Saif al-‘Adl nuovo leader di Al-Qaeda: prime considerazioni – by Sara Brzuszkiewicz

Risale a due giorni fa la conferma da parte del Dipartimento di Stato statunitense di quanto asserito poco prima dalle Nazioni Unite: Saif al-‘Adl, situato in Iran, è l’attuale leader di Al-Qaeda. Il report dell’Onu spiega che l’idea dominante proveniente dalle intelligence dei Paesi membri è proprio che sia al-‘Adl, egiziano di 62 anni, il successore di Ayman al-Zawahiri.

Tre aspetti di questa notizia sono particolarmente interessanti: la chiara appartenenza di al-‘Adl alla vecchia guardia Al-Qaeda, il fatto che si trovi da anni in Iran, e la mancata ufficializzazione da parte del gruppo del nuovo leader.

Saif al-Adel: la vecchia scuola di Al-Qaeda

Il primo aspetto cruciale per comprendere il significato di questa scelta è il fatto che Saif al-‘Adl sia un esponente dell’old guard qaedista.

Il sessantaduenne è un ex tenente colonnello delle Forze Speciali egiziane il quale, abbracciata la causa jihadista, sembra avere contribuito all’accrescimento delle capacità operative del gruppo, anche addestrando alcuni degli attentatori dell’11 settembre mentre era già ricercato in relazione agli attentati contro le ambasciate statunitensi a Dar es Salam e Nairobi del 7 agosto 1998.

Nato nel governatorato di Menufiya, a nord del Cairo, Saif è la vecchia scuola di Al-Qaeda: egiziano, del nord, con un passato militare, ricorda da vicino il profilo tipico non tanto della Gam’a al-Islamiya (Gruppo Islamico), storicamente più legata al sud del Paese e alla sua identità sai’di, come si dice in Egitto, bensì del Jihad Islamy (Jihad Islamico Egiziano), altro movimento jihadista che nel 1981 fu responsabile dell’assassinio di Anwar al-Sadat e che storicamente ha fatto della sua anima urbana e del quasi totale disinteresse per altre forme di azione (da’wa, assistenza sul territorio) le sue cifre distintive.

Fu proprio questo nucleo radicale dai connotati piuttosto omogenei a compiere il passaggio epocale dal jihad nazionale, contro i propri governanti empi e secolarizzati, al jihad globale, contro il Nemico Lontano rappresentato dagli Stati Uniti e dai loro alleati.

Questa generazione di jihadisti rappresenta una delle fasi più interessanti del fenomeno, che gradualmente, tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta del secolo scorso, cessò di sostenere che La Strada per Gerusalemme passa innanzitutto dal Cairo – come era solito dire Al-Zawahiri, ed iniziò ad internazionalizzare il jihad con strategie, azioni e narrazioni inedite.

Ayman al-Zawahiri proveniva dal medesimo humus socio-culturale, a dimostrazione di come ad oggi Al-Qaeda opti per la continuità, per un auspicato consolidamento e non certo per un’espansione innovativa per la quale con tutta probabilità non è ancora pronta.

Al-Qaeda e l’Iran

Nel confermare la presenza in Iran del presunto nuovo leader di AQ, il Dipartimento di Stato non ha esitato a definirla un’ulteriore indicazione del supporto iraniano per il terrorismo internazionale e dell’azione di destabilizzazione regionale in cui è impegnato il Paese.

Più interessante è leggere la presenza del nuovo leader qaedista in Iran nel quadro di una sorta di istituzionalizzazione degli attori terroristici in una guerra che è sempre più ibrida. In altre parole, Al-Qaeda sembra oggi avere, pressoché ufficialmente, la protezione di un regime politicamente identificabile.

Un terzo elemento legato al fatto che al-‘Adl sia in Iran è di matrice confessionale: per la prima volta l’organizzazione primaria del terrorismo sunnita ha il proprio leader nel cuore del territorio sciita.

Questo suggerisce un richiamo al desiderio di Al-Qaeda di affermare la propria leadership persino al di là della spaccatura Sunniti-Sciiti. Inevitabile interpretare questo aspetto come un’ulteriore presa di distanza dal rivale Stato Islamico, il quale ha costruito la propria identità tanto sul Far Enemy – l’Occidente e i kuffar – quanto sul Near Enemy – minoranze non musulmane nella regione e sciiti.

Pur essendo Al-Qaeda quintessenza del jihadismo sunnita infatti, l’odio anti-sciita qaedista non ha mai raggiunto la stessa intensità di quello di Daesh.

Il silenzio di Al-Qaeda

Il terzo punto fondamentale da tenere in considerazione è il fatto che Al-Qaeda non abbia ancora riconosciuto ufficialmente il nuovo leader – e nemmeno la morte del precedente, Ayman al-Zawahiri.

La spiegazione di questi silenzi risiede nell’imbarazzante situazione in cui si trova al-Qaeda nel rapporto coi Talebani, i quali negano che l’Afghanistan funga da safe heaven per figure qaediste e, al tempo stesso, con la conferma della morte di al-Zawahiri dimostrerebbero ancora una volta di avere serissimi problemi di controllo del proprio territorio.

In secondo luogo, il silenzio sembra essere legato al ruolo dell’Iran nella questione. Se infatti, come detto sopra, il supporto iraniano si riallaccia a un’utopia panislamista che avvantaggia al-Qaeda su altri attori – Daesh in primis, anche dal punto di vista simbolico, dall’altro solleva questioni tanto teologiche quanto operative legate al bisogno di un supporto sciita che renderebbero ad oggi tale scelta invisa ancora a molti nella galassia radicale jihadista.