Zawahiri, 9/11 e lo spartiacque di al-Qaeda – by Daniele Plebani

L’11 settembre 2021 la casa mediatica qaedista al-Sahab ha diffuso un videomessaggio di Ayman al Zawahiri dal titolo “Jerusalem will not be judaized – part 1: arab zionist from Faysal to Bin Zaid”. Lungo più di 60 minuti, il video consente al medico egiziano di toccare diverse corde della narrativa jihadista per rilanciare quel progetto politico-militare che sinora gli è sfuggito: creare quel “capitale umano” dedito alla lotta generazionale, facendo di tutti i campi di battaglia di AQ un unico fronte. A sostegno di tale visione, Zawahiri si avvale anche di parole e videomessaggi di altre figure apicali della “Rete” e celebra i “martiri” della causa caduti in tutto il globo: tra questi al Shamrani, giovane saudita autore dell’attacco alla base militare statunitense a Pensacola il 6 dicembre 2019, e il gruppo d’assalto che ha violato la base di Manda Bay in Kenya nel gennaio 2020. Altro spazio ancora è riservato alla leadership locale stroncata dagli occidentali come Abu Musab Abdel Wadoud e Qasim al Raymi, emiri di rispettivamente di AQIM e AQAP.

Il fulcro del messaggio tuttavia si concentra sulla questione palestinese, non sull’Afghanistan né sulle celebrazioni per il 9/11. Questo approccio scardina le aspettative soprattutto occidentali, acclimatate in questo da anni di comunicazione del gruppo Stato Islamico, scandendo un diverso ritmo nella comunicazione forse asincrono rispetto alla stessa audience qaedista. Al di là dei contenuti storico-cospirazionisti, in questo messaggio si possono individuare diversi elementi di interesse sia puntuali che generali:

  • Zawahiri sarebbe vivo al primo gennaio 2021, avendo citato un attacco contro le forze russe avvenuto in quel giorno a Tel Saman;
  • il videomessaggio è stato assemblato probabilmente in tempi diversi ma rilanciato volutamente in occasione del 9/11;
  • il 10 settembre il prodotto è stato anticipato della diffusione di uno scritto di 852 pagine a firma del medico egiziano intitolato “Reflections on political corruption and its effects on the history of the Muslims – volume 1”.

L’intreccio di questi elementi con quanto sopra riportato permette di elaborare alcune considerazioni:

  1. la generalità del messaggio. Grandi assenti, se non per poche battute, sono il ricorrere del 9/11 e la vittoria talebana. L’hype generato da questi fatti ha creato diverse aspettative verso “l’uomo saggio della Shura” anche per sapere dove AQ intenda posizionarsi in futuro. Bisogna emulare i Talebani, puntare alla conquista del territorio o proseguire come fatto sinora? Zawahiri, come si vedrà, tenterà di incanalare tali energie verso un altro focus;
  2. prudenza. Si può ben credere che Zawahiri in questo primo passo non desideri lanciarsi in una lode incondizionata dei Talebani e vari alleati ma che voglia adottare un approccio più cinico. Già dieci anni or sono le c.d. “Primavere arabe” erano state salutate da AQ ma gli Stati arabi che ne sono emersi non erano ciò che il medico auspicava, il che ha probabilmente instillato una certa disillusione. Opportuno a tal riguardo notare che i Talebani possono aver vinto ma il loro governo già prospetta rapporti con regimi ritenuti da AQ oppressori dei musulmani o corrotti, come la Russia, senza contare le divisioni interne: una certa cautela da parte di Zawahiri sembra comprensibile.

Come contraltare a tali dubbi viene fornito al tempo stesso un forte supporto per evitare derive e fare dell’Afghanistan sì un esempio ma all’interno della grand strategy dell’egiziano:

  • libro e videomessaggio si concentrano sui pericoli della corruzione che nel tempo ha castrato, secondo la retorica qaedista, gli sforzi e le vittorie musulmane. Ammonendo contro tali rischi, Zawahiri non fornisce certo una “costituzione” politica per Kabul ma definisce chiaramente un perimetro morale e strategico, facendo dell’Afghanistan non un progetto concluso ma una vittoria come altre nella più ampia e lunga guerra per la liberazione delle terre occupate;
  • torna in questo senso e sotto questa luce la questione palestinese, fronte contenuto ma per Zawahiri prisma con cui (far) leggere la lotta qaedista in tutto il mondo. Approccio peraltro già trattato anche in altri prodotti (anche da altri autori) e qui ben espresso nella frase: “[…] la Palestina è il Kashmir, il Kashmir è Grozny, Grozny è Idlib, Idlib è Kashgar, Kashgar è il Waziristan”;
  • per quanto riguarda le modalità di attacco, Zawahiri indica la via degli attacchi inaspettati, dietro le linee (si ripensi, ancora, a Pensacola o Tel Saman) e di attrito che portino a dissanguare militarmente ed economicamente l’avversario. Tali approcci non hanno solo un effetto diretto ma, per il capo di AQ, anche di attrazione: testimonianza di questo sarebbero tra gli altri la conversione delle sorelle “francese e italiana” (con una breve sequenza ritraente Sophie Petronin) come pure dei fratelli “americano e italiano” (questi ultimi citati direttamente in Warren Warrant e Lo Porto). In questo, una volta ancora, Zawahiri si conferma profondo conoscitore della guerra ibrida.

In ultimo, un elemento forse ancora più importante ma poco sottolineato risiede nel fatto che questo video è solo il primo di una serie capitoli che potrebbero fornire ulteriori notizie sulle condizioni di Zawahiri – ad esempio la sua sopravvivenza oltre il primo gennaio 2021 – come pure sulla riconquista dell’Afghanistan e sulla conformazione che Zawahiri intende dare ad AQ. Appare infatti chiaro che dopo la vittoria “territoriale” in Afghanistan al-Qaeda si trovi di fronte a una scelta obbligata e che i prossimi mesi saranno decisivi per la sua evoluzione.