Propaganda online e digital humint: il caso di Facebook – by Giovanni Giacalone e Nicolò Spagna

La propaganda jihadista corre sul web, questo è un dato di fatto da tempo noto. Spotter, propagandisti e reclutatori utilizzano Internet come uno dei canali privilegiati per trovare potenziali proseliti da convertire all’ideologia del terrore, muovendosi sia “in chiaro” con profili fake su forum e social network che nel cosiddetto “deep web”, zona oscura non raggiungibile attraverso i tradizionali motori di ricerca e che permette lo scambio di informazioni e contenuti soltanto a chi sa utilizzarla.

In questo contesto la fase preventiva della lotta al terrorismo via web è d’importanza fondamentale perché permette di individuare e neutralizzare la minaccia quando è ancora in fase embrionale, prima che possa sconfinare nell’atto violento.

La lotta al terrorismo via web ha portato gli agenti della polizia postale di tutti i dipartimenti d’Italia a controllare fra siti web, media, blog, forum e profili Twitter o Facebook, 15mila spazi virtuali in tutto il 2016. Di questa mole di controlli, 1.200 sono risultati legati ad organizzazioni islamiche e sospettati di inneggiare alla jihad.

Ad esempio, nell’ottobre 2016 un’operazione dei Carabinieri del Ros coordinata dalla Procura Antiterrorismo di Genova portava all’arresto di tre soggetti (due cittadini egiziani e un algerino) operanti tra Liguria e Lombardia, facenti parte di un’organizzazione che diffondeva materiale propagandistico jihadista sul web utilizzando sia canali riservati sia social network utilizzando pseudonimi e account fittizi. Il gruppo si occupava inoltre di instradare volontari nordafricani verso i territori di guerra in Siria e Libia. [1]

Oltre ad episodi simili, l’Italia ha anche avuto a che fare con propagandisti che avevano come obiettivo l’arruolamento di cittadini italiani, come il caso di Bushra Haik, la “maestra di arabo” accusata di aver radicalizzato numerose donne tra cui Maria Giulia Sergio e la sorella Marianna.

In italiano era poi il documento pro-Daesh “Lo Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”, un documento di 64 pagine fatto circolare sul web a fine 2014 e tradotto da un cittadino marocchino che ha poi patteggiato una pena di due anni per apologia di reato con l’aggravante di finalità terroristica.

Muovendosi sui social media per identificare possibili minacce è sempre necessario porre l’accento sulla dimensione che definisce il rapporto tra il mondo “digitale” e quello “reale”. Aspetti come quello della presentazione di sé, della dimensione legata all’appartenenza a gruppi e l’interazione con gli altri abitanti della rete sono i cardini della digital humint, pratica unica in grado di restituire un’immagine maggiormente significativa.

Nella giornata di mercoledì 1 febbraio è stata segnalata sui media la presenza di un profilo Facebook di interesse all’interno di un gruppo chiuso frequentato da italiani e non, tutti interessati all’Egitto.

Il profilo segnalato (presumibilmente femminile) affermava di studiare italiano presso un’università egiziana e di voler conoscere italiani per poter praticare la lingua. Andando più a fondo emergeva però come tale profilo fosse pieno di immagini sull’Islamismo radicale, tra cui una bandiera dell’Isis con vicino il commento (Il Califfato è vicino) e numerose immagini dei Fratelli Musulmani egiziani tra cui le quattro dita di Rabaa, il logo dei Fratelli Musulmani con un cuore simboleggiato con le dita, le foto di Mohamed Morsy e di altri esponenti della Fratellanza.

È significativo notare quindi una sorta di “scollamento” tra l’immagine di sé presentata attraverso i messaggi scritti e quella che si profila ponendo l’accento alle immagini che lo stesso profilo condivide.

Anche la relazione con altri componenti della rete risulta essere interessante. Immagini simili a quelle diffuse dal primo profilo si trovano anche in relazione ad altri account collegati al primo e pure qui spiccano immagini di Daesh, dei Fratelli Musulmani, di Usama Bin Laden, di donne armate e in niqab, un ufficiale iracheno in ginocchio che implora pietà ad un comandante jihadista vestito di nero.

Tra questi vi è un altro profilo che scrive di studiare presso il dipartimento di italiano di un’università egiziana. Tra le immagini pubblicate, alcuni terroristi di Hamas e numerose foto di Mohamed Morsy, oltre al “like” espresso sull’immagine della bandiera di Daesh pubblicata dal primo profilo.

L’evidenza comunicativa di queste relazioni digitali è quella di trovarsi di fronte a una piccola network di profili collegati tra loro e accomunati dalla medesima ideologia che ingloba sia la visione islamista dei Fratelli Musulmani egiziani, con continui riferimenti alla rivolta pro-Morsy, ma anche elementi qaedisti e del Daesh. L’appartenenza che il gruppo comunica di sé pare essere legata ad un unico grande filone radicale che si contrappone a tutto ciò che viene percepito come “nemico dell’Islam”, affiliazione non inusuale che fa emergere come le differenze all’interno dell’islamismo radicale siano spesso prettamente politico-strategiche, ma non ideologiche.

Resta da capire cosa ci facesse uno di questi profili all’interno di tale gruppo Facebook.

[1] http://www.interno.gov.it/it/notizie/bloccata-unorganizzazione-propaganda-jihadista-e-proselitismo-sul-web