usato in Italia per contenere il Corona Virus.

Con il risultato che ci stiamo facendo tanto male da soli.

Come tanti epidemiologi ci confermano: il virus c’è se lo si cerca. Tanto è vero che Francia e Germania in questi giorni dichiarano elevatissimi picchi (con ricoveri e morti) di “influenza stagionale”. E fanno pochissimi “tamponi” per rilevare la presenza del Corona.

La comunicazione pubblica avviata finora forse aveva l’obiettivo di fare vedere quanto, finalmente, siamo in gamba. Ingenui: così facendo abbiamo offerto al “nemico” il destro per attaccarci con le nostre medesime armi.

A questo punto?

Le carte sono state date. Lo scenario è cambiato e dobbiamo riorganizzare la nostra presenza nazionale nel quadro internazionale della diffusione del Corona Virus, che è già continentale da tempo e non per gli untori italiani che si vorrebbero tener fuori da casa propria.

Il modo con cui i cittadini degli undici comuni focolaio vivono la loro reclusione è una indicazione della normalità della convivenza col virus. Questa è una prima importante narrativa che riconduce la malattia a quello che è.

La conseguente auspicata ripresa della normalità della vita (riapertura di scuole e luoghi pubblici) nelle regioni più colpite, con il 1° di marzo, è un altro atto importante.

La contestualizzazione di tutte le azioni in una rigida prospettiva nazionale, senza gestione autonoma regionale o addirittura comunale anche se improntata al lodevole spirito di tutela del “proprio cortile”, si inquadra nella inevitabile ricaduta sistemica degli effetti, molti imprevedibili.

L’azione della diplomazia è centrale, perché essa dovrà negoziare rispetto alle posizioni di vantaggio che i paesi stranieri vogliono cogliere sfruttando l’occasione che gli abbiamo offerto: chiudendo parte dell’Italia abbiamo chiuso l’Italia, come effetto secondario inevitabile non controllabile da noi.

Ricondurre i toni della comunicazione mediale affettiva, che echeggiano l’urlato politico e il sentimento popolare, a quelli della comunicazione per informare comincia a essere una strategia che vedo responsabilmente attuarsi. E su cui insistere.

Insomma: gli strumenti per riorganizzare questa comunicazione ci sono ma è imperativo cominciare, seppure in ritardo, a applicare le lezioni del passato per affrontare le sfide del presente con le azioni adeguate.