Rigopiano, Diga a Campotosto e la gestione vulnerabile dell’emergenza in Italia – by Barbara Lucini

Si era già scritto delle mancanze e delle crescenti vulnerabilità della gestione della valanga che ha distrutto l’Hotel Rigopiano, causando molti morti. Vulnerabilità che non sono uniche o tipiche dell’Hotel colpito o della neve caduta copiosamente, meglio sono esiti, talvolta effetti indesiderati di un sistema di previsione, prevenzione e gestione che ha smesso di funzionare su più fronti:

  • previsione e prevenzione: allerte meteo sottovalutate, sistemi di prevenzione non attuati, lacune e carenze non solo nel sistema informativo tipico di queste fasi, ma anche nell’assetto operativo, che avrebbe dovuto attivare tutte le procedure per garantire la sicurezza delle persone coinvolte. E se l’allerta sommessamente c’è come il caso del bacino a Campotosto, il secondo invaso più grande d’Europa, passate 12 ore e preso coscienza dall’aver detto forse per la prima volta un’informazione pubblica utile, ecco che arriva la smentita da parte della Commissione Grandi Rischi;
  • vulnerabilità VS resilienza delle infrastrutture critiche. Qui le questioni da affrontare sono due: le forti nevicate che hanno divelto i tralicci della luce, causando un black out in varie province abruzzesi e marchigiane per più di dieci giorni e il livello di pericolosità della diga a Campotosto, considerando che le scosse continuano e che la diga è stata costruita sopra una faglia sismica, “con possibile rischio Vajont”, le cui ultime smentite rimarranno a fare memoria per quanto potrà accadere in futuro;
  • la catastrofe comunicativa: allarmi lanciati dai cittadini senza essere considerati, telefonate ed email ignorate da chi stava vivendo il dramma dell’Hotel Rigopiano. E’ raccapricciante leggere le trascrizioni telefoniche delle comunicazioni intercorse fra i cittadini e gli operatori che avrebbero dovuto facilitare la risposta all’emergenza, soprattutto se si pensa alla necessaria formazione per ricoprire un ruolo che dovrebbe essere l’immagine di una pubblica amministrazione efficiente e attiva. Ancora di più se si pensa alla mancanza di umanità in chi ha comunicato la salvezza di un superstite, quando invece si trattava di un deceduto. L’elemento di sconcerto più evidente è il divario che ormai si è creato e va sempre più allargandosi fra cittadini e istituzioni: come si fa a credere e ad avere fiducia, se in caso di emergenza, la risposta che perviene è che è tutto falso, inventato? La fiducia si crea nel tempo, nel sapere che se c’è bisogno risponderà un “professionista competente”, che esegue il suo lavoro operativamente ed eticamente e che è stato adeguatamente formato per quello
  • la comunicazione dell’emergenza Rigopiano e dell’allerta per Campotosto riflettono un modello a bolle della comunicazione: ogni singola autorità o istituzione atta a intervenire comunica di per sé, noncurante delle altre comunicazioni, non condividendo e non organizzando un messaggio che sia chiaro e di pubblica utilità. Non si tratta quindi della creazione di un flusso di informazioni cognitivamente e operativamente sensate, ma di messaggi distaccati fra loro per tempistica e contrari a ogni logica di senso nei contenuti. Eppure innumerevoli progetti nazionali ed europei sono stati finanziati per studiare precisamente delle linee guida e dei principi, per una efficace e resiliente comunicazione del rischio, della crisi, dell’emergenza e del disastro. Il dramma è che tutto questo non è mai servito: sono solo report di ricerca pubblicati per un circolo chiuso di esperti o appassionati, che non avranno mai il “privilegio” di poter trasferire quanto emerso dalle ricerche, nell’ambito istituzionale e operativo. Un altro divario si presenta ovvero quello fra studiosi, esperti e rappresentanti istituzionali, due mondi apparentemente distanti, che invece dovrebbero trovare un metodo di collaborazione tralasciando bandiere politiche di qualsivoglia vessillo.

Velocemente la tragedia occorsa all’Hotel Rigopiano e quella minacciata dalla diga di Campotosto si stanno eclissando dalle pagine dei mass media. Il dramma professionale, per chi si occupa di queste tematiche, è sapere che per i prossimi venti e più anni si ascolterà ancora inesorabilmente la domanda: “chi comunica in emergenza? e “chi comunica la crisi?”, constatando tristemente che alcuni morti potevano essere evitati e che invece altri ve ne saranno.