Foreign Fighters – Combattenti stranieri per ISIS e “tagliatori di teste” – By Marco Lombardi

Come spesso accade intorno a IS c’è scalpore e sorpresa: ingiustificata.

IS sta perseguendo i propri obiettivi secondo una strategia arguta e lineare, in cui combattimento, assassinio di massa, comunicazione, azione economica e politica convergono nel progetto di costituzione dello Stato Islamico. L’impiego dei combattenti stranieri si colloca in questo puzzle che non può stupire in quanto il disegno è evidente.

In estrema sintesi, perché non è obiettivo di questa nota andare oltre, è il DNA di IS che guida il progetto: un gruppo terrorista che si chiama Stato, organizzato come uno stato, che governa un territorio sul quale riscuote tasse e offre servizi, si propone di battere moneta, esercita il potere “legittimo” della violenza, comunica con una pluralità di media e diversifica i messaggi, etc. Insomma uno forma di stato nascente anche secondo la teoria politica condivisa, che ha già assunto i caratteri della statualità.

Si tratta di un progetto complesso che mette a confronto al Qaeda tradizionale e IS il cui conflitto (seppure emergendo un certa unità tra le file dei combattenti jihadisti dovuta al richiamo alla difesa dagli attacchi occidentali in Siria e Iraq) è evidente soprattutto sui forum islamici che ormai dichiaratamente prendono parte per l’uno o per l’altro. Alcuni, come Platform Media, Tahaddi e Shumuk più vicini a IS, altri come Fida’ e ‘Arin per la vecchia al Qaeda. D’altra parte è centrale, per il medesimo progetto, l’affermazione di egemonia idologica di IS Califfatto rispetto alle altre forme islamiche di statualità e di governo e, in questo ambito, è fondamentale la campagna di adesione formale promossa presso le organizzazioni di AQ in franchising finalizzata a ottenerne il giuramento di fedeltà alla autorità di al Baghdadi.

Ma intorno a questo temi abbiamo già commentato in precedenti note pubblicate su www.itsitme.it.

La questione combattenti stranieri si inserisce in questo progetto e anche le modalità di impiego di questi. E’ difficile dare numeri attendibili, anche perché una valutazione obiettiva si scontra con la dimensione propagandistica che gli stranieri combattenti hanno per IS.

Di massima, è verosimile pensare ad almeno 15.000 stranieri di cui tra i due e tremila occidentali, provenienti da 80 paesi differenti, in cui spiccano tunisini, sauditi, marocchini, libanesi e, dall’Europa, francesi, inglesi, tedeschi, belgi e un pugno di italiani. La via del reclutamento passa soprattutto attraverso la rete e un processo sufficientemente sofisticato, e gestito spesso da clerici islamici radicali, di indottrinamento, selezione, radicalizzazione e invio nel Califfato. Quanto è certo, e preoccupante, è che negli ultimi mesi il flusso si è intensificato arrivando, secondo alcune stime, a un reclutamento di mille stranieri mese, che vanno non solo a ingrossare le file dei combattenti ma anche quelle dei “fornitori di sevizi”. Come si è già scritto la dichiarazione del califfato è stata un grande booster, un acceleratore.

Il raccapricciante video di oltre 15 minuti che rappresenta anche la decapitazione di Kassig entra perfettamente in queste considerazioni: del povero americano si mostra le testa mozzata senza il cerimoniale della tuta da prigioniero di Guantanamo né discorsi, preceduto tuttavia da una lunga introduzione su IS e inframmezzato dalla decapitazione di un manipolo di militari siriani, operata da personale di IS in tuta mimetica, schierato in parata, con la partecipazione a viso scoperto di diversi combattenti stranieri. Si tratta di un video che mostra una regia accurata e una sceneggiatura disegnata ad hoc in cui nulla è lasciato al caso: parate, esecuzione ritmata, posizionamento delle teste sui cadaveri, etc. Per alcuni analisti ciò potrebbe essere ricondotto a una strategia di uscita, di emergenza, per il fatto che l’usale cerimoniale (da Foley a Henning) non è stato possibile perché “qualcosa è andato storto” durante l’esecuzione. Io sono più propenso a pensare che sia uno cambio di stile, come accaduto per la serie in cui è protagonista Cantlie, con finalità ben specifiche che si inquadrano nella capace comunicazione jihadista.

Si tratta dunque di qualcosa di diverso che può avere una molteplicità di significati.

Il metodo delle decapitazioni continua a essere un segno di identità per IS: nella tradizione del fondatore Zarkawi, malgrado la contrarietà di Zawahiri, caratterizza le radici e le prospettive dei nipoti del leader combattente di AQ.

Ma è anche una minaccia esplicita, ancora più diretta e affettivamente mobilitante, quando a compiere il gesto, i boia a volto scoperto, si riconoscono come occidentali. Attraverso la rappresentazione di un gesto inammissibile si mostra alla cultura occidentale la possibilità dell’inatteso da parte di persone nate e cresciute nello stesso mondo che minacciano (l’Europa): si evidenzia, senza i rischi di un attentato in Europa, la concreta minaccia che IS può costituire conquistando “il cuore e le menti” dei giovani europei. E forse è peggio di un attentato!

Per i boia europei si tratta di una via senza ritorno, oramai sono dei “morti che camminano” pubblici, inaccettabile un loro rientro “a casa” per un atto che non trova possibilità né di comprensione né di giustificazione. Per loro è l’atto di fedeltà suprema che li lega indissolubilmente al califfo.

Infine, apre una forma di possibile dialogo con lo stesso Islam, anche qaedista, che critica il metodo delle decapitazioni. Si deve ricordare che già Zawahiri scriveva nel 2006 a Zarkawi contro il metodo delle decapitazioni. Più recentemente si sono pubblicamente dimostrati contrari sia un gruppo di studiosi salafiti britannici, sia il turco Fethullag Gülen, sia il giordano radicale Abu Qatada al-Filastini, che dalla prigione ha apertamente criticato sia IS sia la decapitazione dei giornalisti occidentali. L’aver messo il coltello in mano agli stessi occidentale può contribuire a mantenere aperte alcune porte con questi clerici radicali critici, strategia utile nel confronto con AQ tradizionale.

In conclusione, provvisoria, non siamo di fronte a nulla che possa sorprendere ma siamo alle prese con un drammatico e beluino quadro strategico che è necessario comprendere per combatterlo