Il vaccino: un farmaco che va oltre la medicina – by Federico Lunardi

La campagna vaccinale tra ritardi, difficoltà e difficoltà organizzative sta prendendo l’avvio anche in Italia, come nel resto del mondo occidentale. Che il vaccino abbia effetto sulla diffusione del virus è sperimentalmente dimostrato dai dati di Israele, del Regno Unito e di parte degli Stati Uniti: non serve quindi parlarne.

Un grande capitolo, invece, si dovrebbe aprire su quanto la medicina (ma direi la scienza in generale) stia diventando oggetto “politico” con messaggi che di sperimentale hanno poco e che invece risentono di criteri economici, di interessi politici, di ottiche parziali e indirizzate. Dati sperimentali alla mano il vaccino russo SPUTNIK 5 si è dimostrato il più efficace e attivo anche sulle mutazioni. Sullo stesso “Lancet” è stato pubblicato un articolo di due scienziati inglesi che ne riconosce l’efficacia. Attestazione importante ma tardiva visto che detto vaccino era stato progettato e realizzato sulla falsariga di quello della SARS; nulla di completamente nuovo (come invece i primi vaccini a m-RNA) e, quindi, l’aspettativa avrebbe dovuto essere positiva fin dall’inizio.

Come ogni farmaco anche il vaccino possiede effetti collaterali: da quelli topici a quelli generali, da quelli banali a quelli fatali. Questo è il lato oscuro della luna, purtroppo, ma è anche l’evidenza che il “farmaco” (in greco la parola indica sia il veleno che la sostanza curatrice) è attivo. Solo un bicchiere d’acqua potabile a temperatura ambiente, probabilmente, non produce effetti collaterali.

Questo aspetto è noto a tutti e scritto ora sembra una delle tante giustificazioni per rispondere ai titolo “forti” dei giornali su presunti (alcuni saranno sicuramente veri) effetti collaterali. Per amore di scienza dirò che sono tali dopo che sarà stabilito secondo i criteri della “farmacovigilanza” che, ricordo, è un obbligo per tutti i medici nei confronti di tutti i farmaci che somministrano.

Scrivo invece di effetti collaterali perché l’eco di ritorno, che le vaccinazioni stanno avendo, nasce anche dal fatto di averle non solo pubblicizzate ma spettacolarizzate. Quale senso ha avuto mostrare al mondo (con la m minuscola) intera le vaccinazioni di persone ultranovantenni o addirittura centenarie? Da un punto di vista medico mi chiedo quale motivazione ci abbia spinto a vaccinarli sapendo che tra gli ultranovantenni la percentuale di mortalità è uguale a quella dei trentenni (è verosimile che l’immaturità del sistema immunitario come la vecchiaia del medesimo reagisca in maniera meno vigorosa di quella dell’uomo adulto risparmiando l’incendio di interleuchine che ha un grande ruolo nella fisiopatologia dell’infezione). Da un punto di vista etico mi chiedo se sia stato corretto sottoporre al rischio degli effetti collaterali persone che hanno superato l’aspettativa di vita e, che, normalmente conducono una quotidianità che li preserva dagli assembramenti.

In tempi non sospetti ho scritto che non consideravo onesto valutare a chi dare assistenza ventilatoria – a parità di condizioni di base – sul dato anagrafico. Ora mi chiedo se non sia ipocrita aver – anche solo sotto l’aspetto teorico – negato un supporto respiratorio a un grande anziano ammalato e ora sottoporlo – da sano – a un rischio statistico di un effetto collaterale di una vaccinazione.

Continuo a pensare che invece di chiamare a vaccinare le classi, come si faceva con la leva del militare, avremmo dovuto vaccinare nel tentativo di creare “bolle” di sicurezza. Tutto il personale di una fabbrica e le relative famiglie; tutti i fedeli di una parrocchia, moschea, pagoda, tempio, sinagoga; tutti gli esercenti e i clienti di un grande magazzino; tutti gli abitanti di un rione; tutto il personale docente e non docente di un’università e di una scuola. Avremmo escluso le “classi” troppo giovani come quelle troppo anziane (sulla base dei dati di mortalità specifica) e avremmo ricominciato a far vivere le nostre città a “bolle” successive.

Aver reso uno spettacolo ciò che è un atto medico fa sorgere altre ulteriori considerazioni. Il colle più alto ha diramato la fotografia del Capo di Stato che – come un ottantenne qualsiasi – aspetta il suo turno. Apprezzabile di primo acchito. E’ lecito però chiedersi se è stato fatto per marcare la differenza con altri palazzi di potere ove le vaccinazioni, si dice, siano state compiute a domicilio e senza alcun riguardo alle fasce d’età. Ancor più, è lecito vedere una caduta dell’ethos politico e sociale. Quella fotografia ha voluto dirci che le ore (fossero anche i minuti) del Presidente della Repubblica hanno lo stesso valore di quelli di un pensionato che gioca a carte, porta i nipoti al parco o guarda i cantieri? Non è una prerogativa solo italiana quella di lanciare messaggi nazional-popolari visto che nel Regno Unito la vaccinazione della Regina e del consorte sono state giustificate, fin da subito, per il fattore anagrafico e non per la carica e il valore simbolico.

Scrivo queste righe perché il senso di nazione si è sempre rafforzato e ha sempre trovato i suoi “miti” durante le guerre e ne ha fatto oggetto di commemorazione e ricordo nel dopo guerra. Oggi che ci troviamo a fronteggiare una guerra contro un virus e non abbiamo un nemico di altra nazionalità non potremmo costruire un mito fondativo per ritrovare il senso di uno stare assieme (fra l’altro senza odio o alterità rispetto ad altri)? Per fare questo, però, i messaggi dovrebbero essere lanciati con chiarezza e forza. Il comandante che dirige le operazioni sulla tolda deve saper prendere decisioni anche impopolari e, all’inizio, non di comune intendimento. Saranno proprio queste che dimostreranno la sua capacità di antivedere e di agire con un senno che mancava alla massa.

Stiamo perdendo l’opportunità (in buona compagnia) di creare un mito fondativo che faccia di noi la generazione che ha sconfitto (o ha resistito) al SARS Co-V-2 preservando i miti, scegliendo le priorità, seguendo la guida. Basterebbe smetterla di lanciare messaggi nostalgici di quando “si giocava al dottore” e dire con franchezza a ognuno di agire correttamente per salvare sé e chi gli sta attorno. Dare una visione, una vocazione, un’indicazione sulla strada da seguire per diventare una società che conosce il peso della scelta e del sacrificio come quello della lotta e della costruzione.

Non sudditi di cerchi magici tecnici con soluzioni improponibili lanciate all’ultimo momento e sempre più a tutela loro che della comunità, ma cittadini attivi di una classe dirigente (politica e non) che agisce e non reagisce.