La rete transnazionale “Gabar” e l’estremismo islamista Barelvi – by Giovanni Giacalone

Lo scorso 6 giugno un’operazione anti terrorismo della Polizia di Stato ha portato all’arresto di 14 cittadini pakistani facenti parte di una rete chiamata “gruppo Gabar” e attiva tra Italia, Francia, Spagna e Grecia. Tra i membri di spicco della rete figurava anche Zaheer Hassan Mahmood, il terrorista che il 25 settembre del 2020 attaccò l’ex sede del giornale satirico Charlie Hebdo a Parigi, ferendo a colpi di machete due persone.

Il gruppo è risultato molto attivo su Facebook e TikTok dove condivideva foto e video di armi, munizioni e dove gli stessi membri brandivano coltelli e machete, con tanto di minacce nei confronti dei “miscredenti”. Appena due mesi prima dell’attentato del settembre 2020, Mahmood e altri dodici membri del gruppo si scattarono una foto davanti alla Torre Eiffel con la didascalia: “Abbiate un po’ di pazienza, ci vediamo sui campi di battaglia”.

Punto di riferimento della cellula italiana è risultato essere il 24enne Yaseen Tahir, già arrestato nel febbraio del 2021 dalle autrorità francesi presso la stazione parigina di Saint Lazare perché trovato in possesso di un machete simile a quello utilizzato da Mahmood nell’attentato. Nell’aprile del 2021 Tahir veniva rilasciato e rispedito in Italia in quanto residente a Chiavari; il soggetto in questione a questo punto si spostava a Fabbrico, in provincia di Reggio Emilia, dove organizzava dei ritrovi con altri membri del gruppo provenienti sia dall’Italia, sia dalla Francia e si attivava per reperire armi, nascondigli e per reclutare volontari (“almeno dieci per città”, come emerso nelle intercettazioni).

Un altro esponente del gruppo, Hamza Ali, anch’egli pakistano, veniva arrestato nel lodigiano il 29 settembre 2021 in quanto indicato dalle autorità francesi come colui al quale Hassan Zaheer Mahmood aveva mandato il video di rivendicazione dell’attentato alla sede di Charlie Hebdo da divulgare in rete nel caso in cui l’attentatore venisse arrestato o ucciso.

Il filone del gruppo Gabar attivo in Italia è a sua volta risultato collegato con altri cinque pakistani arrestati in Spagna nel febbraio del 2022; tra questi, anche il 31enne Ullah Shoaib che nel proprio cellulare aveva foto con il machete, altre immagini di armi da fuoco e una del presidente francese Macron con la didascalia “headshot” (sparare alla testa).

Sempre per quanto riguarda la Spagna, è bene ricordare che nel novembre del 2020 il leader della cellula italiana, Yaseen Tahir, era stato fermato dalla polizia spagnola al confine mentre cercava di entrare in Francia assieme a un altro cittadino pakistano identificato come Hassan Raza. Quest’ultimo veniva arrestato, mentre Tahir riusciva a fuggire a Parigi dove veniva arrestato pochi mesi dopo.

Tehreek-e-Labbaik e il jihad Barelvi contro la blasfemia

Nonostante il nome del gruppo non abbia nulla di religioso (“Gabar” in lingua punjabi indica infatti qualcuno che ha il coraggio di agire per conto proprio, senza remore), il comun denominatore della rete è stato identificato nel predicatore islamista pakistano Khadim Hussain Rizvi (1966-2020), anch’egli originario del Punjab, come molti dei membri della rete Gabar e fondatore del partito islamista Tehreek-e-Labbaik Pakistan (TLP), che fin dalla sua nascita ha portato avanti una feroce battaglia contro la blasfemia.

Il TLP è notoriamente di stampo Barelvi, movimento islamico nato in India (noto anche come Ahl al-Sunna waal-Jamaat) tra il 18° e il 19° secolo ed ampiamente diffuso anche in Pakistan assieme alla corrente rivale, anch’essa di origine indiana, e nota come Deobandi; quest’ultima è tra l’altro anche alla base dell’ideologia dei Talebani.

Durante il periodo dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, il movimento Deobandi venne ampiamente sostenuto sia dall’Occidente che dal Pakistan in quanto consistente base ideologica per i mujahideen. Con l’11 settembre le cose iniziarono a cambiare e i Deobandi si trasformarono rapidamente agli occhi dell’Occidente in pericolosi estremisti, mentre gli apparati di sicurezza pakistani (in particolare l’ISI) continuarono invece a mantenere rapporti ambigui con tale filone, prevalentemente in chiave anti-India. A quel punto i vari governi pakistani sussegutisi nel tempo iniziarono a presentare il ramo Barelvi come quello “moderato”, “quietista”, di stampo sufi e quindi per natura “pacifico”, quando era invece ben noto che anche all’interno di tale branca erano presenti correnti estremiste, alcune delle quali attive in Kashmir.

Nel 2010 con il caso della ragazza pakistana di religione cristiana, Asia Bibi, è però iniziata ad emergere la parte radicale del movimento Barelvi. Nel novembre di quell’anno infatti una corte del Punjab condannava la Bibi alla pena capitale dopo essere stata accusata di blasfemia nei confronti del profeta Maometto. L’allora governatore del Punjab, Salman Taseer, si espresse contro il verdetto, criticò la legge sulla blasfemia affermando che incoraggiava l’estremismo religioso e andò in carcere a trovare la ragazza. Le posizioni del governatore generarono durissime reazioni da parte degli islamisti, sia di stampo Deobandi che Barelvi; vennero organizzate manifestazioni di piazza, richieste le dimissioni di Taseer mentre alcuni predicatori accusarono anch’egli di blasfemia ed apostasia. Il 4 gennaio del 2011 il governatore venne ucciso a colpi di arma da fuoco da una sua guardia del corpo, Mumtaz Qadri, che risultò poi essere un seguace della Dawat e-Islami, un gruppo per la predicazione dell’Islam facente parte del movimento Barelvi.

Qadri venne arrestato, condanato a morte e giustiziato nel febbraio del 2016, con conseguenti violente manifestazioni di piazza dove il TLP svolse un ruolo di primo piano. Non è certo un caso che vari leader del partito come Pir Afzal Qadri e Khadim Husain Rizvi invocarono in più di un’occasione azioni violente contro chiunque, a loro dire, si macchiasse di blasfemia (nel frattempo diventata il cavallo di battaglia dei Barelvi) e vennero anche arrestati dalle autorità pakistane nel 2018, seppur rilasciati poco tempo dopo. Afzal Qadri era ben noto per aver incitato all’uccisione di Taseer nel 2010 e per aver affermato che i magistrati della Corte Suprema che nel 2018 assolsero la Bibi erano “degni di essere uccisi”.

E’ inoltre importante ricordare che l’assassino di Asad Shah, commerciante di religione musulmana Ahmadi ucciso a Glasgow nel marzo del 2016 e quelli di Kanhaiya Lal, sarto indù assassinato nel Rajashtan a fine giugno 2022, erano tutti Barelvi seguaci della Dawat e-Islami e il movente quello della blasfemia.

Un tema, quello della blasfemia, che risulta tra l’altro estremamente delicato e controverso in Pakistan non solo in quanto elemento di scontro all’interno di un settarismo islamico che in più occasioni è degenerato in violenza, ma anche perché le accuse di aver insultato l’Islam e Maometto vengono spesso strumentalizzate per regolare conti personali che nulla hanno a che fare con la religione.

Una rete fluida

Per quanto riguarda la rete Gabar, è interessante notare come fosse in prevalenza composta da soggetti provenienti dal Punjab e come avesse una struttura gerarchica più simile a un movimento o partito politico che a un’organizzazione terrorista, con tanto di leader fondatore, un presidente, un vice presidente, un segretario per poi proseguire con figure di rango inferiore. I rapporti tra i suoi membri apparivano piuttosto informali ed i comportamenti approssimativi, almeno secondo quanto emerso dalle conversazioni.

In un’intercettazione dell’11 agosto 2021 ad esempio Yaseen Tahir è al telefono con Nadeem Raan, leader fondatore del gruppo e meglio noto come “Pir” (maestro) e quest’ultimo a un certo punto afferma che una volta tornato in libertà (è in carcere in Francia) si sarebbe recato in Italia dove avrebbe fatto “di tutto”. A questo punto Tahir gli chiede di non parlare di queste cose al telefono. Raan però prosegue con le domande fuori luogo e chiede a Tahir se ha un altro numero di telefono che altri non hanno e ancora una volta quest’ultimo chiede al leader di Gabar di non parlare di cose sensibili al telefono. Poco dopo però i due dimenticano la riservatezza e iniziano a pianificare attività tra Italia e Francia.

E’ poi improbabile che lo stesso Zaheer Hassan Mahmood abbia chiesto il permesso di Raan o di qualcun altro prima di attaccare presso l’ex sede di Charlie Hebdo. Ciò non toglie che Mahmood facesse parte a pieno titolo della rete Gabar e che possa anche aver ricevuto qualche tipo di supporto, pur avendo agito di propria iniziativa.

Una cosa è certa, Mahmood non era un cosiddetto “lupo solitario”, come inizialmente sostenuto in maniera un po’ affrettata da alcuni media. Numerosi casi di attentatori definiti come tali hanno infatti successivamente rivelato il supporto di reti, spesso informali, che hanno però svolto un ruolo di rilievo.

Tornando al gruppo Gabar, un altro aspetto che colpisce è la disinvoltura con la quale i suoi membri condividevano materiale incriminante sui social, senza curarsi di poter essere identificati, con un atteggiamento quasi di sfida. Per contro, subito dopo l’attentato all’ex sede di Charlie Hebdo, ogni riferimento al gruppo Gabar veniva eliminato e i vari membri assumevano un profilo basso e limitavano la pubblicazione di materiale compromettente. Nel gennaio del 2021 nasceva un nuovo gruppo denominato “Gruppo Unito Parigi Francia” e riprendevano le pubblicazioni. Nel complesso, i membri della rete non hanno mai fatto granchè per nascondere le proprie idee e i propri intenti, nè al telefono e neanche sul web dove puntavano ad attirare seguaci. Trattasi poi di una rete spontanea, fluida, priva di rigidi schemi organizzativi, con i membri che si spostano facilmente da un Paese all’altro. A questo punto non si può escludere che vi siano altre cellule dormienti della medesima rete in attesa di attivarsi.