Orlando e la strage di Omar Mateen – by Marco Lombardi

Orlando e la strage di Omar Mateen è l’evento più rilevante di questi anni che apre una serie di interrogativi, i più ancora senza risposta.

Si comincia con il profilo dell’autore, questo Omar Mateen aspirante poliziotto diventato guardia giurata, indagato da FBI nel 2013 e nel 2014. Dapprima per le sue manifestazioni apparentemente pro Daesh con i colleghi, poi per la contiguità geografica con Moner Mohammad Abusalha, il primo americano suicida in Siria: entrambi vivevano a Fort Pierce, in Florida, frequentando la medesima moschea. Indizi che non provarono nulla. Un personaggio definito instabile dalla moglie, per i suoi scatti violenti, e il cui attacco è stato motivato dal padre per la profonda “irritazione” che Omar provò vedendo due gay baciarsi. Un profilo che comunque lascia dubbi sui risultati delle indagini. Ma anche sulla giustificazione familiare che escludendo il fattore religioso ne propone uno alternativo egualmente inaccettabile legato alla omofobia. Lo stesso contesto familiare del killer sembra problematico. Il padre Seddique Mateen era comparso sul canale californiano “Payam-e-Afghan” (http://www.payameafghantv.com/), nel programma Durand Jirga, con affermazioni quali “I nostri fratelli del Waziristan, i nostri guerrieri nel movimento e i talebani dell’Afghanistan stanno risollevandosi“.

La stessa agenzia per la quale Omar lavorava, la G4S Secures (http://www.g4s.com/en/) prende le distanze dichiarando: “G4S is deeply shocked by the tragic events in Orlando this weekend and the thoughts of everyone at G4S are with the victims and their families. Omar Mateen was employed by G4S at a residential community in South Florida and was off-duty at the time of the incident. Mateen was subject to detailed company screening when he was recruited in 2007 and re-screened in 2013 with no adverse findings. He was also subject to checks by a U.S. law enforcement agency with no findings reported to G4S. G4S is providing its full support to all law enforcement authorities in the USA as they conduct their investigations. For further enquiries, please contact.”
L’attacco sembra essere quello tipico di un lupo solitario, una figura mai dismessa dal terrorismo islamista, sulla quale negli ultimi mesi sono comparsi una serie di rinforzi all’azione sia in Inspire (vicino ad al- Qaeda) che Dabiq (vicina Daesh). Ma certo se il modus operandi riporta a questa figura, ora l’interesse è sull’eventuale consistenza del processo di radicalizzazione che potrebbe averlo coinvolto, non solo su come l’attacco è stato organizzato e svolto.

Nella complessità dell’analisi di quanto è accaduto, è anche interessante un possibile legame con il primo articolo, pubblicato su Inspire poche settimane fa, che mette in relazione i disastri naturali quali punizione divina contro gli infedeli e gli attacchi del terrorismo, un pezzo tutto incentrato sugli USA. E una lettura di quanto avvenuto è quella di un attacco a un comportamento, quello omosessuale, ritenuto contro natura da parte dell’islam radicale. Forse, ma per ora siamo solo legati a “forse” in tutte le interpretazioni, non c’è relazione ma un nesso logico emerge.

Come d’altra parte è logico Daesh si è appropriato dell’evento. Le rivendicazioni vengono da a’Maq, una major del Califfato molto operativa sui social media da un paio di anni, inefficacemente soggetta a più tentativi di oscuramento ma tuttora presente. Resta da chiedersi quanto questa sia una appropriazione indebita o reale, rafforzata dalla successiva dichiarazione di al Bayan, radio di Daesh, che chiama Mateen “uno soldato del Califfato negli Stati Uniti”. Dunque due rivendicazioni che vengono da organi accreditati ma che nulla dicono rispetto alle verità, che resta celata. Infatti, sappiamo per certo che esiste una strategia di “accreditamento” degli attacchi contro i kuffar che si risolve nella necessità di Daesh di continuare  mostrarsi come il più forte, soprattutto nei confronti del mondo arabo. Aggiungiamo due spunti rispetto alle rivendicazioni. Per esempio che siano in arabo, inglese e francese: quest’ultima ormai una lingua veicolare che sostiene l’interesse verso la Francia come bersaglio prioritario. E poi, secondo spunto, che la parola araba utilizzata nella rivendicazione non sia quella abitualmente utilizzata da Daesh per censurare il comportamento omosessuale.

Orlando

Che sia un atto di terrorismo è evidente, ma ancora indipendente dalla matrice jihadista: ciò significa riaprire la questione sul terrorismo interno americano che nel passato ha avuto diverse manifestazioni. Ma la fretta della politica spinge a utilizzare la drammaticità dell’evento nel contesto della campagna presidenziale americana. Così i due candidati attraggono le lettura rispetto a loro posizioni utilitaristiche: Trump per rinfocolare l’avversione islamista e anti-immigrazione, Clinton per rilanciare la campagna contro le armi. Letture di parte che corrono il rischio di aprire nuove vulnerabilità in un contesto complicato di rischio globale emergente.

Insomma, come spesso accade nell’immediato di questi eventi entrano in gioco tanti interessi che troppo spesso rendono più difficile l’affermarsi di una lettura oggettiva, l’unica utile a dispiegare quelle armi utili e necessarie a combattere il fenomeno Daesh.