Il video di IS sui Balcani: A Message to the People of the Balkans – by Giovanni Giacalone

L’ISIS ha rilasciato, tramite la sua principale casa di produzione, la al-Hayat Media Center, un nuovo video (5 maggio 2015) specificatamente orientato ai Balcani, con particolare attenzione alla Bosnia-Erzegovina: “Honor is in Jihad. A Message to the People of the Balkans”

L’obiettivo è chiaro, scuotere i musulmani dei Balcani e spingerli verso due direzioni: l’ “Egira” verso lo Stato Islamico o la jihad neo propri paesi.

Cinque degli otto personaggi che prendono la parola nel video sono infatti bosniaci e i riferimenti, sia visuali che linguistici, alla guerra di Bosnia sono molti, anche se nel filmato vengono lanciate minacce anche ai “miscredenti” di Albania, Macedonia, Serbia e Kosovo.

 I jihadisti balcanici nel video

Gli otto jihadisti protagonisti del filmato sono:

Abu Jihad al-Bosni, Salahuddin al-Bosni, Abu Bilqis al-Albani, Abu Safiyah al-Bosni, Abu Muhammad al-Bosni, Abu Maryam al-Albani, Abu Muqatil al-Kosovi e Abu Siddiq al-Bosni.

Alcuni di loro sono già stati identificati, come a esempio Ridvan Haqifi  (Abu Muqatil al-Kosovi), kosovaro di Gijlan, ritenuto vicino alle milizie di Lavdrim Muhaxheri, capo-milizia dell’ISIS noto per essere stato filmato in più occasioni mentre decapitava prigionieri.

Abu Bilqis al-Albani è invece stato identificato come Almir Daci, ex imam nella moschea di Pogradec e legato al “giro” di Genci Balla e Bujar Hysa, due imam attualmente detenuti in Albania con l’accusa di propaganda e reclutamento.

Daci è tra l’altro ritenuto responsabile del reclutamento di Ervis Alinji e Denis Hamzaj, due ragazzi albanesi presumibilmente morti in Siria. Secondo fonti di Tirana, Hamzaj si sarebbe laureato in un’università italiana prima di rientrare in Albania e scomparire.

 Principali caratteristiche

Ritornando al video, non vi è alcuna casualità nel suo svolgimento, che segue uno schema ben preciso e nel quale ciascun personaggio svolge un ruolo accuratamente studiato.

Alcuni punti chiave da mettere in evidenza sono:

  • L’utilizzo di immagini forti.
  • Una retorica conflittuale di matrice ideologico-dottrinaria che fa ampio uso di terminologia takfirista e di versetti del Corano singolarmente scelti, decontestualizzati e interpretati in maniera letterale.
  • I riferimenti a fatti storici partigianamente interpretati; la strumentalizzazione di alcuni episodi con l’obiettivo di riaprire “vecchie ferite” e istigare alla violenza le popolazioni musulmane dei Balcani.
  • L’accusa di “miscredenza” nei confronti di una pluralità di soggetti: Stati Uniti, Unione Europea, Nazioni Unite, ex regimi comunisti, atei, musulmani “moderati” definiti traditori.

 Il video

Il video, che ha una durata di circa 20 minuti, si apre con una vistosa ed eloquente serie di immagini dove vengono messi in evidenza i Balcani e alcune immagini di Istanbul ed Edirne, considerate dai jihadisti roccaforti dell’invasione islamica verso l’Europa.

Il primo personaggio a prendere la parola è Abu Jihad al-Bosni che fa riferimento a un versetto su Mosè mentre porta il proprio popolo dall’oscurità verso la luce.

Nel frattempo viene esposta una rapida sequenza di fatti storici che partono da una fase nella quale i Balcani avrebbero ricoperto il ruolo storico di “frontiera offensiva” dell’Islam nei confronti dell’Europa per poi assumere un ruolo difensivo contro l’aggressione dei “miscredenti”.

Si passa poi rapidamente al periodo delle due Guerre Mondiali e alla nascita delle “nazioni” col sopraggiungere del “modello comunista” fondato sull’ateismo, mentre la Repubblica di Jugoslavia viene citata come “trainata dalla Serbia”. Ciò non deve sorprendere visto che ancora oggi molti musulmani bosniaci vedono nei serbi i nemici storici responsabili di numerosi massacri durante la guerra del 1992-95.

Abu Jihad conclude poi facendo presente che la fine dell’umiliazione per i musulmani dei Balcani potrà terminare soltanto nel momento in cui faranno una scelta ben precisa tra due possibilità (messaggio chiave di tutto il filmato):

  • Lasciare i propri paesi per trasferirsi nello “Stato Islamico”
  • Combattere i “miscredenti” e i loro governi nei Balcani

A questo punto subentra Salahuddin al-Bosni, il cui messaggio si focalizza sui due precedenti punti, facendo un iniziale riferimento a quegli uomini musulmani che si lamentano di non poter portare la barba lunga o a quelle donne a cui è vietato portare il niqab nei propri paesi, per poi citare un versetto del Corano sull’Egira e dichiararlo sufficiente prova per voler intraprendere il viaggio verso lo Stato Islamico:

Quelli che hanno creduto, emigrato e lottato con i loro beni e le loro persone sulla via di Dio hanno il rango più alto verso Dio. Ecco i vittoriosi”. (9:20)

Salahuddin passa poi alla seconda opzione, quella della jihad nei propri paesi d’origine,  senza mezzi termini, istigando i fedeli dell’ISIS a piazzare esplosivi nelle case dei miscredenti e sotto le loro auto, ad avvelenare il loro cibo e le loro bevande e ad ucciderli ovunque essi si trovino, in Bosnia, Serbia, Sangiaccato, secondo la sua teoria che Allah aiuterà i piccoli gruppi. Un potenziale invito a formare piccole cellule.

Successivamente subentra Abu Bilqis al-Albani che dopo aver richiamato all’unione dei musulmani contro i miscredenti (i quali sarebbero intimoriti dal Califfato e avrebbero intenzione di distruggerlo), si scaglia contro il comunismo in Albania e in particolare contro Enver Hoxha, accusato di aver distrutto l’Islam nel Paese delle Aquile e di aver fatto dell’Albania il primo paese ufficialmente ateo della storia.

Salahuddin fa poi riferimento al contesto bosniaco, attaccando quei musulmani autoctoni che si sono ribellati contro il comunismo per poi abbracciare l’ideologia laica e formare uno “stato-nazione” fondato sulla democrazia e supportata dalle Nazioni Unite, definite “la Chiesa del secolarismo”.

Infine il bosniaco cita rapidamente Slobodan Milosevic e Ratko Mladic e li accusa di aver tentato di sradicare l’Islam dalla Bosnia.

A questo punto subentra Abu Safiyah al-Bosni con una citazione del versetto coranico 2:120: “E gli ebrei mai saranno contenti di te, né i cristiani. Solo quando seguirai la loro religione…” e spiegando che questa sarebbe la ragione per la quale i nemici dell’Islam (Stati Uniti, Europa, Occidente) avrebbero massacrato i musulmani. Abu Safiyah fa poi riferimento alle tragedie di Sebrenica, Gorazde e Mostar e afferma che se i musulmani non si dedicheranno alla jihad, allora Allah continuerà a umiliarli, fino a quando non ritorneranno alla loro religione, lasciando quindi intendere che Islam e Jihad hanno lo stesso significato.

L’elemento più interessante del discorso di Abu Safiyah al-Bosni è però il riferimento ai jihadisti arabi che durante la guerra di Bosnia giunsero nel paese per combattere accanto ai musulmani autoctoni contro i serbi e i croati.

Secondo Abu Safiyah, il governo bosniaco avrebbe infatti “tradito i sacrifici dei mujahideen”. Concetto ripreso subito dopo da Abu Muhammad al-Bosni  che scende nei dettagli e fa esplicito riferimento a quei mujahideen stranieri che sono stati traditi e spediti nelle carceri statunitensi.

Un possibile riferimento ad Abu Talal al-Qasimi (jihadista egiziano della Gamaa al-Islamiyya, arrestato nel 1995 in circostanze misteriose in Bosnia, presumibilmente dalle autorità croato-bosniache con il supporto statunitense e consegnato al governo egiziano) e a Imad al-Misri, ex membro di spicco dell’unità “El-Mujahid”, espulso dalla Bosnia nel 2001 su pressioni degli Stati Uniti e rientrato nel paese dopo il 2009, in seguito a un periodo di detenzione in Egitto.

Il bosniaco afferma che i musulmani non si sono opposti a questi fatti, ma ora hanno la possibilità di rimediare rivoltandosi contro il governo di Sarajevo, ritornando alla “religione” e appoggiando il Califfato.

A metà circa del filmato si passa alla guerra in Iraq, definito “Paese dei Due Fiumi” e alla nascita del Califfato grazie all’intervento dei mujahideen; nel contempo, ampio spazio visivo è riservato al terrorista giordano Abu Musab al-Zarqawi, ex leader di al-Qaeda Iraq, ucciso dagli americani nel 2006.

Interviene poi Abu Maryam al-Albani che cerca di dare un’immagine positiva e tranquilla dello “Stato Islamico”, ponendosi davanti alla telecamera assieme a una presunta moglie e dei bambini, mostrando dei parchi giochi e uomini barbuti che sorseggiano the.

Successivamente subentra Abu Muqatil al-Kosovi che assume invece toni tutt’altro che tranquilli, minacciando i miscredenti e i trasgressori (taghout) dei Balcani, colpevoli a suo dire di aver oppresso i musulmani e di essere nemici della “religione di Allah”.

Secondo il jihadista kosovaro, i “miscredenti” avranno paura di camminare in strada, di lavorare nei propri uffici e saranno terrorizzati e depressi persino nelle loro abitazioni.

Continua poi affermando: “noi amiamo la morte più di quanto voi amate la vita” (frase ricorrente nella retorica jihadista) e dichiarando che l’Islam verrà ripristinato nelle terre balcaniche.

Verso la fine del filmato prende parola Abu Siddiq al-Bosni (il più anziano) che chiede ad Allah di aiutare i musulmani dei Balcani a compiere l’Egira verso lo Stato Islamico e afferma che chi non mette in pratica la jihad perde onore.

Conclude poi citando la battaglia di al-Khandaq (Battaglia del Fossato), nella quale i “mushrikin” (idolatri) si allearono con i kuffar (colui che non crede, che nasconde l’evidenza) e incita i musulmani alla Shahada, la professione di fede.

 Alcune considerazioni terminologiche e visuali

Se dal punto di vista linguistico non vi è nulla di nuovo, con l’uso di termini come Kafir, Shirk, Taghout, Jihad, Religione, Onore, tutti caratteristici della retorica di matrice takfirista e jihadista, a livello visuale il discorso è ben più complesso e interessante.

Nel filmato si fa infatti ampio uso di immagini forti, nella speranza di scuotere non soltanto le coscienze dei musulmani balcanici ma di quei bosniaci che hanno vissuto, direttamente o indirettamente, gli orrori e le tragedie del conflitto di Bosnia.

Moschee sventrate, minareti distrutti, cadaveri con vicino mezzi delle Nazioni Unite, prigionieri ridotti pelle e ossa all’interno dei lager, uomini con braccia amputate, esplosioni.

Vi sono due immagini particolarmente eloquenti, una che ritrae una moschea distrutta con davanti un mezzo dell’ONU e un’altra dell’ex presidente bosniaco Alija Izetbegovic intento a firmare gli accordi di pace assieme a Franjo Tujman e Slobodan Milosevic, mentre sul retro sono presenti alcuni leader occidentali tra cui Bill Clinton e Jacques Chirac.