Il 30 dicembre 2009 a New York vicino a Times Square c’era già stato un allarme un falso allarme bomba per “un furgone sospetto senza targa e con i vetri coperti da teli, parcheggiato a Times Square tra la 42esima strada e Broadway, ha gettato per qualche ora la città nel caos ma all’interno del veicolo sono state trovati solo alcuni cartelloni di agenzie di sicurezza inesistenti.
Dopo il cessato allarme tutta la zona è stata riaperta, così come gli edifici limitrofi <State tranquilli, in questo periodo questa città è probabilmente la più sorvegliata del pianeta>, ha dichiarato Paul Brownie, agente di polizia di New York. Il furgone Dodge del 1992, vicino alla centralissima Times Square, era fermo nella stessa posizione da diversi giorni. Una donna che lavora nelle vicinanze lo ha notato e alle 11 di questa mattina ha dato l’allarme” (ADN/Kronos).
Il 2 maggio 2010 la storia si ripete, nuovamente bloccata Times Square e blocco dalla 43esima alla 46esima strada: “tutto è cominciato alle 18:30 (00:30 in Italia), quando un venditore ambulante di magliette ha notato l’auto sospetta e ha allertato un poliziotto a cavallo. Quest’ultimo ha notato del fumo che proveniva da aperture nei pressi del sedile posteriore e odorava di polvere da sparo. Il veicolo secondo le autorità era un suv Nissan Pathfinder verde scuro, con il motore accesso e le quattro frecce inserite. Aveva una targa del Connecticut che non corrispondeva al mezzo (….) Il Commissario della polizia di New York Ray Kelly ha detto che nel bagagliaio del suv gli artificieri hanno trovato e disinnescato tre bombole di gas propano, fuochi d’artificio a combustione graduale, due taniche di benzina da 19 litri ciascuna e due orologi usati apparentemente come timer. Il sindaco Bloomberg ha detto che la bomba sembrava realizzata in modo amatoriale” (ANSA).
Il primo dato, dunque, è proprio questo: uno scenario e un artificio da improvvisazione che domandava attenzione prima di esplodere, piuttosto che dopo. A conferma di quanto i buoni maestri non si trovino su internet, malgrado il clamore che ogni volta viene fatto intono alla rete. Sempre su internet, il 30 aprile, su YouTube prende il via il canale di informazioni e notizie del gruppo pakistano Tehrik-i-Taliban Pakistan: sembra proprio anto apposta per la notizia delle rivendicazione dell’attentato mancato di oggi. Infatti ecco comparire la rivendicazione su Youtube, caratterizzata da una permanenza bassissima è stata, infatti, rimossa per violazione dei termini nel giro di poco.
Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP) cioè il Movimento degli Studenti del Pakistan è uno dei più importanti gruppi talebani operanti nelle aree di confine tra Afghanistan e Pakistan, nelle valli dello SWAT in particolare, e si configura come un “ombrello” che racchiude i combattenti contrari alle forze Nato e al Governo Pakistano. La rivendicazione è di Qari Hussain Mehsud, riconosciuto leader del TTP e altrettanto riconosciuto espertissimo “bombarolo”, che ne reclama la responsabilità al movimento “parlando” da una sua immagine ripresa dal manifesto emesso dall’esercito pakistano identificandolo quale “ricercato numero uno”. Il messaggio annuncia che l’attacco è una vendetta per l’uccisione dei comandanti mujahideen Baitullah Mehsud, capo del TTP ucciso dai predator USA nell’agosto 2009, e Abu Omar al Baghdadi, capo di al Qaeda Islamic State of Iraq, ucciso dagli iracheni a metà aprile. Durante la rivendicazione compare anche una immagine senza citazione di Abu Ayyub al Masri, capo di al Qaeda in Iraq, anch’egli morto a metà aprile. Nello stesso messaggio Qari Hussain dice che l’attacco fallito è stata una “revenge for the Global American interference and terrorism in Muslim countries, especially in Pakistan for Lal Masjid operation”, cioè lo scontro tra talebani e Pakistani alla Moschea Rossa di Islamabd nel luglio 2007, la cosiddetta Operation Sunrise.
Nel frattempo su altri forum i fratelli commentano: “What they found was stunning: a running SUV packed with three propane tanks, two red 5-gallon plastic jugs of gasoline, a clock, electrical components and a canister of gunpowder, police sources said. I imagine even through this bombing attempt looks lame, in a crowd, shrapnel could do a lot of damage”. E anche “la cosa strana è che proprio quando questo accadeva un gruppo di fratelli stava pregando (dawah) in Times Square”.
Difficile tirare delle conclusioni a poche ore di distanza e in questa situazione ma si possono avanzare alcune linee di riflessione a conferma di scenari già pensati:
- imparare a fare le bombe, bene, in casa, con una maestra virtuale non è facile. Ma il mancato risultato in termini di vittime (spesso solo gli stessi attentatori, imitatori funzionali sprovveduti) non pesa poi meno del perdurare della minaccia: uno spettro che si aggira nelle città occidentali rompendo la quotidianità della vita, insostenibile troppo a lungo;
- il qaedismo di Osama e Zawhiri non è più quello di una volta, “la base” al limite può proporre generali linee di orientamento a movimenti sempre più gestiti (anche sul piano mediatico) localmente, dall’Africa all’Asia. Ciò comporta una rivisitazione delle strategie di risposta al terrorismo;
- l’omphalos, l’ombelico del mondo, cioè dove tutte le tensioni del terrorismo si incontrano resta nel Grande Afghanistan, che va dall’Iran all’India. In quelle terre si incrociano antichi tribalismi, moderni conflitti trans-nazionali e post-moderne visioni di esportazioni ideologiche dell’occidente. Tutto da ripensare in modo nuovo.
Le sollecitazioni di cui sopra meritano ulteriori riflessioni prima della prossima Times Square, magari migliorata.