Lo Stato Islamico minaccia Roma: quali rischi? – by Marco Lombardi

Tiene banco, in queste ore, la minaccia di Daesh contro Roma e il nostro Ministro degli Esteri, Luigi di Maio. Come atteso è stato infatti pubblicato il numero 294 di Al-Naba, in arabo النبأ‎, il magazine dello Stato Islamico, distribuito dal Central Media Office con puntualità del 2014.

Pagina 3 del magazine è dedicata al vertice anti-Daesh che si è tenuto a Roma il 28 giugno, aperto dal Ministro con queste parole: “Sono lieto di darvi il benvenuto a Roma alla ministeriale plenaria della Coalizione anti-Daesh, che ho il piacere di co-presiedere con il Segretario di Stato Antony Blinken. Ringrazio il collega e amico Tony e il Dipartimento di Stato per l’eccellente lavoro di squadra con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale nell’organizzazione di questa riunione”.

Al di là della necessaria propaganda politica di Daesh, che ha costante bisogno di apparire mediaticamente per confermare la sua esistenza in vita nei territori della comunicazione prima che della “occupazione”, è utile interrogarsi rispetto alla consistenza dell’annuncio.

Roma è da sempre al centro della propaganda che orienta la conquista dello Stato Islamico: su Colosseo e San Pietro sono state spesso piazzate le bandiere nere del terrorismo. Ma, finora, senza efficacia alcuna. E, ripetendo una nostra analisi, si è trattato di una “inefficacia” voluta da parte di Daesh consapevole che non sarebbe stato possibile concretizzare quelle minacce: Roma, la capitale dei crociati, è stata preservata da un attacco sul territorio grazie alla sua eccezionalità che avrebbe dovuto sigillare la sconfitta totale dei kuffar: il regalo finale dell’ultima vittoria.

Questo non fu possibile ai tempi d’oro del Daesh, ancor meno oggi quando la propaganda è soprattutto parole per chi vuole ascoltare, non azione.

A partire da questo presupposto, Al-Naba non poteva esimersi da proporre una breve – perché questo è – narrativa dell’incontro della coalizione anti-Daesh, che se giustamente rileva la permanenza della minaccia islamista, dall’altra non può evitare di legittimarla come “il nemico”, dunque qualcuno da temere e combattere. Ricordiamo che questa è l’ambizione del terrorismo: essere il nemico PUBBLICO Numero Uno, perché è questo che lo legittima e lo favorisce nel reclutamento: non si può nascondere il fatto che meno il terrorismo lo si combatte con una guerra e più con operazioni coperte, tanto più il terrorismo ne soffre.

Al- Naba 294 mette in fila Roma con Dabiq, il “redde rationem”, l’”armageddon” in cui i musulmani sconfiggeranno i miscredenti; con Ghouta, accanto a Damasco, teatro di pesantissimi combattimenti e di resistenza estrema di terroristi e civili sottoposti ad attacchi chimici; e con Gerusalemme, espropriata all’islamismo terrorista. Queste minacce si inseriscono in una narrativa di circa una pagina (si veda pagina 3 di Al-Naba 294) che sottolinea come i mujahideen dello Stato Islamico siano vivi e, dunque, Roma abbia ben donde di preoccuparsi (“son ben naturali le paure di Roma”) anche perché la penetrazione di Daesh si è fatta ben più vicina all’Europa: Africa Centrale, Congo, Yemen, Mozambico e Sahel vengono citati come la cintura (la nostra Black Belt Road) che, dall’Africa, sta avvolgendo l’Europa. E la coalizione, che già minacciata in passato non aveva dato credito alle minacce, adesso essendosi resa conto di aver mancato l’obiettivo, (quello di struggere lo Stato Islamico in Siria e nel Levante con una guerra durata invano otto anni) vorrebbe assestare il colpo finale. L’articolo cita l’intenzione della coalizione di intervenire sul blocco dei flussi di finanziamento e sui canali della propaganda in rete.

Il clamore sollevato da questa pagina di Al-Naba è corretto ma non correlabile alla minaccia concreta che Daesh può apportare.

E’ corretto perché conferma come il terrorismo sia un asset centrale del conflitto ibrido in corso, destinato a durare ancora molti anni: possono esserci delle parentesi caratterizzate da attività sotto soglia ma il confronto è in corso e in ogni momento può tornare alle manifestazioni apicali come fu a Parigi o a Berlino o a Londra.

Ma non è misura della minaccia, in termini di consistenza e probabilità di questa, rispetto a una immediata azione coordinata del terrorismo. Pur tuttavia, questa forma di propaganda può dinamizzare la grande e diffusa famiglia degli imitatori delle pratiche terroristiche di Daesh che trovano giustificazione per la loro violenza sotto la bandiera nera.

La propaganda è sempre un’arma a doppio taglio: è necessaria al reclutamento del terrorismo ma è anche segnale di allerta per i suoi nemici. Purché si ascolti.

La propaganda è la “pastura” della guerra cognitiva che nutre ciascuno sia come potenziale singolo target sia come singolo cittadino responsabile della sicurezza della comunità.