Sichuan (Cina): terremoto del 12 maggio 2008 – by Barbara Lucini

Il 12 maggio 2008 alle ore 14.28 (ora locale), la provincia cinese sud-occidentale del Sichuan[1] viene sconvolta da un forte terremoto di 7,8 gradi della scala Richter. Per l’intensità e la forza scaturita è stato classificato fra i terremoti più forti dal 1976. Il Sichuan è una regione molto estesa della Cina, ma soprattutto piuttosto popolata. La sua estensione territoriale uguaglia la Spagna, ma gli abitanti presenti sono il doppio ed appartengono a 53 etnie diverse; l’epicentro del sisma è stato individuato nella contea di Wenchuan[2].

Le stime di alcune agenzie istituzionali locali ed internazionali registrano circa 90.000 morti, ma non sempre è possibile sperare nella correttezza di tale informazione.

L’aspetto più rilevante, per chi si interessa della gestione delle crisi, in questo particolare evento critico è la sovrapposizione fra l’emergenza dettata da un disastro naturale e l’intrecciarsi di una seconda emergenza temporale, quella legata alle attività umane e nello specifico contestuale, agli impianti chimici, che hanno subito la forza di impatto del terremoto stesso.

E’ interessante studiare l’intreccio fra le cause che hanno originato una catastrofe, per meglio comprendere le possibili risposte e gli interventi tecnici, che possono essere attuati nella fase di soccorso ed immediato ripristino.

In questo caso per esempio, dopo l’impatto si è verificata una fuoriuscita di circa 80 tonnellate di ammoniaca presso alcuni impianti chimici della zona, che ha originato una nube tossica consistente e ha reso necessaria l’evacuazione dei residenti presenti.

Oltre a questo agente di impatto collaterale, l’attenzione si è poi rivolta alla “diga delle Tre Gole[3],” ed alla sua tenuta. Infatti in caso di cedimenti oltre al terremoto ed alla distruzione provocata, si sarebbe dovuto affrontare anche l’eventuale inondazione delle regioni vicine alla diga.

L’allarme per le dighe è rimasto comunque alto nei giorni seguenti il terremoto, in quanto si consideravano a rischio inondazioni circa 400 riserve idriche.

Per quanto riguarda l’aspetto comunicativo, si sottolinea il comunicato che il primo ministro cinese Wen Jiabao ha rilasciato, concernente l’appello verso la popolazione alla calma, alla fiducia ed al coraggio, nonché alla necessità di una leadership forte per superare la catastrofe, concludendo con una frase ad affetto: “ce la faremo”.[4]

A tal proposito è indicativo ciò che è accaduto nei giorni seguenti, e che è stato definito “diplomazia post-catastrofe.”[5]

Il governo cinese infatti, ha accettato aiuti dal Giappone e da Taiwan, fatto decisamente innovativo dato i difficili rapporti storici intercorsi fra i tre Paesi, ma che può essere compreso alla luce di alcune considerazioni.

In particolare, il terremoto come ogni evento critico di grande impatto, ha posto l’attenzione del mondo intero verso la Cina, Paese che l’8 agosto avrebbe aperto i tradizionali Giochi Olimpici, e sui quali già era gravitata l’attenzione internazionale, sia da parte degli ambientalisti, che non ritenevano possibile l’esecuzione di alcune gare dato l’elevato tasso di inquinamento, sia dagli attivisti dei diritti umani che chiedevano, prima di ogni altra cosa, il rispetto delle dichiarazioni internazionali in merito.

In questo contesto, un errore diplomatico, avrebbe segnato uno screditamento dell’immagine della Nazione da parte di tutto il mondo, e ciò non era possibile, anche per gli enormi investimenti economici e per i cambiamenti avviati in vista delle Olimpiadi.

Inoltre, nonostante l’intervento dell’esercito, predisposto per interventi di soccorso in caso di catastrofe, dopo circa quattro giorni dal terremoto, si è reso necessario accettare aiuti da partner internazionali, in quanto la situazione è stata valutata più difficile e drammatica, di quanto si pensasse nell’immediato post-evento.

La considerazione circa la mancata efficacia di interventi specifici nel caso del terremoto in Sichuan, così come lo sviluppo della gestione della crisi, ha posto domande circa l’ambito del crisis management e delle sue effettive possibilità di attuazione e deciso miglioramento.

In riferimento a questa tematica, è interessante prendere visione del documento “China’s Action for Disaster Prevention and Reduction,[6]”redatto come si legge nel prologo per specifiche finalità:

 

“…this document has been written to mark the first anniversary of the Wenchuan earthquake and greet China’s first “Disaster Prevention and Reduction Day,” with a review of the endeavors the Chinese government and people have made in disaster prevention and reduction.”

 

In questo ambito è possibile ritrovare un’analisi piuttosto dettagliata delle caratteristiche dell’ambiente e del territorio cinese, prendendo in esame le differenti tipologie di rischio presenti, le altrettanto eterogenee comunità che popolano il Paese, ed i possibili interventi ed azioni, che a più livelli (centrale, provinciale e locale) potrebbero essere messi in atto, per prevenire e/o contrastare gli effetti devastanti di una catastrofe.

I disastri naturali, sui quali si concentra il documento, assumono le caratteristiche di appartenere a differenti tipologie, di essere frequenti (o per lo meno con una frequenza temporale ed incidenza sulla popolazione, maggiore rispetto ad altre aree del mondo), di causare ingenti perdite umane, economiche ed architettoniche.

Inoltre, la distribuzione delle zone di impatto è varia, e molto spesso anche contee vicine possono essere interessate in modo discontinuo.

La considerazione finale, è che questi fenomeni naturali, spesso legati a fattori climatici “anomali”, in parte trovano origine in un cambiamento climatico globale, che è stato posto, insieme ad altri due temi (sviluppo sostenibile e risorse economiche), nella “Economic  and Social Survey of Asia and the Pacific”, come tema principale, con il quale i colossi asiatici contemporanei dovranno confrontarsi.

Il governo cinese, nel primo documento presentato, fissa alcuni obiettivi, che si vorrebbe raggiungere per la gestione complessa delle crisi nazionali, nello specifico dei disastri naturali.

Le attività che si propongono riguardano, in modo delineato le fasi principali, nelle quali si è soliti suddividere l’evoluzione di un evento critico.

Grande attenzione viene posta alla fase di allarme ed in particolare alla messa a punto di un sistema di early warnings, così come alle azioni che si attuano nei momenti successivi di ricostruzione e ripristino.

Altre azioni dovrebbero essere attuate, nei confronti della popolazione e della sua formazione in caso di esposizione a rischi specifici, in particolare si vorrebbe inserire la riduzione al rischio nel sistema scolastico; nel monitoraggio geologico-tecnico di potenziali aree a rischio; nella creazione di squadre di soccorso debitamente formate ed organizzate.

A questo proposito si rifletta sull’articolo di Federico Rampini[7] e sulle sue parole:

 

“…la gran massa dei soldati sono reclute senza esperienza,… sono quasi troppi, se nessuno gli insegna che cosa fare….”

 

Ancora, sempre in merito all’organizzazione cinese della protezione civile:

 

“ …la vera protezione civile si riconosce dalle tute arancione: si notano perché sono pochissimi questi reparti specializzati.”

 

L’attenzione viene inoltre posta, anche a livello comunitario. Si intende infatti, promuovere la creazione ed organizzazione di piani di emergenza, così come l’incremento della consapevolezza, sia all’esposizione al rischio, sia al comportamento in caso di emergenza.

Questo aspetto incide necessariamente, sul particolare sviluppo del senso comunitario e di appartenenza (peraltro diverso da quanto inteso dagli occidentali, con tale concetto), in quanto come prima anticipato, nella sola zona del Sichuan convivono 53 differenti etnie, le quali presumibilmente possiedono differenti significazioni di rischio e della percezione dello stesso.

La scelta quindi, di articolare gli interventi ed organizzare i soccorsi in tre differenti livelli, con altrettanto diverse specializzazioni, riflette il bisogno di coordinare una vasta area geografica con una altrettanto imponente densità abitativa.

E’ noto infatti, che la zone del terremoto del 12 maggio 2008, ha subito un processo di urbanizzazione che ha fatto passare tale territorio da eminentemente rurale ad urbano, in poco tempo.

La cementificazione, viene infatti additata come una delle principali cause delle distruzioni, che si sono avute in seguito all’impatto del terremoto.

Le accuse di avere costruito con materiali scadenti e senza gli adeguati materiali, come i tondini di ferro per il cemento armato, hanno fatto sì che edifici di recente costruzione, in particolare le scuole, crollassero in modo totale.

Come facilmente constatabile, le scuole sono il simbolo di crescita di un Paese, nello specifico della Cina con il suo ostentato e perseguito sviluppo economico e mutamento sociale; il segno che un progresso ed un futuro diverso sono possibili.

Per questo motivo, tutto quello che accade, a livello architettonico, oltre che umano, ha una rilevante eco nella popolazione, che subisce una simile devastazione. E’ bene sottolineare, l’importanza simbolica e di attribuzione di significato, che certi edifici pubblici possiedono, rispetto ad una specifica comunità ed alla geografia del suo territorio.

Ecco quindi, che la stessa definizione del senso del territorio di una popolazione, viene ad assumere due accezioni differenti: una cognitiva-spaziale ed una simbolica-affettiva.

Con la prima, si identifica il territorio con lo spazio fisico,[8] ed in generale con l’attribuzione di significato, riferito in particolare all’utilizzo ed alla organizzazione che gli viene attribuita da parte della popolazione locale e che è stata, in un certo qual modo, negoziata con la stessa comunità.

Con la seconda accezione, il territorio assume una rilevanza diversa e forse anche poco “visibile” e “manipolabile”. Il significato affettivo, che si attribuisce ad un luogo è diverso da singolo a singolo, anche se l’uso per il quale, quello specifico luogo è stato creato, contribuisce in parte, ad una “omogeneizzazione” di significato collettivo, generalmente rispettato.

Si apprende, nel caso del terremoto in questione, che antichi templi, edificati in epoche lontane e con materiali, quali legno ed altri elementi naturali, hanno sopportato l’impatto del terremoto e non subito danni, come invece accaduto per alcuni edifici di recente costruzione.Gli aspetti sociologici implicati a questo proposito, si dipanano lungo due assi, diametralmente opposti e difficilmente non conciliabili: quelli scientifici-ingegneristici-archittetonici e gli altri, definiti simbolici-affettivi.I primi sono comprensibili secondo modelli di analisi di valutazione di impatto della forza sprigionata su costruzioni ed edifici, nonché sulla loro possibile prevedibilità, e la messa a punto di strategie per la prevenzione e la riduzione delle conseguenza nefaste degli eventi critici.

In tale categoria, è possibile ravvisare l’importanza del ruolo degli esperti, e le dinamiche socio-politiche-istituzionali, messe in relazione con i loro interventi.

La gestione della crisi in particolare, dovrebbe prevedere la costituzione e formazione di un gruppo di esperti, le cosiddette task unit emergency o simili[9], ed allo stesso tempo queste persone con forte specializzazione in aree settoriali determinate, dovrebbero produrre delle conoscenze che possano poi, adeguatamente e funzionalmente rielaborate, essere usufruite da un pubblico più vasto e per esteso dalla popolazione in generale: questo come intuibile, risulta particolarmente rilevante nei confronti dei percorsi e moduli di formazione alla popolazione potenzialmente esposta a rischi.  Gli altri aspetti, quelli relativi a simboli ed affettività, possiedono per la maggior parte, una forte invisibilità in quanto appartengono alla sfera dell’appartenenza territoriale simbolica ed affettiva, riferita ad un livello comunitario e/o individuale.

I fattori che vengono socialmente negoziati, riguardano il ruolo e le funzioni che quel determinato spazio comunitario distrutto possiede, o meglio possedeva in termini di attribuzione, all’interno della comunità colpita da evento calamitoso. In questa sfera rientrano il culto delle tradizioni e costumi, nel nostro esempio particolarmente vivo, e quello delle pratiche sociali accettate e mediate collettivamente. Per comprendere meglio tale esemplificazione, si dovrebbe, in un certo qual senso, rovesciare la nostra occidentale scala di valori, che per consuetudine storica vede l’individuo singolo, come depositario del destino e del successo personali,  per giungere ad una visione dove uno è la parte di un tutto e l’importanza maggiore risiede proprio in quel tutto.

Nonostante il processo di globalizzazione, in atto a più livelli, ma comunque presente anche in società maggiormente tradizionali e conservatrici come quelle orientali, il senso di appartenenza comunitaria che possiede il singolo è di gran lunga più esplicito, in atti e comportamenti sociali, rispetto al confronto con le società occidentali.

Tale riflessione, trova posto in questo contesto, in quanto si vorrebbe porre, in modo forse innovativo, l’importanza che il patrimonio culturale ed artistico possiede nella determinazione di una comunità con confini territoriali e simbolici definiti, e nella quale sia quindi possibile identificare chi è in-group e chi è out-group.

Questo tema potrebbe essere approfondito, prendendo in considerazione, la possibile correlazione esistente di tale processo sociale, ed il mutamento sociale, tipico di una società.

L’avvento di una catastrofe infatti, prevede ed implica un mutamento nelle strutture e nei sistemi di relazioni a differenti livelli: istituzionale, societario, comunitario, familiare.

Per definizione un evento critico di qualsiasi tipologia e, indipendente dall’ampia tassonomia disponibile in letteratura, porta con sé disordine, caos e disorientamento: fattori che dovrebbero e potrebbero essere gestiti, secondo precise procedure e strategie contestualizzate nell’ambito e nel contesto di intervento.

Fine di una coordinata e programmata azione di gestione della crisi, dovrebbe quindi essere quella di rielaborare in primo luogo un frame cognitivo, ma anche uno di tipo simbolico-relazionale, che permetta di ricostruire, in una sorta di mappa mentale-emotiva, i propri punti di riferimento: geografici, territoriali, sociali, affettivi, che fungano da basi non discutibili, da cui poter in un primo momento ripartire.

Il passaggio successivo, ma che richiede una elaborazione ed uno sviluppo maggiore del tessuto sociale sul quale si innesta, sarebbe quello di intrecciare i due livelli appena esplicitati per giungere ad un modello complesso di gestione dell’emergenza, che tenga in considerazione tutte le istanza che in esso sono contenute, ed alle quali viene dato voce e diritto riconosciuto di esplicitarsi.

Sarebbe interessante per il futuro del crisis management, poter elaborare mappe territoriali e strategiche dei rischi, unite a quelle di percezione dei medesimi aspetti da parte della popolazione potenzialmente interessata ad uno specifico evento critico.

Il terremoto in questione, e l’elaborazione dei successivi documenti (dei quali uno preso in esame precedentemente), nonostante si faccia menzione di un apparato legislativo in materia, presente già dagli anni’80, hanno dimostrato la mancanza ed i limiti insiti in una scarsa interiorizzazione delle strategie possibili da attuare in situazioni di crisi, soprattutto in relazione ad una strutturata letteratura specifica in disasters management e nello specifico per i natural hazards.

Il documento sembra segnare un momento di cambiamento essenziale, se si pensa al Paese preso in esame: Cina.

Da un lato un colosso economico, tecnologico ed industriale, dall’altro un Paese con ancora molti dubbi in termini di rispetto dei diritti umani, libertà personali (pianificazione e progettazione familiare), libertà di comunicazione.

Molte questioni sono ancora in sospeso e non chiarite e forse non lo saranno per lungo tempo, ma le intenzioni che il governo cinese ha espresso nel post-terremoto, indicano una via precisa, sulla quale intravedere un ’apertura a scambi internazionali in termini di best practices per il crisi management.

Basi tecnologiche da un lato, democrazia istituzionale e libertà di sviluppo della popolazione sono le condizioni e le premesse, senza le quali non è possibile pensare di elaborare un modello negoziato e pianificato con i soggetti istituzionali coinvolti, di gestione delle emergenze complesso.

Lo sviluppo della popolazione e la sua condizione di vita, conducono all’approfondimento di una questione quanto mai attuale, ed in fase di evoluzione come quella dello sviluppo sostenibile; tema questo fortemente sentito dai Paesi dell’Asia ed in particolare dalla Cina, che negli ultimi anni ha assistito ad un massiccio incremento della sua popolazione ed all’aumento del fenomeno dell’urbanizzazione, con i problemi ad essa collegati.

La zona del Sichuan, è un territorio sul quale le dinamiche di sfruttamento ambientale, tipiche del fenomeno dell’industrializzazione e dei processi di globalizzazione contemporanea, potrebbero aver co-determinato profondamente l’impatto del terremoto stesso.

L’alta densità abitativa, concentrata in zone una volta rurali e poco abitate, ha portato come conseguenza diretta, ad una rilevante opera di cementificazione, spesso nel non rispetto dei vincoli legali, determinati per la costruzione edile in zone ad elevato rischio sismico.

Sebbene quindi, anche il cambiamento climatico globale ed altre cause, potrebbero essere annoverate come responsabili dirette ed indirette della forza devastatrice dei disastri naturali, che ogni anno colpiscono la Cina ed alcune regioni in particolare, tali fattori contengono, anche per loro stessa definizione concettuale, un margine di imprevedibilità, che nonostante i progressi tecnologici, difficilmente potrà essere colmato.

L’importante nei contesti di emergenza, è partire da ciò che è conosciuto e noto al momento dell’impatto: pratiche di in-formazione alla popolazione, pubblicizzazione dei migliori comportamenti da mettere in atto, esplorazione della sempre presente vulnerabilità territoriale e della popolazione, contestualizzata secondo precisi rischi possibili; nonché aumento della consapevolezza all’esposizione al rischio ed utilizzo delle best practices da applicare in caso di evento critico, sono allo stato attuale, i migliori strumenti dei quali si può disporre per affrontare la questione dal punto di vista gestionale – operativo.

Il crisis management cinese, sta subendo una forte spinta accelerativa in termini economici, politici, istituzionali e culturali.

Il terremoto del Sichuan costituisce, purtroppo, il momento di apertura verso una sfida gestionale ed operativa per eventi catastrofici, che la Cina dovrà dimostrare di essere in grado di gestire: in relazione alle dimensioni territoriali ed al rischio frammentazione di interventi o replica degli stessi, nell’organizzazione interna dei soccorsi e nella formazione delle squadre preposte a tali interventi, nella partecipazione della popolazione alla consapevolezza dei potenziali rischi ai quali può essere esposta e da ultimo, nelle relazioni e scambi di best practices internazionali che dovranno tenere in debita considerazione la cultura di origine con la quale si andrà a lavorare.

Infine, si auspica che la comunità scientifica ed istituzionale già formate per questi eventi, in altri contesti e Paesi, possa diventare un interlocutore privilegiato, che attivi in modo circolare,  prassi democratiche e di libero sviluppo per la sicurezza di tutte le popolazioni.

Barbara Lucini

[1] Sichuan significa quattro fiumi, nome significativo per indicare la collocazione geografica e geologica del luogo.

[2] Fonte cartina geografica: www.maps-of-china.net

[3] La diga delle Tre Gole può arrivare a contenere fino a 39,3 miliardi di metri cubi di acqua.

[4] Tale dichiarazione è stata rilasciata all’emittente CcTv, il giorno stesso del terremoto.

[5] “Sì storico all’aiuto da Taipei e Tokyo” in Avvenire 16 maggio 2008, p. 4

[6] Fonte: Xinhua News Agency, 11 maggio 2009.

[7] Federico Rampini, Macerie, lacrime, e rabbia, in Repubblica, 15 maggio 2008.

[8] Spazio fisico in senso paesaggistico-naturale e di utilizzo degli spazi stessi.

[9] Questo è uno degli obiettivi, che il governo cinese si sta proponendo in questo periodo, con la pubblicazione del documento prima presentato.