TerrorismI e Torino: la profezia che si autoadempie – by Barbara Lucini

Se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze.” Questa frase non appartiene a un analista della sicurezza, a un agente delle forze speciali, a un portavoce ministeriale o altri esperti. E’ stata invece coniata da William Thomas nel 1928: un sociologo americano.Rappresenta un concetto semplice, dissacrante rispetto alla grandezza della verità che porta il suo significato: la definizione della situazione così viene chiamato questo assioma, focalizza l’attenzione sul ruolo che la percezione delle persone e i suoi effetti hanno nel vivere comune.

Dinamica che si è realizzata in modo drammaticamente perfetto durante la finale di Champions League in Piazza San Carlo a Torino.

La folla impazzita implica una mancata gestione istituzionale delle rappresentazioni della minaccia terroristica, che viene definita come reale dalla popolazione e per la quale si trovano modi di risposta fai da te, in questo caso più pericolosi della minaccia potenziale non adeguatamente interpretata. La sovrastima della minaccia era chiara e anche comprensibile, data la mancanza di competenze a abilità conoscitive in caso di rischio reale.

L’evento è figlio di una sempre più scarsa fiducia nelle istituzioni e nel loro operato, di una dis – appartenenza e dis – affezione politica alta, della cronica mancanza di una guida istituzionale solida che possa operare in modo legittimo per la sicurezza del Paese, ma ancora più della popolazione.

A fronte quindi di una dimostrata percezione del rischio terroristico alta, l’assunzione di esso da parte di chi è preposto alla comunicazione e alla gestione della minaccia soprattutto in fase di mitigazione e latenza, risulta molto scarsa.

La vulnerabilità non è più quindi rappresentata dalla potenziale minaccia e dalle sue caratteristiche, ma dalla scarsità di competenze interpretative, relazionali e comunicative, che includano e vadano oltre gli aspetti operativi e tecnici di una analisi del rischio comunque lacunosa.

Sulla base delle implicazioni insite nella profezia che si autoavvera è necessario un cambio di paradigma conoscitivo rispetto al rischio e alla minaccia terroristica: il passaggio da modelli predittivi, che non aiutano nella comprensione della minaccia perché inadeguati al loro compito e alle caratteristiche dei fattori di rischio, a modelli interpretativi che si interfaccino come guida resiliente di una comunità a rischio. Fino ad ora infatti, i modelli predittivi utilizzati per fare chiarezza sulla matrice della minaccia, tipologia e funzionamento non hanno fornito codici interpretativi validi, per orientare e adoperare le competenze necessarie alla risposta alla minaccia.

La complessità della minaccia terroristica è tale, che la possibilità di semplificare il campo conoscitivo e quindi quello operativo non è possibile. Per questo sarebbe necessario e auspicabile tracciare dei quadri interpretativi, che possano fornire delle linee guida sistematizzate per le rappresentazioni sociali della minaccia, promuovendo la riduzione della vulnerabilità, l’esposizione al rischio e un risk management coerente con i fattori costitutivi la minaccia.

In questo clima sociale così incerto, una nuova agenda istituzionale è un bisogno che dovrebbe essere colmato, considerando in modo più responsabile la presa in carico delle comunicazioni di prevenzione e la formazione per comportamenti sicuri per tutta la popolazione, evitando di sottostimare o sottovalutare la portata delle percezioni della minaccia da parte della popolazione stessa.

E’ giunto quindi il momento, anche con un po’ di ritardo, per costruire agende comunicative negoziate e trasparenti, che possano infondere sicurezza rispetto alla governabilità di una minaccia incerta e diffusa considerando che è un compito arduo, ma indispensabile.

La soglia infatti di attenzione al rischio e la percezione di vulnerabilità si abbassano, quando si possiedono le conoscenze e le competenze necessarie di risposta in caso di rischio manifesto.

La dinamica della folla a Torino rappresenta il vuoto istituzionale nella gestione di una minaccia potenziale e la sottile linea di demarcazione risiede proprio nel suo essere potenziale e non reale.

L’assunto comune è che se un fatto non accade vuole dire che ancora non esiste, ma l’analisi sociologica delle dinamiche dei gruppi sociali, dimostra che è sufficiente una interpretazione fuorviante per generare comportamenti ingestibili.

E’ proprio qui che si situano le opportunità di prevenzione e resilienza: nell’assurgere come reali nei loro effetti, minacce latenti e percepite come unicamente potenziali.

Senza un cambio radicale di atteggiamento e risposte istituzionali concrete, questa situazione comporta la loro vincita, chiunque essi siano: hanno creato paura, insidiato comportamenti quotidiani, minato le rappresentazioni collettive che determinano comportamenti pubblici irrazionali, alimentato conflitti inter –etnici i cui effetti ci interesseranno nel lungo periodo: gli stessi fattori che nella storia hanno determinato il declino di altre società.

Qui un precedente commento agli eventi di Torino.