Governare la paura tra rischio, sicurezza e libertà civili. –  by Giacomo Buoncompagni

La paura è una componente ineliminabile della vita dell’uomo e di una nazione. Entrambe sono inclini a seguirla. Ma nelle società democratiche i governi non seguono l’emotività dei gruppi, né ritengono che una generica idea di precauzione possa offrire indicazioni utili sul da farsi.

I governi democratici tengono in considerazione sia i fatti che le paure, ascoltano attentamente ciò che la gente ha da dire poiché rispettano la libertà e vogliono migliorare la vita dei cittadini. E per queste stesse ragioni però, stanno bene attenti a fare in modo che leggi e politiche d’emergenza non replichino (ma  riducano) gli errori a  cui sono esposti i cittadini impauriti.

Ciò non si è verificato e non si verifica sempre allo stesso modo.

 Dopo l’11 settembre, e a seguito dell’avvio della guerra in Iraq nel 2003, l’amministrazione Bush rinchiuse numerosi sospetti terroristi per un lunghissimo periodo nella prigione di Guantanamo. E questo non perché fosse a conoscenza dei veri nomi dei responsabili dell’attacco terroristico alle Twin Towers o perché avesse a sua disposizione informazioni chiare confermate dall’intelligence. Semplicemente si presero delle decisioni politiche applicando quello che viene definito il principio di precauzione. L’idea che esso esprime è che chi stabilisce le regole debba adottare qualche misura (a volte anche piuttosto aggressiva) per neutralizzare danni potenziali, anche quando i meccanismi casuali appaiono poco chiari e non è possibile sapere se i danni si verificheranno davvero. Molto spesso però tale principio risulta incoerente nella sua applicazione, oltre che poco utile, in quanto determina il sorgere di nuovi rischi non ancora presi in considerazione o totalmente inaspettati.

Nel bel mezzo di minacce che provengono dall’esterno sono prevedibili reazioni eccessive da parte della collettività. Spesso le paure della gente prevalgono sulla realtà e le persone difficilmente sembrano preoccuparsi, a volte, anche dei rischi più gravi. In questo senso le paure collettive potrebbero determinare (in-giuste) intrusioni nelle libertà civili.

E dunque è lecito chiedersi: le libertà sono a rischio quando la sicurezza di una nazione è messa a repentaglio?

Le dimensioni da considerare per provare ad elaborare una risposta (sicuramente non esaustiva in questa sede) sono due: quella psicologica e quella politica.

Di fronte a una minaccia un governo preferisce imporre restrizioni di tipo selettivo piuttosto che in modo generalizzato. Ma la selettività determina gravi rischi. Innanzitutto, non tutte le persone avvertiranno allo stesso modo il peso di tali misure, in quanto sarà uno specifico sottogruppo ad essere maggiormente identificabile come destinatario delle restrizioni a quella singola libertà; inoltre, gli ordinari controlli su di esso rischiano di affievolirsi dopo poco tempo e di creare figure e narrazioni di pseudo “eroi”, “vittime” e carnefici”, spesso su evidente suggerimento dei media. Il risultato, in termini di percezione pubblica, saranno misure che non trovano una giustificazione nella realtà. Infatti, quando il peso di alcune limitazioni volute dai governi è sopportato da minoranze identificate invece che dalla maggioranza, il rischio che una decisione presa venga considerata un’azione ingiustificata aumenta notevolmente.

Ciò che appare necessario allora, di fronte a shock collettivi globali, che sia una guerra al terrorismo o una pandemia, è un insieme di salvaguardie che tutelino dall’emergere di ingiustificate forme di conflitto e di etichettamento da un lato, e di restrizioni di libertà, dall’altro. La stessa legittimità dell’azione del governo dipende dalla forza degli argomenti che esso può invocare a suo favore, e non dai flussi di emotività o da applausi di partito.

Se la sicurezza nazionale è davvero in pericolo, essere capaci di argomentare è la vera strategia politica e l’unico strumento per costruire cooperazione tra istituzioni e cittadini. In caso di crisi l’analisi costi-benefici diventa meno promettente, può essere solo un correttivo parziale contro la paura, perché di solito le probabilità di un attacco o di un aumento di contagio non possono essere solo oggetto di stima.

Ma quando un rischio è reale alcune violazioni delle libertà sono tanto inevitabili quanto desiderabili.

L’obiettivo è cercare dunque di sviluppare approcci che contrastino il rischio che la paura, il panico del rischio o la sottovalutazione di quest’ultimo, possano determinare restrizioni delle libertà ingiustificate o portare le stesse istituzioni ad assumere un ruolo per il quale non sono adatte.