Ebola: sorveglianza, purezza e pericolo – by ChiaraFonio

Il capitolo più celebre di Sorvegliare e Punire di Michel Foucault (1976) è quello dedicato al panoptismo che si apre con un regolamento della fine del secolo XVII inerente le precauzioni da prendere in caso di peste in una città. La rigida divisione spaziale è centrale: “ciascuno è stivato al suo posto. E se si muove, ne va della vita, contagio o punizione”.  I corpi non si devono mescolare, il potere disciplinare deve essere onnipresente al fine di esercitare un potere sempre rinnovato ed efficace.

Foucault continua introducendo la celebre metafora del Panopticon per spiegare le trasformazioni avvenute nel corpo sociale nei secoli XVII e XVIII. In questa sede, però, non vogliamo discutere la società disciplinare, bensì soffermarci su ciò che già Foucault aveva individuato come un “vecchio” approccio alle malattie o ai disordini sociali, ovvero l’eccezionalità di un fenomeno (es. un virus)  e le contromisure indicate (es. divisione spaziale, isolamento). Le procedure di controllo sono destinate, ci ricorda Foucault, a diffondersi “partendo non da istituzioni chiuse, ma da centri di controllo disseminati nella società” (p. 231) e ancora “Possiamo dunque parlare, nell’insieme, di formazione di una società disciplinare in quel movimento che va dalle discipline chiuse, una sorta di quarantena sociale, fino al meccanismo indefinitivamente generalizzabile del panoptismo” (p.235).

Che cosa c’entra questo con l’ebola?

Prima di entrare nel merito, ricordiamo anche il lavoro dell’antropologa Mary Douglas che in Purezza e pericolo (1993)  si sofferma sul controllo del corpo come un vero e proprio modello di controllo sociale:

“Tutti i margini sono fonte di pericolo […] Ci si dovrebbe aspettare che gli orifizi del corpo simboleggiano i suoi punti di speciale vulnerabilità. Il materiale che essi emettono è sostanza marginale del tipo più ovvio: sputo, sangue, latte, urina, feci o lacrime hanno attraversato i confini del corpo uscendo semplicemente all’esterno. La stessa cosa vale per i pezzi tagliati, come le unghie, la pelle, i capelli recisi e per il sudore. L’errore sta nel considerare i margini del corpo isolatamente da tutti gli altri margini” (1993 p. 194 Enfasi aggiunta).

Ogni cultura elabora i propri “codici” riguardanti l’idea di sporcizia, pulizia, contaminazione ecc… Il corpo è un microcosmo politico. I suoi margini, gli orifizi e ciò che lecito o meno far fuoriuscire o entrare, sono indicativi del modo in cui i sistemi sociali si rapportano ai rischi e ai pericoli.

Da pochi giorni abbiamo scoperto che l’ebola è arrivata sul suolo europeo. Prima in America, poi in Europa. Il mondo sembra stupirsi del fatto che la febbre emorragica non sia rimasta là dove si è manifestata. Si pensava, forse, di poter risolvere tutto con logiche applicabili ai regolamenti della peste sui quali si è soffermato Foucault. Oggi non siamo nel XVII secolo: i flussi di persone sono solo limitatamente controllabili e – soprattutto- non è possibile imporre una “quarantena globale”. E’ sorprendente pensare che, da una parte il progresso scientifico, dall’altra quello tecnologico, non siano stati in grado di arginare il fenomeno aiutando i malati là dove si è sviluppata l’epidemia.

Non s può più continuare a vivere godendo dei vantaggi della globalizzazione e al contempo dimenticarsi della maggior parte della popolazione mondiale sperando, come scrive Daniela Minerva[1] , che i batteri si moltiplichino solo in posti lontani , quasi endemicamente sfortunati. Le future pandemie non avranno confini di alcun tipo e le battaglie su questi fronti non si vincono occupandosi del problema quando il corpo sociale occidentale è stato contagiato.

Il paziente zero non è l’americano, è il primo africano che ha contratto l’ebola. E’ arrivato il momento di ridisegnare i confini del corpo sociale. I rischi e i pericoli sono oramai globali e se non si affrontano alla radice (in questo caso il luogo in cui si è manifestato il contagio), non solo perdiamo la partita, soprattutto sul piano etico-sociale, ma potremmo ammalarci anche noi. L’errore, diceva l’antropologa, sta nel considerare “i margini come isolati dagli altri margini”.  L’errore sta nel ragionare in modo frammentato, vecchio, utilizzando logiche più adatte al lazzaretto di manzoniana memoria che non al mondo di oggi.

[1] http://ilvasodipandora.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/10/07/ebola-alle-porte-di-casa/