La comunicazione (digitale) dei talebani –  by Giacomo Buoncompagni

Nel 2008  il Capo di Stato Maggiore della Difesa del Regno Unito, Marshal Sir Jock Stirrup, dichiarò ai media britannici di essere già stati più volte battuti sul tempo nelle varie operazioni di informazione dai gruppi di talebani,.Con ciò riconoscendo l’ abilità di quest’ultimi di costruire e gestire strategicamente i processi di comunicazione/informazione, distorcendo cosi la percezione della realtà afghana a  livello locale ed  internazionale e influenzando il modo in cui militari e organizzazioni non governative stavano lavorando sul territorio a stretto contatto con le diverse etnie.

E si sa la percezione è tutto in Afghanistan. Vent’anni dopo, infatti, l’intervento internazionale sappiamo ancora molto poco delle tribù e dei gruppi etnici che compongono il Paese, cosi come del modo in cui reagiscono, pensano, sentono e danno priorità agli aspetti socio-politici piuttosto che a quelli religiosi.

I tentativi internazionali, non solo di esportare la democrazia, ma di gestire le informazioni e “riequilibrare” le percezioni, si sono rilevati piuttosto problematici in questi anni. Con l’utilizzo delle nuove tecnologie quasi alla portata di tutti e la loro applicazione nel campo militare e dell’intelligence, le operazioni di gestione delle informazioni stanno giocando un ruolo sempre più importante nel generare sostegno o meno, in questo caso specifico, nei confronti degli insorti, sia all’interno che all’esterno del paese. Centinaia di diversi gruppi e attori sono ancora impegnati nella crisi, diverse parti della popolazione afghana, soggetti governativi, militari e ong. Tutti hanno comunicano in questi anni, tutti stanno tentando ancora oggi di persuadere, di costruire delle verità, alcuni intenzionalmente, altri involontariamente.

I talebani in questi anni hanno impiegato vari media per comunicare messaggi a sostegno dei loro obiettivi generali, al fine rimuovere la presenza militare straniera e riportare il paese alla loro interpretazione unica dell’Islam. Combinazioni di attività di comunicazione da parte di gruppi ribelli talebani in Afghanistan e leadership talebana in Pakistan hanno continuamente ostacolato gli sforzi della comunità internazionale e dell’ex governo afghano per portare stabilità nel paese.

L’analista militare Tim Foxley ha scritto su vari quotidiani come nella primavera e nell’estate del 2006, mentre lavorava nella sede dell’International Security Assistance Force (ISAF) più volte abbia sentito i suoi colleghi ammettere l’efficienza dei talebani, rispetto alla loro, nella gestione delle tecniche di comunicazione e informazione. Essendo in quel periodo ancora poche le prove a sostegno di questa tesi, nel 2007 Foxley tentò di ricercare ed analizzare tutti i passaggi della propaganda talebana e i mezzi in uso per la loro attività di informazione.

Brevemente sono queste le conclusioni raggiunte all’epoca. Secondo Foxley la raffinatezza e l’efficacia comunicativa dei talebani rappresentava probabilmente più un mito che una realtà. L’idea che i talebani fossero così abili nel gestire i processi informativi aveva superato la capacità effettiva di quest’ultimi. Sicuramente questi gruppi avevano già mezzi efficaci che nel tempo sono migliorati, riuscivano già a manipolare buona parte della popolazione e narrare in maniera errata i risultati raggiunti dai vari attori internazionali presenti in Afghanistan.

Ma tuttavia, sostiene l’analista, è stato sempre difficile misurare con certezza la forza dei talebani nella battaglia informativa. Ciò che è certo però è che dal 2001 i talebani hanno sempre più riconosciuto la tecnologia e i media elettronici come strumenti utili per contrastare il governo afghano e la comunità internazionale. Da un sistema di credenze che rifiutava attivamente molti dei simboli della modernità e del progresso, si è passati alla rapida conoscenza dei processi di comunicazione globale. I talebani hanno osservato, sperimentato e imparato a comunicare per sostenere i loro obiettivi. Il loro approccio è stato quindi sempre più pragmatico e la loro comprensione e utilizzo dei mezzi di comunicazione sono cresciuti di conseguenza. Hanno abbracciato tecniche vecchie e nuove e hanno utilizzato una gamma sempre più ampia di mezzi di comunicazione e risorse di comunicazione: fax, telefoni fissi, cellulari e satellitari, radio e televisione, giornali, interviste, lettere anonime intimidatorie, e infine Internet e social network.

Sono stati sempre molto più efficaci a livello locale nel gestire le informazioni (principalmente nell’Afghanistan meridionale, sudorientale e orientale e nel Pakistan nordoccidentale), dove hanno tuttora un vantaggio culturale e linguistico nell’operare all’interno delle aree tribali pashtun da cui provengono la maggior parte dei combattenti talebani. Sono molto meno esperti ancora nella comunicazione pubblica e istituzionale (ad es. dialoghi con ex-governo afghano, regioni ec..)

Questi limiti avevano finora impedito ai talebani di comprendere appieno alcune logiche politiche internazionali e mediali e quindi di sfruttare appieno mezzi strategici e potenti come la televisione, i telefoni cellulari e Internet.  Ma in questi vent’anni è cresciuta, secondo lo studioso Carsten Bockstette, la loro disponibilità e capacità di comunicare, in particolare, quei messaggi di natura politica e militare rivolti alla comunità internazionale e di crearsi forti network anche online.  Migliore è anche la qualità e il contenuto delle produzioni video, così come le varie operazioni di marketing informativo e di selezione di pubblici specifici, non più casuali o prettamente locali.

La natura interattiva e pubblica del web ha rafforzato la loro strategia di condivisione delle informazioni attraverso canali differenti.  “Non è un caso se i talebani abbiano usato proprio i social media come strumento di comunicazione durante la loro recente campagna, per prendere il controllo dell’Afghanistan”, suggerisce il giornalista freelance Tom Bateman su Euronews.

La rapida ri-conquista dei talebani ha traumatizzato culturalmente gli osservatori internazionali e le popolazioni di tutto il mondo; ha messo le stesse aziende di social media in difficoltà, in quanto ancora oggi incapaci di gestire gli account di un gruppo che, alcuni governi, compreso quello degli Stati Uniti, definiscono un’organizzazione terroristica (ricordiamo che i social network dell’ex- Presidente Trump sono al momento ancora bloccati).

Martedì scorso, 17 agosto, Facebook ha dichiarato al quotidiano online Euronews che già molto prima della rapida avanzata dei talebani e la conquista della capitale afghana Kabul, molti account gestiti dai talebani erano stati sospesi.

Tuttavia, fonti differenti, indicano come i talebani abbiano utilizzato proprio il servizio di messaggistica crittografata end-to-end di Facebook e poi WhatsApp per comunicare fino a pochi giorni fa, nonostante le affermazioni dell’azienda di Zuckerberg.

Parallelamente WhatsApp ha dichiarato di non essere del tutto in grado di leggere e monitorare correttamente i messaggi degli utenti, per questo si è affidata all’automazione e alle segnalazioni degli utenti per identificare account e contenuti “sospetti”, in questo caso, affiliati ai talebani.

Nonostante questi sforzi però, la scorsa settimana un comandante talebano, durante una intervista messa in onda da Radio Free Europe, ha dichiarato che il gruppo non aveva intenzione di prendere Kabul con la forza e come avessero addirittura istituito una linea di assistenza WhatsApp per i residenti della città, consentendo loro di segnalare violenze, saccheggi o altri problemi. Pochi giorni dopo il Financial Times ha riferito che la hotline per i reclami dei talebani era stata bloccata da Facebook, insieme ad altri canali ufficiali.

Pe questo il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha accusato pubblicamente Facebook di censura in una sua recente conferenza stampa.

L’uso continuato di WhatsApp, in particolare, da parte dei talebani resta però un potenziale problema anche di natura giuridica-legale per Facebook che ha sede negli Stati Uniti, poiché la legge sulle sanzioni lo obbligherebbe a bloccare determinati account e impedire ai gruppi considerati criminali l’utilizzo dei suoi servizi di messaggistica.

Nel frattempo, i leader talebani hanno accumulato negli ultimi giorni centinaia di migliaia di followers su Twitter, altro “social network politico” usato per rilasciare dichiarazioni ufficiali in più lingue.