Generazione Youtube? – by Chiara Fonio

Il 7 novembre scorso abbiamo assistito all’ennesimo caso di violenza “scolastica”: un ragazzo di 18 anni, Eric Pekka uccide 7 studenti e la preside del liceo Jokula in Finlandia. La strage è immediatamente paragonata ai tristemente celebri fatti di Columbine (1999) e al recente massacro del Virginia Polytechnic Institute (aprile 2007). I carnefici e le vittime, soprattutto negli ultimi due casi, non sono solo accomunati dalla fascia di età ma anche da un particolare utilizzo di YouTube (http://www.youtube.com), il sito di video sharing più famoso della rete. Cho Seung-hui e Pekka Eric Auvinen, infatti, condivisero la loro follia omicida con tutto il mondo caricando nel primo caso un video testamento, nel secondo un vero e proprio annuncio del massacro.

I media mainstream hanno letto entrambe le stragi attraverso un filtro interpretativo ingenuo e pericolosamente fuorviante: Internet è il male peggiore. Tra i “buchi” della rete si annidano potenziali killer esibizionisti che sfruttano il maggior vantaggio del World Wide Web, la comunicazione globale. YouTube, i blog e le piattaforme dei social network sono considerati dei temibili strumenti utilizzati da adolescenti devianti. Seguendo la classica strategia del cambio di prospettiva, i giornalisti si interrogano non tanto sui tragici fatti di cronaca, quanto sul pericoloso mondo di Internet, demonizzato come – appunto – il peggiore dei mondi possibili. Gli articoli delle ultime settimane hanno messo in luce una notevole mancanza di competenze da parte di chi accusa gli strumenti web 2.0. Sembra quasi banale affermare che il problema non è il web. I numerosi video aggressivi caricati giornalmente su YouTube sono espressione di forti disagi sociali e riflettono una violenza alla quale i ragazzi si sono abituati da tempo e che è passata, prima di approdare a Internet, dagli schermi televisivi, dai giochi elettronici oppure è stata esperita in prima persona all’interno delle mura domestiche. E’ che dire poi della facilità con la quale si possono acquistare le armi proprio nei paesi protagonisti delle stragi, ovvero gli Stati Uniti e la Finlandia?

Non nascondiamoci dietro le semplicistiche analisi condotte da chi non conosce affatto il variegato universo del quale parla. Spostiamoci, piuttosto, al nocciolo del problema. Quali sono le cause di episodi come quelli sopra ricordati? Desideriamo proporre una breve riflessione sullo scenario mediatico odierno che tanto spaventa i giornalisti della carta stampata. Come afferma Jenkins (2007) la convergenza mediatica, ovvero il flusso di contenuti su più piattaforme, è basata sulla partecipazione attiva dei consumatori. Questi ultimi utilizzano sempre di più i nuovi media in modo consapevole attraverso diverse pratiche sociali e culturali che sono nate intorno a una data tecnologia. Le ultime generazioni hanno inventato delle nuove e stimolanti pratiche basate su un uso intelligente delle potenzialità offerte loro dai mezzi 2.0. Hanno “inventato” significa che stanno cercando di capire come far sentire le loro voci all’interno del panorama socio-mediatico contemporaneo attraverso i blog, video e social network quali MySpace (http://www.myspace.com ) e Facebook (http://www.facebook.com). Il loro livello di awarness, cioè di matura consapevolezza dell’utilizzo di tali tecnologie, varia a seconda del grado di alfabetizzazione digitale ricevuta. La “generazione 1.0”, formata principalmente da genitori e insegnati, non è uniformemente stata in grado di spiegar loro i vantaggi, i limiti e i rischi dei nuovi media. La nuova cultura della convergenza è stata alimentata da pratiche spontanee di tipo partecipativo. Oggi partecipare significa per lo più esprimersi, far sentire la propria voce, confrontarsi con il gruppo dei pari nei nuovi ambienti virtuali. Gli adolescenti contemporanei hanno nei confronti della cultura un approccio bottom-up derivante dalle opportunità della rete: essi sono finalmente creatori, produttori di senso, scrittori di fan fiction, registi indipendenti, cantanti. Usano tutti i mezzi a loro disposizione per rompere un flusso comunicativo di tipo verticale che, fino a pochi anni fa, li costringeva al silenzio. Gli stessi strumenti sono anche utilizzati per sfogare ansie, problemi psicologici e deliri di violenza, come quelli ricordati in apertura. E’ però un grosso errore puntare il dito contro YouTube senza interrogarci su almeno due cose: la prima concerne la radice dei disagi, la seconda ha a che fare con l’analfabetizzazione digitale. Il male maggiore non è l’universo online, non lo strumento in sé, ma la causa della violenza e il conseguente desiderio di rappresentazione attraverso scenografie di tipo virtuale. Le origini del male e l’uso spettacolare della violenza come un modo per farsi ascoltare e guadagnare il quarto d’ora di celebrità a colpi di fucile sono il nocciolo del problema qui esaminato. E se alcuni giovani pensano di poter partecipare al gioco mettendo in scena la violenza, chiediamoci perché lo fanno e non cosa usano per i loro macabri spot.

Chiara Fonio