Il dopo Madrid, tra paura e voglia di normalità – Intervista a Marco Lombardi

Punto a capo. A una settimana dall’attentato a Madrid si cerca di voltare pagina e tornare alla normalità, ma i ricordi affaticano l’intenzione. Il pianto dei bambini rimasti orfani all’asilo, la voce dell’impiegata impressa sulla segreteria dell’ufficio, le grida dei passeggeri dei convogli colpiti sono ancora troppo forti. Nelle orecchie rimbomba il rumore di una strage che, pur senza immagini, rimanda all’attentato al World Trade Center. «Nulla sarà più come prima», era l’ossessione del dopo undici settembre. Qualcosa dopo l’undici marzo è gia cambiato e il timore che la serenità sia difficile da riconquistare è fondato.

«La gente cerca di evitare la metropolitana – dice Marco Lombardi, docente di Sociologia delle crisi -. Ringrazia delle giornate primaverili di questi giorni e rispolvera la bici o il motorino». Cambierà il modo di vivere in Italia? Sì, qualche comportamento cambierà. Secondo me è giusto sia così, perché ognuno si deve assumere piccole responsabilità nell’ambito del senso complessivo di sicurezza. Tuttavia non penso che dobbiamo stravolgere la quotidianità della nostra vita, né accettare forme di ”autoimprigionamento” per paura, come è avvenuto dopo l’undici settembre. Il paragone tra i due attentati è stato proposto da molti giornali. L’assimilazione è lecita? Dal punto di vista mediatico, i due undici sono diversi. A settembre si cercò la spettacolarità e, molto probabilmente, il disastro di quelle proporzioni era inatteso. Adesso l’obiettivo è stato l’efficacia massima nel causare danni. In qualche modo il primo evento è stato costruito per una trasmissione in diretta, il secondo per una differita. E’ utile tenere conto di queste diverse strategie comunicative, perché rispecchiano due linee strategiche diverse di Al Qaeda che, a mio parere, rimandano anche una differente leadership. Dietro l’ultimo attacco non c’è quindi Bin Laden? Non credo. La strage di Madrid per molti aspetti non rientra nel modo di agire di Bin Laden: i kamikaze sono stati sostituiti da timer e telefonini, le strategie di coordinamento sono state molto sofisticate e ci sono state letture delle dinamiche elettorali e dei contesti politici di tipo europeo. Tutti gli indizi portano al più internazionale dei leader: Al Zarqawi, viaggiatore, reclutatore e formatore. Grande esperto di armi chimiche e batteriologiche, di cui si è occupato nei campi di addestramento anche dalle parti della Cecenia. Insomma, Madrid mi sembra più il suo stile o quello della sua scuola. Nel futuro ci aspettano attentati più simili a questo? Dopo che molti anni fa scrissi un articolo sull’impiego dell’analisi incrociata di impatto nelle previsioni, decisi che un equivalente efficace erano i fondi del caffè. Provo a leggerli, anche perché alcuni di questi caffè li ho consumati tra Iraq e altri posti interessanti. Onestamente, l’unica previsione che posso fare è che il futuro è a rischio elevato per tutti. Non si può identificare il prossimo obiettivo nel mirino di Al Qaeda? Come ha dimostrato l’ultimo colpo, il terrorismo si sposta fuori dall’Iraq, dopo averlo coperto di sangue. Prima lo ha stremato per impedire lo stabilirsi di un efficace sistema di sicurezza e la promulgazione di una forma costituzionale moderna e accettabile dal consesso internazionale. Ora che la costituzione è stata ratificata, credo che inizieranno a colpire fuori. Per quale ragione? Per indebolire la coalizione e promuoverne lo sfaldamento. Il Paese precipiterebbe nel caos. Non assisteremo più a attentati quotidiani sul suolo iracheno? Vorrei poterlo affermare, ma credo che cambieranno solo i bersagli. In Iraq probabilmente ci si concentrerà contro gli Sciiti che, non protetti, potrebbero cercare l’autonomia militare. Allora i kurdi non starebbero a vedere: avanzerebbero certamente rivendicazioni contro gli americani. I curdi possono avere un ruolo destabilizzante in questo contesto? Loro possono premere, anche con la piazza, per rinegoziare un ruolo diverso dell’Islam nella costituzione. Come cambierà la politica internazionale dopo il riposizionamento della Spagna? All’elezione Zapatero ha annunciato il ritiro delle truppe, scelta non accettabile a livello internazionale nella guerra al terrorismo in corso. Ora che l’Europa deve essere solidale e unita contro il terrorismo, le vendette postume non possono avere spazio: c’è bisogno di una squadra. E Zapatero non lo ha capito, mettendo in forse il campione di europeismo che era la Spagna. Qui però rischiamo la pelle tutti. Sono state annunciate su Internet le date dei prossimi attentati, Fumo nero e Ali della morte. Quanto rischia l’Italia? Non possiamo farci influenzare da facili interpretazioni letterali, scaramantiche o celebrative. Le date calde continueranno a susseguirsi nel tempo come pronostici che, purtroppo, prima o poi verranno azzeccati. A forza di pronosticare, casualmente si indovina. Ma questo modo di fare ha poco a che vedere con la reale capacità di previsione razionale, strettamente collegata alle informazioni di intelligence che saremo capaci di raccogliere e, soprattutto, mettere in rete. Purtroppo il terrorismo è più flessibile. In particolare, mi sento di affermare che il progressivo avvicinarsi alla tornata elettorale aumenti la nostra esposizione al rischio. Ma le date annunciate cambiano la percezione del rischio? Per la gente sono appuntamenti credibili, anche se con la realtà potrebbe esserci una certa distanza. Certo contribuiscono a creare un clima di estrema incertezza, aperto alle possibilità, con scarsa possibilità di valutare oggettivamente quanto sta accadendo.

intervista di Silvia Tagliaferri