Caos Ecuador: dalle pandillas di strada al narco-terrorismo – by Giovanni Giacalone

Nella serata del 9 gennaio l’Ecuador è piombato nel caos con le pandillas (bande di strada) che hanno attaccato con una violenza inaudita obiettivi istituzionali e civili come stazioni di polizia, pattuglie, ospedali, università, emittenti televisive, distributori di benzina. Colpi di arma da fuoco sono stati sparati indiscriminatamente contro agenti e civili e numerose auto sono state date alle fiamme.

Il governo è stato preso alla sprovvista in quanto non si aspettava un’offensiva di tale intensità ed estensione. I disordini, iniziati a Guayaquil, si sono infatti rapidamente allargati al resto del Paese, coinvolgendo una ventina di province.

Tutto ha avuto inizio pochi giorni prima con la fuga dal carcere regionale di Guayaquil di Jose Adolfo Macias Villamar, alias “Fito”, leader di una delle più problematiche pandillas del Paese, Los Choneros.

Nel 2011 “Fito” era stato condannato a 34 anni di reclusione per associazione a delinquere, narcotraffico e omicidio ed era in procinto di essere trasferito nel carcere di massima sicurezza a La Roca, da dove era tra l’altro già evaso nel febbraio del 2013.

In seguito all’evasione, il presidente ecuadoregno, Daniel Noboa, ha invocato le misure speciali per 60 giorni e ha inviato l’esercito per le strade a dare la caccia a “Fito” ed è a quel punto che le pandillas hanno reagito lanciando una violentissima offensiva su vasta scala.

A quel punto Noboa ha annunciato lo stato di emergenza, dichiarando che il Paese è in guerra contro il narco-terrorismo. Noboa ha dato carta bianca all’esercito per utilizzare la forza letale, avvertendo anche quei magistrati ed inquirenti che sostengono i terroristi: “se li aiutate, sarete considerati terroristi anche voi”. I vertici dell’esercito hanno annunciato che tutti i gruppi terroristi indicati dal governo (ben 22) sono ora obiettivo militare. Noboa ha poi sfidato i gruppi armati: “se avete fegato, scontratevi con i militari”.

La risposta dell’esercito si è fatta subito sentire, con quasi 23mila militari a rastrellare le strade. Tra giovedì e venerdì numerosi appartenenti alle pandillas sono stati arrestati, incluso il leader dei Tiguerones a Esmeralda, noto come “Chiquito”. Continua anche la caccia a “Fito” che, secondo il comandante delle forze armate colombiane, il generale Helder Giraldo, potrebbe aver sconfinato ed essersi nascosto in Colombia.

Da pandillas a narco-terroristi

Un aspetto interessante che vale la pena evidenziare è come queste pandillas si siano rapidamente evolute da narco-bande, prevalentemente attive nello spaccio a livello locale e operanti come “trasportistas” per le grandi narco-organizzazioni internazionali, a narco-terroristi in grado di mettere a ferro e fuoco il Paese. Una trasformazione forse un po’ troppo rapida considerando anche il fatto che a livello criminale le gang ecuadoregne non hanno una gran reputazione, come spiegato da Maria Zuppello, analista esperta di America Latina:

“Che le fazioni criminali dell’Ecuador siano molto violente e poco affidabili lo dimostra il fatto che l’Ecuador è l’unico paese in cui la ndrangheta subappalta agli albanesi il mercato della cocaina, cioè non opera con presenza fissa come fa invece in Brasile”.

Nel maggio del 2022 il Ministero dell’Interno ecuadoregno aveva spiegato come queste pandillas stessero cercando di convertirsi nei primi cartelli della droga nella storia dell’Ecuador. L’allora Ministro dell’Interno, Patricio Carrillo Rosero, aveva indicato che Choneros e Los Lobos avevano raggiunto rispettivamente i 20.000 e gli 8.000 integranti e mantenevano gran parte del controllo sul traffico di stupefacenti nel Paese. Oltre a fornire  il servizio di “scorta” ai cartelli messicani e albanesi, queste pandillas avevano anche aperto alcuni laboratori per processare le sostanze. Carrillo aveva inoltre lanciato l’allarme sul rischio che queste bande diventassero incontrollabili, cosa che è puntualmente accaduta questa settimana.

Un ulteriore enorme problema che impedisce un effettivo contrasto all’attività di queste narco-bande riguarda poi la situazione carceraria, visto che le pandillas hanno di fatto mano libera all’interno dei penitenziari da dove continuano a portare avanti le proprie attività criminali, incluso il narcotraffico. Le frequenti rivolte, le evasioni e le carneficine causate dalla guerra tra bande sono tutti segnali evidenti che indicano l’inefficienza e l’impotenza delle istituzioni di fronte a questo fenomeno.

Basti pensare che dal 23 febbraio del 2021 all’ottobre del 2023 la guerra tra pandillas ha causato ben quindici carneficine all’interno delle carceri ecuadoregne. Il 28 settembre 2021, presso il penitenziario “La Litoral” di Guayaquil si registrò il peggior massacro carcerario nella storia dell’Ecuador, quando 119 persone rimasero uccise in una spedizione punitiva a colpi di armi automatiche e bombe perpetrata da membri di Tiguerones e Lobos nei confronti dei Choneros; questi ultimi, traditi da un loro leader di uno dei padiglioni, alias “Alan”, passato con i nemici.

La variabile terrorismo

Tornando ai disordini scoppiati martedì, le narco-pandillas stavolta hanno alzato il tiro ed hanno tentato un’offensiva di chiaro stampo terroristico nei confronti di obiettivi istituzionali e civili come stazioni di polizia, pattuglie, ospedali, università, emittenti televisive, distributori di benzina, autoveicoli. Colpi di arma da fuoco sono stati esplosi contro agenti di polizia, studenti universitari, passanti, senza alcuna differenziazione.

L’obiettivo è quello di mostrare al governo di essere più forti e farlo dunque desistere dall’offensiva contro le narco-pandillas. Il messaggio è chiaro: terrorizzare la popolazione, destabilizzare e paralizzare il Paese se il governo non ritratta.

Ora, se consideriamo che il terrorismo è tale non per la causa in sé (non esiste la “giusta causa”) ma per gli effetti che crea, ovvero in questo caso colpire i civili e destabilizzare le istituzioni del Paese, è evidente che ci si trova davanti a un fenomeno terroristico.

In aggiunta, è utile fare riferimento alla definizione di Boaz Ganor, direttore dell’IICT di Herzliya, secondo cui il terrorismo è “l’utilizzo deliberato della violenza, perpetrata contro obiettivi civili, per fini politici”. Nel caso ecuadoregno è indubbio come queste narco-pandillas abbiano un obiettivo politico, il far desistere il governo dall’offensiva contro di loro. E’ bene tenere a mente che in America Latina i confini tra il narco-traffico e il terrorismo sono molto sottili se non impercettibili. Basti pensare alla campagna di attentati perpetrata da Pablo Escobar negli anni ’90 in Colombia, o ai legami col narcotraffico di organizzazioni terroristiche come Farc tra Colombia e Venezuela o a Sendero Luminoso in Perù.

Il governo ecuadoregno ha chiaramente parlato di guerra al terrorismo ed ha risposto duramente sul piano militare. Bisognerà vedere se le istituzioni saranno in grado nel medio-lungo termine di risolvere il problema, tenendo conto che nel Paese la corruzione è radicata e diffusa e le strutture detentive sono scadenti. E’ plausibile che Noboa voglia seguire le orme di Bukele in El Salvador, in sunto: mano dura, carceri di massima sicurezza, zero tolleranza e sentenze pesanti. Nel Paese centroamericano sembra aver funzionato e oggi in El Salvador, una volta luogo tra i più pericolosi al mondo, si respira aria di normalità.

Funzionerà anche in Ecuador? Per saperlo bisognerà attendere, tenendo conto che il contesto è decisamente differente sul piano istituzionale, politico e anche su quello criminale. Le dinamiche sono diverse e per certi aspetti più problematiche rispetto a El Salvador. In Ecuador ci sono più pandillas in lotta tra loro oltre che contro il governo, c’è forte presenza di organizzazioni criminali internazionali come i narcos albanesi, i cartelli messicani e colombiani, in quanto il Paese è crocevia fondamentale per il traffico di droga verso l’Europa e il Nord America. Ci sono poi formazioni legate alla lotta politico-militante di estrema sinistra in Paesi limitrofi come Colombia, Venezuela e Perù (spesso legate al narcotraffico) che potrebbero in qualche modo avere interesse a destabilizzare il governo Noboa.