Sahel, Mali, Ciad, CAR: Cina e Russia si mangiano l’Europa al desco africano – by Marco Lombardi

Stili diversi, ma grande efficacia nel raggiungere l’obiettivo di rischierarsi nella guerra ibrida in corso, massimizzando il vantaggio. Così Cina e Russia stanno scalzando ogni competitor dalla tavola da gioco globale.

La Cina continua ad applicare le regole del Go per conquistare territorio circondandolo con la densa rete di comunicazioni che parte dalla madre patria. Il gioco del Go si pratica in Cina da almeno duemilacinquecento anni: su una tavola fittamente reticolata si scontrano due eserciti la cui vittoria dipende dalla occupazione del territorio attraverso un accerchiamento progressivo del nemico, muovendo i Qi, le pietre pedine. Nella realtà le grandi vie di penetrazione cinese sono le linee del reticolato che può svilupparsi su una tavola del Go che si allarga a piacimento. Già suggerii questa lettura a seguito dell’appoggio cinese al golpe in Myanmar, subito manifesto con il movimento di truppe cinesi (i Qi, le pietre pedine) sui confini della grande regione meridionale cinese dello Yunnang che è il punto di diffusione delle vie di penetrazione cinese verso la regione del Grande Mekong (corridoio economico Est-Ovest), verso l’India (corridoio economico Bangladesh-China-India-Myanmar) e attraverso il Myanmar (corridoio economico Cina-Myanmar). Proprio quest’ultimo corridoio porta al controllo cinese di alcuni porti sull’Oceano Indiano, nella zona di Kyaukphyu nello Stato di Rakhine, nella zona occidentale del Myanmar, affacciata sul Golfo del Bengala. Si tratta di una traccia nuova sulla tavola del Go, che renderà superfluo il passaggio nel Pacifico e, soprattutto, l’attraversamento dello Stretto di Malacca. In sostanza, si scorcia di un buon 30% il percorso verso l’Africa e ci si libera dalle forche caudine di Malacca. Nelle ultime settimane, poi, si è consolidata la penetrazione in Sri Lanka, ormai il partner commerciale e militare più significativo per la Cina nell’Oceano indiano, con il finanziamento miliardario al porto di Colombo, potendone usufruire per decenni. Mentre il porto di Hambantota è già garantito per 99 anni (o più probabilmente 99×2). Anche in questo caso il Go si esprime con il confine efficace e lineare che connette direttamente lo Yunnang, con un accesso diretto all’Oceano Indiano in Myanmarr, un funzionale stop in Sri Lanka, all’Africa del Corno e, da qui, a quella profonda.

Le linee della tavola del Go stanno perfettamente cinturando gli interessi europei che resterà una esclusiva potenza di se stessa.

Il rinnovamento del porto di Colombo

Egualmente la Russia, usando armi differenti, persegue il medesimo scopo: l’Orso si presenta al mondo con la potenza degli artigli sul campo che si proiettano con la punta di diamante dei mercenari del Wagner Group e con le stilettate della campagna di contro informazione dispiegata dal Cremlino ad ogni livello della rete digitale.

Il contagio, per prossimità dei territori, è continuo: dalla Siria alla Libia, al Ciad e al Mali, e poi via così, l’allargamento dell’influenza russa lo seguiamo sulle orme della Wagner, che insegna combattendo al fianco delle forze del potere locale ogni forza di opposizione. Siamo in un continente in cui non necessariamente il potere si associa a una prassi che, nella politica occidentale si riconosce per una scelta che si potrebbe definire legittima (non eccedo presupponendo democratica), e dove l’avversario non necessariamente è tale rispetto a dei criteri di giustizia oggettivabile: questa sorta di lata consonanza, o almeno di possibile assonanza, con la cultura del potere e della governance in Russia, facilita una intesa operativa. La Wagner esprime sul campo questa intesa supportando, armi in pugno, il detentore del potere di fronte a ogni opposizione, al grido, refrain di molta della campagna mediatica russa in Sahel, che “i russi portano giustizia. Gli americani portano democrazia”: un grido che assume forza nella possibile interpretazione soggettiva dei due concetti, tra cui il primo esce vincente per la sua polisemicità, e per la concretezza con la quale il primo corrisponde a una pagnotta, il secondo al limite solo alla possibilità futura di ottenerla.

Questa proiezione di potenza sul campo ha dilagato, come ogni esercito barbaro di conquista, attraverso la Siria e la Libia moltiplicando alleati e territori: l’acqua copre e livella, penetra e defluisce e rifluisce. Scavalca i monti del sud libico con il Fronte per l’alternanza e la concordia, il Fact, che finalmente raggiunge l’obiettivo di scalzare il presidente ciadiano Idriss Deby Itno. Personaggio discusso, salvato almeno un paio di volte nel passato dai francesi, che ora lo abbandonano. Così come sta per essere abbandonata Bamakò, dove a giorni dovrebbe insediarsi il nuovo presidente del Mali, il colonnello golpista Assimi Goita, formato insieme ad altri membri della giunta e come buona parte dei quadri militari in ambienti russi. In Mali si tratta del secondo colpo di stato in nove mesi, che segue a ruota quello in Ciad e sembra rinforzare la decisione francese di abbandonare un’area sempre più instabile. Questa pressione militare utile alla stabilizzazione di un potere funzionale agli interessi russi è ampiamente sostenuta dalla campagna di contro-informazione che investe le popolazioni di questi paesi. Il 14 maggio scorso, lo stadio di Bangui (capitale della Repubblica Centrafricana) ha fatto il pienone per la proiezione del film “Touriste”, un gran filmone di guerra, doppiato in Sango la lingua locale, che santifica la lotta dei mercenari della Wagner accanto alle truppe regolari del Paese contro i ribelli.

La celebrazione della amicizia Repubblica Centrafaicana e Russia alla stadio

Con strategie diverse, coerenti con le proprie tradizioni culturali, russi e cinesi stanno accerchiando quella piccola parte di mondo che voleva riconoscersi in Europa, scalzando via, passo dopo passo, spinata su spinta, le singolarità nazionali – piccole “cacche di mosche” per la loro capacità di risposta militare, politica ed economica di fronte ai due colossi – che non hanno possibilità di resistere nei nuovi territori di conquista africana.

Possiamo chiederci, in questo contesto, che cosa farà il Jihad, organizzato nei gruppi del terrorismo islamista che punteggiano il Sahel e che perseguono la strategia che, già nel 2017, battezzammo come Black Belt Road: una struttura di gruppi e Wilayat (province) via via formalmente riconosciuti dallo Stato Islamico che andava a costituire il nerbo del ridispiegamento islamista in Africa, al refluire dai territori nord orientali. Già allora il problema di questo progetto era evidente, manifestandosi nella difficile gestione, in prospettiva formale islamista, di bande, prima che di gruppi rispettosi, organizzati su base tribale, orientati al banditismo, spesso centrati su temi locali, nel complesso non immediatamente prossimi alla “purezza” richiesta dallo stereotipo propagandato del terrorista islamista. La domanda: “che cosa faranno gli islamisti?” è particolarmente interessante perché la guerra siriana insegna come possano essere utilizzati all’interno di progetti ben più ampi, e funzionalmente impiegati gli uni contro gli altri. Se inoltre, questo fu possibile in Siria, nell’ancor più liquido contesto africano il continuo e rapido alternarsi delle alleanze, con la più ampia confusione di sigle e attribuzioni di stato (Terroristi? Banditi? Ribelli? Regolari?), sarà ancora più facile. In termini operativi, la definizione di terrorismo e di guerra al terrorismo, nelle guerre d’Africa è totalmente priva di senso, e funzionale alla narrativa di esportazione per sostenere visioni (e consenso) nello spazio pubblico mediatizzato.

Dunque, Russia e Cina si cimenteranno con un terrorismo jihadista plurale, tipicamente africano, con strategie differenti di cui troverei le radici per i primi dagli Urali alla Siria, per i secondi dal Xinjiang all’Afghanistan.

Staremo a vedere?

Se questa domanda vuole sottolineare il possibile esclusivo ruolo da “guardone” dell’Europa, è allora possibile che per noi sia solo così.

E allora sarebbe certo che avremo un solo perdente: l’Europa.

Completamente annichilita per l’incapacità di ridefinire una necessaria e urgente politica comune che, ancora, si sta scontrando con gli interessi nazionali – per esempio l’opposizione a interventi continentali in Africa a tutela dei vecchi interessi nazionali ormai desueti, quale è il blocco francese in Sahel a una presenza europea condivisa –, l’Europa sta per essere masticata e digerita.

Fino all’ultimo fisiologico atto.