Israele e Hamas: escalation premeditata – by G. Giacalone

L’escalation tra Israele e Hamas, alla quale si è unita anche la Jihad Islamica Palestinese (PIJ) si è ormai tramutata in una vera e propria guerra, con centinaia di razzi lanciati da Gaza, raid aerei israeliani alle infrastrutture islamiste e vittime da entrambe le parti. Colonne di carri armati si sono ammassati al confine con la Striscia di Gaza e ora bisognerà soltanto attendere per vedere se l’IDF lancerà un’operazione di terra.Secondo quanto emerso dai media israeliani, ben due comandanti di alto rango di Hamas sono stati uccisi in un’operazione congiunta di IDF e Shin Bet (l’intelligence interna), precisamente Bassem Issa, a capo della Brigata di Gaza City e Jamaa Tahla, dirigente della rete cyber e responsabile del programma per il miglioramento dell’arsenale missilistico.

Resta invece un mistero la presunta morte di Mohammed Deif, comandante delle Brigate Ezzedin al-Qassam; allo stato attuale fonti israeliani lo danno per deceduto sotto il bombardamento dell’edificio dove viveva, mentre Hamas nega.

Ciò che avverrà nelle prossime ore sarà fondamentale per gli sviluppi del conflitto in quanto ora il governo israeliano si trova davanti a un bivio:

  • Continuare con i raid aerei ma senza lanciare un’operazione di terra nell’attesa di un cessate il fuoco “imposto” dall’esterno e nel frattempo continuare a infliggere più danni possibili a Hamas in modo da ridimensionarla. Una vecchia strategia sempre valida, già attuata in diverse occasioni ma che non risolve il problema alla radice, anzi, il periodo di calma tra uno scontro e l’altro serve a Hamas per fare tesoro degli errori commessi e rafforzarsi militarmente, ovviamente a discapito della popolazione.
  • Passare alla fase II, un’operazione di terra con carri armati, fanteria e forze speciali da utilizzare per missioni chirurgiche contro alti esponenti dell’organizzazione terrorista; un’opzione molto più rischiosa che prolungherebbe il conflitto e potrebbe causare anche cospicue perdite tra i militari. Questa opzione avrebbe senso solo nel momento in cui l’obiettivo punti a sradicare quanto più possibile Hamas, eliminando leader, comandanti, potenziali rimpiazzi e distruggendo arsenali e cunicoli da dove entrano i rifornimenti.

Una scelta non semplice considerato che Gaza è un grosso pantano nel quale nessuno vuol mettere mano, nè militarmente per stanare i terroristi, ma neanche politicamente per gestirla. D’altro canto non si può neanche lasciare che Hamas continui a colpire i cittadini israeliani con i loro missili, nessun Paese serio al mondo lo permetterebbe e questa volta i razzi partiti da Gaza sono veramente tanti. Israele è appena uscita dalla pandemia da Covid, è nel pieno di una crisi politica interna e l’ultima cosa di cui ha bisogno è un altro conflitto, ma oramai ci si trova trascinata dentro.

Si, perché stavolta è stata Hamas, proprio tramite il già citato Mohammed Deif, a lanciare un ultimatum al governo israeliano lo scorso 5 maggio, minacciando l’attacco nel caso in cui gli israeliani non avessero interrotto gli sfratti nei confronti di alcune famiglie arabe di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est.

Ma come mai Hamas si interessa addirittura ad uno sfratto riguardante la giurisprudenza interna israeliana, in particolare alla sentenza, arrivata dopo anni di battaglia legale, tra i legittimi proprietari del terreno sul quale giacciono degli edifici, alcuni dei quali abusivi e gli inquilini (che risultano anche morosi)?

Chi ha poi esortato i fedeli musulmani in preghiera presso la Spianata delle moschee a inscenare una protesta proprio a fine Ramadan? Bene, è plausibilissimo che dietro a tutto ciò ci sia proprio Hamas, ben consapevole di poter strumentalizzare il caso di Sheikh Jarrah e altrettanto al corrente del fatto che la polizia israeliana sarebbe intervenuta risolutamente per sgombrare l’area. Qual miglior modo per scatenare la rabbia dei palestinesi? Accusare Israele di “dissacrare” un luogo sacro islamico, durante il Ramadan, dopo aver “cacciato” di casa dei palestinesi.

Hamas aveva già il comunicato pronto e firmato proprio da Deif: “Salutiamo i nostri risoluti palestinesi a Sheikh Jarrah, nella Gerusalemme occupata. La leadership della resistenza e le Brigate al-Qassam stanno osservando attentamente ciò che sta accadendo nel quartiere”. [1]

E ancora: “Questo è il nostro ultimo avvertimento: se l’aggressione contro la nostra gente nel quartiere di Sheikh Jarrah non cesserà immediatamente, non staremo a guardare e l’occupante pagherà un caro prezzo”.

Un ultimatum, le ore 18 di domenica 10 maggio, ovviamente neanche preso in considerazione da Israele e poi la pioggia di fuoco, una delle più intense mai viste (più di 600 razzi lanciati in 24 ore), un piano che non si prepara certo in pochi giorni. [2]

 Hamas aveva già tutto pianificato e forse non è un caso che i rivoltosi della Spianata abbiano issato la bandiera dell’organizzazione islamista proprio sul tetto della Moschea.

Per quale motivo Hamas ha deciso di muoversi proprio ora? Le ragioni possono essere diverse:

  • Di certo Hamas ha dirottato e fatto propria la causa di Sheikh Jarrah, ma è plausibilissimo che l’organizzazione islamista l’abbia in realtà organizzata fin dall’inizio in modo da potersi poi presentare come unica opzione credibile alla “resistenza” contro Israele, a discapito di un ANP in seria crisi. Non dimentichiamo poi che Gerusalemme Est è storicamente più vicina ad ambienti ex OLP e del Fronte Popolare di Liberazione, ma negli ultimi anni Hamas ha progressivamente cercato di incrementare la propria influenza nell’area, strategicamente importantissima all’interno di una galassia palestinese in costante disaccordo e contrasto.
  • Hamas era pronta per le elezioni e non ha certo ben digerito la decisione del presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas, di posticipare le elezioni dal 22 maggio al 31 luglio; mossa che ha fatto guadagnare all’anziano presidente le accuse di “collaboratore dei sionisti”, “traditore” e “agente degli Usa”. Attenzione, perché gli islamisti avevano deciso di utilizzare la lotta per Gerusalemme come tema centrale della campagna elettorale e con tanto di lista “Gerusalemme è il nostro destino”, presentandosi come paladini della moschea di al-Aqsa. Cosa poteva esserci di meglio se non una rivolta scoppiata proprio nel luogo-simbolo scelto per la campagna elettorale e con i rivoltosi che inneggiano a Hamas e sventolano le bandiere verdi? Quella al-Aqsa presente con gran frequenza non soltanto sui proclami di Hamas, ma del jihadismo in generale, come mostra anche il banner lanciato il 12 maggio da al-Qaeda che mostra un jihadista proprio davanti alla Moschea?
  • Non si può poi escludere che l’offensiva di Hamas e della Jihad Islamica sia anche un test sollecitato da Iran e Hizbullah per valutare le capacità difensive di Israele. Le parole del comandante delle Guardie Rivoluzionarie, Hossein Salami, che la scorsa settimana aveva indicato come Israele fosse particolarmente vulnerabile a un vasto attacco per il fatto di essere un Paese piccolo, suonano come un tetro avvertimento. Del resto il regime iraniano aveva già accusato Israele per l’uccisione del noto scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh nel novembre scorso ed aveva promesso rappresaglie. [3]

A questo punto non si può fare altro che attendere, in quanto le prossime ore saranno decisive per l’evolversi della crisi. Se Israele deciderà di entrare “boots on the ground” a Gaza, allora si aprirà una pagina tutta nuova dello scontro e si varcherà anche una linea di non ritorno in quanto, una volta dentro, Israele non potrà permettersi esitazioni e dovrà andare a caccia di comandanti militari, possibili rimpiazzi, eventuali consiglieri esteri (se presenti), dovrà eliminare le varie brigate, distruggere arsenali e cunicoli e mettere i leader politici di Hamas all’angolo. Altrimenti è meglio non entrare ed attendere l’ennesimo cessate il fuoco imposto da fuori, che in molti casi fa comodo ad entrambe le parti, sempre tenendo però a mente che non si tratta con i terroristi e finora Israele non ha trattato.

 


Il terrorismo di Al-Qaeda si inserisce negli scontri in Israele.
Al-Qaeda schiera Jaish Al-Malahem Cyber Army una delle case mediatiche più significative, che oggi ha lanciato un prodotto propagandistico semplice ma di grande impatto. Un banner raffigurante un vittorioso miliziano jihadista con la moschea di Al-Aqsa sullo sfondo, circondata dalle forze israeliane sconfitte e sopra la quale torreggia la Shahada salafita. In alto al banner si legge la frase di dileggio in arabo “Nonostante i loro nasi, voi resistete”
 
 

 

[1] https://www.timesofisrael.com/hamas-terror-chief-threatens-israel-over-east-jerusalem-evictions/

[2] https://news.trust.org/item/20210510134547-q3asm/

[3] https://www.bbc.com/news/world-middle-east-55111064