Ansar-alhaqq.net: il primo “risultato” di Anonymous – by Alessandro Burato

L’indomani della strage al giornale satirico Charlie Hebdo il gruppo internazionale di hackers conosciuto con il nome di Anonymous ha lanciato la sua campagna contro la comunicazione del terrore a difesa della libertà di espressione. Sotto l’hashtag #OpCharlieHebdo (utilizzato fino ad ora più di 43.000 volte) ha dichiarato di voler perseguire due principali obiettivi: innanzitutto quello di raccogliere informazioni riguardanti siti di propaganda islamista che inneggino al jihad ed eventualmente oscurarli unitamente alla richiesta a tutti gli utenti di Twitter di segnalare eventuali profili utilizzati come strumenti di radicalizzazione da parte dei terroristi cosicché vengano bloccati dalla compagnia.

Il messaggio diramato attraverso YouTube che specifica le motivazioni e le finalità è chiaro:

Greetings World, we are Anonymous.
On Jan 7, 2015, freedom of speech suffered a large hit. Terrorists breached into “Charlie Hebdo” newspaper’s premises and shot several satirical cartoon artists, journalists and two policemen. Though the two suspects are now dead, Al Qaeda is now threatening further attacks in France. Disgusted and also shocked, we can’t fall down, as it is our responsibility to react.
First, we wish to express our condolences to the victims’s families of this cowardly and despicable act. We are all affected by the death of Cabu, Charb, Tignous and Wolinski, and others, who were great artists that impressed, by their talents, all the history of the press and died courageously for its freedom.
It’s obvious that some people don’t want, in a free world, this sacrosanct right to express in any way one’s opinions. Anonymous has always fought for the freedom of speech, and will never let this right be besmirched by obscurantism and mysticism. “Charlie Hebdo”, historical figure of satirical journalism has been targeted. Anonymous must remind every citizen that the press’s freedom is fundamental to democracy. Opinions, speech, newspaper articles without threats nor pressure, all those things are rights you can’t change.
Tackling the freedom of speech is a direct hit to democracy. Expect a massive reaction from us, because this is one of the many freedom that we have always been always fighting for.
We will be crippling all terrorist outlet websites, and terminating all terrorist social media accounts. We will dump all personal information on every terrorist that we come across. We will not sleep until you are brought to your knees.
To Al-Qaeda, ISIS, and all other extremists;

Operation Charlie Hebdo ENGAGED.
We are Anonymous.

We are legion.

We do not forgive.

We do not forget.

Expect us.

La prima vittoria è stata comunicata sabato 10 gennaio al pubblico dal profilo Twitter degli hackers quando sono riusciti a mettere “down” il sito ansar-alhaqq.net per più di un’ora. Rinominata sui social #TangoDown, l’operazione ha riscosso grande successo tra l’opinione pubblica (l’hashtag è stato utilizzato più di 5.000 volte), tuttavia lascia fra molti la perplessità della sua efficacia in un ottica più generale di contrasto alla comunicazione del jihad e alla radicalizzazione online.

La Social Media Intelligence è, come già riferito in un precedente articolo una delle tecniche/strategie utilizzate dei servizi di intelligence per raccogliere e processare informazioni rilevanti relative ad un determinato argomento.

Questo delicato segmento del ciclo di intelligence si compone di 4 attori principali:

  • I monitorati. In questo specifico caso l’oggetto delle attività di monitoraggio, analisi, validazione e valutazione sono le comunicazioni pubblicate dai terroristi o simpatizzanti che perseguono diversi scopi tra i quali la diffusione del terrore e il reclutamento [1].
  • I monitoratori. Sono le diverse agenzie di intelligence.
  • I provider. Sono le Major di Internet che forniscono i servizi e le piattaforme grazie alle quali lo scambio di tali comunicazioni è reso possibile.
  • I decisori. Sono la politica nella sua componente istituzionale e l’opinione pubblica che funge da orientatore delle decisioni.

Fortunatamente sono sempre meno le persone che scoprono solo ora il ruolo che Internet, ed in particolare i Social Media, svolgono nel supporto al terrorismo. Quindi è ormai assodato che i “monitorati” facciano ampio uso di questi strumenti e abbiano affinato la loro presenza sugli stessi realizzando una vera e propria social media strategy. È altresì evidente che non abbiano nessun interesse né ragione per abbandonare la loro strategia comunicativa solo perché la loro presenza non è gradita o viene osteggiata [2]. Quindi come comportarsi nei confronti di un fenomeno che da un lato è ritenuto foriero di minacce più gravi, dall’altro pone in scacco la politica e indegna l’opinione pubblica?

L’iniziativa di Anonymous ha perseguito l’idea che la rimozione dei contenuti ritenuti radicalizzanti o di supporto all’attività di reclutamento del terrorismo jihadista debba essere quella condivisa ed attuata pedissequamente. Sfortunatamente in questa decisione, comprensibile da un punto di vista “emotivo” ma superficiale e potenzialmente deleteria in un ottica più ampia, è sfuggito un concetto fondante della SOCMINT come unico strumento in grado di sfruttare tali messaggi al fine di acquisire informazioni utili alla lotta al terrorismo: è semplicemente stata esclusa la dimensione reticolare del monitoraggio.

I “monitoratori” non concentrano il loro processo di analisi unicamente sui contenuti dei messaggi, ma ritengono ancor più significativi i legami che si instaurano tra diversi profili, in grado di disegnare una curva di radicalizzazione dello user monitorato e fornire preziose informazioni sui suoi contatti e interessi. Ciò che garantisce l’efficacia dell’analisi dei social non è tanto dettata dalla capacità di decifrare e intercettare il messaggio (d’altro canto proprio perché è social è per definizione il più delle volte pubblico), bensì risiede nella capacità di creare nodi e legami tra queste comunicazioni. La chiusura di un account Twitter di un influenzatore nei processi di radicalizzazione è per i servizi di intelligence come un devastante cortocircuito: il fatto che lo user si registri, magari con un altro nome, e che perda tutti i suoi follower, costringe gli operatori di intelligence a dover ricominciare la costruzione delle connessioni.

In questo panorama si inseriscono poi i provider e i decisori: i primi, che hanno intuito il loro ruolo nella lotta al terrorismo ma che non ne sono ancora entrati a far parte in maniera decisiva, soggiacciono ancora alle regole di mercato dettate dalla politica, che condiziona i termini della fornitura dei loro servizi, e dalla pubblica opinione che ne garantisce la popolarità e quindi la base di consumo. La politica dal canto suo stenta ancora a focalizzare il problema che non risiede nell’innalzamento massivo del livello di monitoraggio, come auspicato da alcuni leader in reazione ai fatti francesi, ma nella determinazione di una base normativa/legislativa che regoli, renda possibile e garantisca l’utilizzo del materiale di intelligence raccolto al fine di contribuire alla lotta al terrorismo.

In conclusione, è chiaro che la lotta al terrorismo, ed in particolare alla nuova tipologia di terrorismo che incorpora strategie comunicative mirate e l’impiego di zombie per portare a termine gli attacchi, non può essere vinta solo con la guerra. La strategia prettamente militare, e non di intelligence, di far saltare le linee di comunicazione nemiche non ha nessuna possibilità di essere vincente. Sono quindi necessari:

  • una maggior responsabilizzazione dei provider ed un loro più ampio coinvolgimento a tutti i livelli (strategico ed operativo ma anche burocratico)
  • una spinta maggiore e un supporto costante alle operazioni di intelligence rivolte alla raccolta, all’analisi e alla valutazione di contenuti e legami diffusi e condivisi sul web
  • l’immediata assunzione di responsabilità da parte della politica nel definire un quadro normativo completo, puntuale e comprensivo di tutte le necessità particolari di questa strategia per combattere il terrorismo

References

[1] Burato, A. Let’s do something before terrorist narrative becomes a bestseller

[2] Burato, A. Social liberi. Quale spazio al terrore?