Lo scorso 4 marzo un articolo firmato da Alberto Giannoni e pubblicato sull’edizione milanese di Il Giornale dal titolo “Alleanze, liti e strani leader. Rebus islamico nella Consulta” riprendeva la questione del bando per le moschee nel capoluogo lombardo, un caso attualissimo ma di cui si sta parlando poco sui media locali. Nel pezzo viene illustrato come ancora una volta (era già successo nel 2014) una minoranza appartenente all’islam politico aspira all’egemonia in Lombardia e cerca di aggiudicarsi la prima grande moschea di Milano tramite una serie di alleanze che non possono non destare perplessità.
La questione viene poi ripresa il 10 marzo su Repubblica dall’esperto di Islamismo e Fratelli Musulmani, Lorenzo Vidino, il quale mette in evidenza come alcune delle sigle dell’islam italiano attualmente attive abbiano legami con un islam politico portatore di ideali problematici ed incompatibili con i valori costituzionali. Tra queste, Vidino indica il caso dell’UCOII, con il suo attuale segretario nazionale, Yassine Baradai, che nel 2020 aveva affermato su Facebook che “cristianesimo ed ebraismo sono un’eresia” e che “l’Islam viene per correggere gli storpiamenti apportati nelle sacre scritture residue (Torah e Vangelo)”.
Oltre all’UCOII, sono in partita-moschea anche i turchi filo-Erdogan di Mili Gorus, già sotto la lente dell’intelligence tedesca e gli sciiti del centro islamico “Imam Ali”, vicino al regime iraniano.
Il patto per Milano
Un aspetto di particolare interesse, passato forse inosservato, è quello relativo alla nomina, da parte proprio degli sciiti, di due esponenti dell’Islam politico di stampo sunnita, ovvero dell’imam di via Padova 144, Mahmoud Asfa e di quello di Segrate, Ali Abu Shwaima, come emerso dai documenti firmati dal responsabile del Centro “Imam Ali”, Ali Faeznia, che Itstime ha potuto visionare.
Un’alleanza non nuova in Europa, visto che in Germania è già accaduto un caso simile con i legami tra il Centro Islamico (sciita) di Amburgo-IZH e il Zentralat der Muslime in Deutschland, già noto come organizzazione ombrello dei Fratelli Musulmani in Germania. Lo IZH è tra l’altro stato indicato dall’Ufficio Tedesco per la Protezione della Costituzione come “strumento del governo iraniano”.
Tornando a Milano, i due esponenti precedentemente citati sono già noti alle cronache: Mahmoud Asfa nel maggio del 2020, durante un’intervista al Giornale, aveva definito Hamas come “un’organizzazione riconosciuta in tutto il mondo arabo musulmano che sta lottando per la liberazione del suo Paese” aggiungendo di “conoscere molto bene il lavoro di Hamas”.
Poco più di un anno prima, nel dicembre del 2019, il genero di Asfa, Suleiman Hijazi, era finito nell’occhio del ciclone per aver elogiato Hamas: “Il nostro movimento della resistenza che ha combattuto e continua a combattere in Palestina (Hamas) viene considerato in Egitto come un movimento terroristico, così come lo è per Israele, questi atti contro la resistenza continuano a dimostrare che Gaza è l’unica nostra strada per arrivare alla libertà e dimostra che purtroppo abbiamo un nemico che è un mostro e prende ordini da Israele e America, il solito cane che prende gli ordini, al-Sisi“.
Hijazi risulta anche come attivista dell’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese (ABSPP) e compariva affianco del suo presidente, Mohammed Hannoun, come riporato anche sul sito islamista iraniano “Agenzia Informazione Internazionale del Sacro Corano”. E’ bene ricordare che lo scorso dicembre l’Unicredit aveva bloccato i conti dell’ABSPP in seguito alla rilevazione di alcune operazioni sospette. Secondo quanto rivelato dal quotidiano Repubblica, il massiccio movimento di contante, l’invio di provviste economiche a soggetti non censiti in Palestina e ad altri inseriti nelle black list delle banche dati europee (Hamas), sarebbero le ragioni che avrebbero portato al blocco dei conti.
Per quanto riguarda invece Ali Abu Shwaima, nel 2013 era salito alle cronache per aver accusato la parlamentare Daniela Santanchè “di aver offeso Maometto e la comunità islamica” e “di meritare il fuoco del Giorno del Giudizio” durante una protesta non autorizzata anti-Burqa a Milano per la quale la Santanchè venne anche condannata. Nel 2016 Abu Shwaima aveva anche dichiarato che per decoro le donne non dovrebbero andare in bicicletta.
In Italia, la presenza di musulmani sciiti risluta appena tra il 4 e il 5%, molti dei quali nemmeno praticanti.[1] E’ risaputo come i pochi centri islamici sciiti presenti sul territorio siano quanto meno ideologicamente, se non organicamente legati al regime di Teheran ed è sufficiente consultarne i siti internet per rendersene conto.
Lo stesso centro islamico milanese “Imam Ali”, sul proprio account Instagram, non nasconde la propria ideologia, con una serie di post inneggianti all’Ayatollah Khomeini e un altro dedicato alle celebrazioni per il secondo anniversario della morte del generale delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, Gassam Suleymani. Nel novembre del 2021 veniva invece pubblicizzata una conferenza sulla “resistenza islamica all’egemonia Usa” al quale ha partecipato come relatore anche il console iraniano; diversi poi i post di sostegno alla causa palestinese.
Un breve quadro storico sui legami tra Fratellanza e khomeinismo
Al di là della storica rivalità tra sciiti e sunniti, più volte sfociata in violenza, la guerra in Siria che ha visto contrapposte fazioni islamiste di matrice sunnita e gli sciiti di Hezbollah assieme all’Iran, ha proiettato una falsa visione secondo cui l’islamismo sunnita e quello sciita siano a prescindere incompatibili ed in perenne scontro, quando la realtà è ben diversa. Come spiegò a suo tempo il prof. Gabriele Mandel, la diatriba tra l’Islam sunnita e quello sciita fu prevalentemente di stampo politico e legata alla successione al profeta Maometto. Col tempo si sono poi create usanze che possono ceratmente differire, ma come del resto vi sono all’interno dello stesso sunnismo.
A far convergere sciiti e sunniti non vi è soltanto una base ideologica, ma anche obiettivi politici e strategici in comune. Basti pensare al caso di Hamas, organizzazione terrorista palestinese che riceve aiuti sia dall’Iran che da ambienti sunniti in Turchia, Qatar e Arabia Saudita per combattere il “nemico comune”, Israele. Non a caso l’attentato dello scorso 7 aprile a Dizengoff street, in pieno centro a Tel Aviv, è stato celebrato sia da Hamas, che lo ha definito “risposta naturale e legittima all’occupazione…” che da Hezbollah, il quale ha parlato dell’attentatore come “eroe palestinese”.
I rapporti tra Fratelli Musulmani e khomeinisti sciiti risalgono almeno al 1954, quando al Cairo l’ideologo ikhwanita Sayyid Qutb si incontrò con Nawab Safavi, teologo iraniano fondatore del gruppo islamista radicale Fedayin e-Islam. Safavi influenzò fortemente il pensiero dell’Ayatollah Khomeini e quello di Khamenei. Un incontro che sviluppava un progetto già attuato dal fondatore della Fratellanza, Hassan al-Banna, che nel 1940 si era attivato per cercare di ridurre il divario tra sunniti e sciiti.
Il Dr. Hani Nsera, esperto di islamismo radicale, ha messo in evidenza come la Fratellanza e i Fedayin iraniani abbiano in comune non soltanto una serie di concetti ideologici tra cui il Califfato, il jihad contro i governanti e la Sharia, ma anche il sistema organizzativo e l’approccio strategico per raggiungere il potere. [2]
I Fratelli Musulmani fuorono grandi sostenitori della rivoluzione islamica iraniana e ne studiarono con attenta ammirazione gli sviluppi, come del resto Khomeini fu fortemente influenzato dagli scritti di Sayyid Qutb, tanto che pochi anni dopo l’esecuzione dell’ideologo egiziano, l’Ayatollah scrisse un libro intitolato “Il Governo Islamico”, fortemente ispirato dall’ideologia di Qutb.
Sul piano politico, vi sono alcuni episodi da tenere bene a mente, come l’incontro a Teheran nel 2011 tra l’ex portavoce della Fratellanza, Kamal al-Helbawy e l’ayatollah Khamenei dove si parlò, tra le varie cose, di “resistenza al regime oppressivo egiziano”.
Durante l’anno di governo islamista guidato da Mohamed Morsy in Egitto, le relazioni tra Egitto e Iran si fecero particolarmente solide, con un viaggio dell’ex presidente egiziano a Teheran nell’agosto del 2012 ricambiato dall’allora presidente iraniano, Mahmoud Ahmedinejad, nel febbraio del 2013 al Summit islamico del Cairo. L’Iran si attivò per un sostegno economico e commerciale all’Egitto in cambio di supporto sulla questione del nucleare.
I rapporti tra i due paesi andò però ben oltre, tanto che dopo il crollo dell’esecutivo islamista, Morsy venne processato con una serie di accuse tra cui quella di alto tradimento, di aver sostenuto Hamas, Hezbollah ed di aver fornito informazioni riservate alle Guardie Rivoluzionarie iraniane, mettendo così a rischio la sicurezza del Paese.
Gli islamisti sunniti e sciiti continuano ancora oggi ad avere interessi strategici in comune, dalla lotta a Israele alla contrapposizione a Egitto ed Emirati Arabi, attualmente in prima linea contro l’islamismo. L’interesse egemonico sulle comunità islamiche in Europa nutrito dall’islamismo sunnita è ben noto e il fatto che siano entrati in partita anche i khomeinisti è senza dubbio un segnale importante che merita un’attenta osservazione ed analisi.
[1] Tauro, B. (2021, November 1). L’Islam minoritario e lo sciismo in Italia. Ne parliamo con Minoo Mirshahvalad.
[2] Per un ulteriore approfondimento si consiglia: Walid M. Abdelnasser, “Islamic Organizations in Egypt and the Iranian Revolution of 1979: the experience of the first few years”, Arab Studies Quarterly, Vol. 19 No. 2, Spring 1997, pp. 25-39.