L’operazione “Caucasian Job” – by Giovanni Giacalone

Alcuni dettagli e considerazioni sulla rete di falsari professionisti che si muoveva tra Caucaso, Balcani e Italia.

Una rete di falsari professionisti operava da tempo su Milano, rifornendo con documenti contraffatti di altissima qualità e precisione migliaia di “clienti”, molti dei quali foreign fighters dell’Isis e terroristi islamisti; tra questi, figura anche Kujtim Fejzulai, il 21enne austriaco di origine macedone che lo scorso 2 novembre sparò all’impazzata per le vie di Vienna e contro una sinagoga, uccidendo quattro persone e ferendone 23 prima di venire freddato dalle forze dell’ordine austriache.

Fejzulai pare avesse infatti pagato 1.517 $ per un passaporto mai arrivatogli. Resosi conto che non sarebbe riuscito a raggiungere la Siria per arruolarsi nelle file dei jihadisti, decise dunque di passare all’azione in Austria.

L’operazione contro la rete di falsari, denominata “Caucasian Job”, è la conseguenza di un’altra operazione condotta dall’antiterrorismo austriaco nel dicembre 2019 in relazione a possibili attentati pianificati in suolo europeo per mano di islamisti provenienti dall’Europa dell’Est e dal Caucaso.

Le indagini della Procura di Milano hanno rivelato oltre 5 mila transazioni, un migliaio di documenti falsi e un flusso finanziario per il valore di 250 mila Euro.

Differenti i documenti offerti: dai 1.600 ai 2 mila euro per i passaporti, 800 euro per i permessi di soggiorno, 400 per patenti di guida e carte di identità. I prodotti venivano pubblicizzati sia su Instagram che su Whatsapp e i pagamenti effettuati tramite Money Transfer.

I documenti risultavano talmente accurati e sofisticati da renderli difficilmente individuabili persino dalla tecnologia anti-contraffazione più avanzata. Non a caso la banda di falsari veniva definita come “la migliore in circolazione” e offriva persino la formula “soddisfatti o rimborsati”.

I documenti venivano fabbricati in Ucraina e poi trasportati su ordinazione a Milano, dove venivano consegnati a una coppia (madre e figlio entrambi cittadini ucraini) che si occupavano di effettuare le consegne.

I soggetti coinvolti

Vitali Zaiats (44): Indicato come capobanda, operava da Chernivtsi, città dell’Ucraina meridionale ad una trentina di chilometri dal confine con la Romania. Falsificava i documenti e li faceva trasportare a Milano, in base alle “ordinazioni” effettuate dal suo socio, il ceceno Turko Arsimekov.

Turko Arsimekov (35): cittadino ceceno in Italia dal 2016 con asilo politico, trapiantato a Sangiano, in provincia di Varese, sedicente ex guardia presidenziale del leader ceceno Ramzan Kadyrov (fatto ancora da verificare).  Già arrestato lo scorso novembre perché trovato in possesso di una trentina di documenti falsi, agli inquirenti ha ammesso di aver fabbricato dai cinque ai venti documenti al giorno. Il ceceno è indagato anche per associazione con finalità di terrorismo in quanto accusato di aver rifornito anche i jihadisti.

H.P. e L.P. (46 e 64): figlio e madre, ucraini residenti a Milano, entrambi finiti ai domiciliari. Erano loro che si occupavano di consegnare i documenti alla clientela, il tutto effettuato in una zona industriale del capoluogo lombardo. Da anni erano in contatto con Arsimekov.

S.A. e A.N.: aiutanti di Zaiats. Erano loro a guidare i mezzi che facevano spola tra Ucraina e Italia.

V.S.: ucraino domiciliato a Legnano. “Postino” della banda ma anche cliente in quanto aveva chiesto ad Arsimekov un passaporto e una patente, dopo che la polizia gli aveva ritirato quella ucraina.

“Adam”: il personaggio più oscuro del gruppo, cittadino inguscio di etnia cecena, avrebbe conosciuto Arsimekov in un campo profughi e lo avrebbe messo in contatto con H.P., uno dei due “fattorini” ucraini.

Alcune considerazioni

Un elemento curioso della vicenda è la dichiarazione fatta agli inquirenti da L.P., la donna che si occupava, assieme al figlio, di consegnare i documenti provenienti dall’Ucraina: “noi siamo antiterroristi”. Un modo grottesco per prendere subito le distanze da certi giri in quanto consapevole delle commissioni effettuate ai foreign fighters dalla banda della quale faceva parte? Possibile, probabile.

Certa stampa ha poi puntualizzato una potenziale contraddizione tra le consegne di documenti fatte ai clienti jihadisti e il fatto che Arsimekov fosse stato una guardia presidenziale di Kadyrov, leader ceceno nemico dell’Isis. [1]

Premesso che l’appartenenza di Arsimekov alla guardia presidenziale di Grozny non ha ancora trovato alcuna conferma, ma se anche ciò venisse validato, non vi è nulla di strano. In primis bisognerebbe infatti chiedersi per quale motivo non lo sia più e le ipotesi sono diverse. Al di la di ciò, è poi fondamentale tener presente come nell’area balcanica e nel Caucaso criminalità organizzata, apparati governativi e persino il terrorismo si sovrappongono in un complesso e caotico intreccio dove il concetto di coerenza ideologica non può trovare alcuno spazio.

L’unico reale comun denominatore è il denaro e a nessuno in quegli ambienti importa dell’ideologia quando in ballo ci sono cifre esorbitanti. Il falsario, in quanto tale, non può avere ideologia, perché ciò implicherebbe un’automortificazione finanziaria. Non a caso anche in altre parti del globo dove si sono verificati conflitti, sono stati individuati in più occasioni produttori di documenti falsi che rifornivano appartenenti a schieramenti opposti.

Le cose possono cambiare nel momento in cui a forgiare i documenti è un’organizzazione terroristica tramite soggetti inseriti nella propria struttura, ma non sembra essere il caso della banda sgominata tra Ucraina e Italia.

C’è invece un aspetto ben più serio che riguarda questo intreccio tra criminalità e jihadismo che continua a tessere ragnatele tra Balcani, Caucaso ed Unione Europea. L’Austria ancora una volta emerge come centro nevralgico dell’attività jihadista cecena e balcanica ed è proprio da lì che sono partite le indagini finite con l’operazione “Caucasian Job”. Secondo fonti investigative, i documenti contraffatti prodotti dalla banda non erano soltanto italiani, ma anche polacchi, romeni, slovacchi ed ucraini e il mercato era in espansione, grazie anche all’elevatissima qualità dei prodotti. Tutto ciò non può non allarmare chi si occupa di contrasto al terrorismo in quanto documenti falsi di quella portata rischiano di diventare un “green pass” in grado di aprire moltissime porte e tutto ciò mettendo a serio rischio la sicurezza nel Vecchio Continente.

[1] https://www.milanotoday.it/cronaca/documenti-falsi-ucraini-ceceni-milano-varese.html