Terrorismo e Stato d’Eccezione – by Marco Boscariol

Un alto numero di studiosi, tra cui spicca Giorgio Agamben, ritiene che l’attuale scenario politico sia dominato da quello che molti definiscono il paradigma dello “stato d’eccezione”. Non pochi autori credono che lo stato d’eccezione giaccia fuori dall’ordine legale e che lo stato di diritto non sia applicabile nella cornice dell’eccezione, esattamente come sottolineato da molti rappresentanti sia dell’ex governo Bush che dell’ex governo Blair (ma anche da teorici del diritto come Bruce Ackerman, Cass Sunstein e Oren Gross). In questo scenario il diritto si mescola con la “nuda vita”, producendo la forma più congeniale allo stato d’eccezione, ovvero il “campo”, esemplificato oggi da Guantanamo Bay.Nella moderna configurazione dello stato d’eccezione le libertà individuali non sono più protette dalle garanzie costituzionali, mentre il potere esecutivo viene ad esercitare un potere via via sempre più avente forza di legge in se stesso, dove la distinzione tra il potere legislativo, esecutivo e giudiziario si fa sempre più sottile, fino a scomparire. È in questo scenario che viene a crearsi la figura dell’homo sacer, un vecchio concetto del diritto romano: un uomo completamente escluso dalla “città degli uomini”, senza nessuno status legale, abbandonato dalla legge ed esposto a qualsiasi minaccia. Proprio secondo Agamben siamo tutti virtualmente homines sacri, ma specialmente una categoria di persone: gli individui accusati di terrorismo o sospettati di attività relazionata al terrorismo.

Nella logica della “war on terror” il sovrano viene definito dal terrorista e viceversa, producendo una violenza governamentale che, ignorando, all’esterno, il diritto internazionale e producendo, all’interno, uno stato d’eccezione permanente, pretende tuttavia di stare ancora applicando il diritto. Nell’era della “biopolitica”, sempre secondo Agamben, esiste una forte solidarietà tra democrazia e totalitarismi, dove questi stessi regimi appaiono indistinguibili e intercambiabili. Qui infatti, nello stato d’eccezione, il fatto si mescola interamente con la norma.Quello che a noi interessa comunque è indagare se lo stato d’eccezione sia uno strumento adatto per combattere il terrorismo. Per incominciare con qualche numero, le riserve costituzionali sullo stato d’emergenza sono diventate molto utilizzate nel ventesimo secolo: nel 1996 almeno 147 paesi hanno fatto uso dello stato d’emergenza, tanto che la promulgazione dello stato d’eccezione è diventata quasi la fonte contemporanea del potere statale. Ma cosa è lo stato d’eccezione? È un periodo in cui la legge è sospesa a causa di un disastro o di una crisi che minaccia la stessa esistenza dello stato e della sua popolazione. Autori come Saint-Bonnet lo hanno definito un “punto di disequilibrio tra il diritto pubblico ed un fatto politico”. La sua struttura è composta di quattro elementi essenziali: il fatto emergenziale, ovvero la situazione che viene a crearsi in opposizione alla “regola”; il giudizio di necessità, cioè la valutazione in merito all’idoneità o e meno dei mezzi per affrontare l’emergenza; la disciplina derogatoria, consistente nella disciplina di dettaglio che deroga a determinati principi; infine i limiti e il controllo. La dichiarazione che costituisce lo stato d’eccezione può al massimo prevedere il soggetto competente a provvedere, ma non può mai prevedere il presupposto e il contenuto della competenza che sono necessariamente illimitati. Come ben espresso da Carl Schmitt in Teologia politica “egli (il sovrano) decide tanto sul fatto se (ma potremo anche dire in cosa) sussista il caso estremo d’eccezione, quanto sul fatto di che cosa si debba fare per superarlo. Egli sta al di fuori dell’ordinamento giuridico normalmente vigente e tuttavia appartiene ad esso poiché a lui tocca la competenza di decidere se la costituzione in toto possa essere sospesa”.

Per riprendere Agamben, lo stato d’eccezione viene definito non tanto come una legge speciale, come la legge di guerra, ma come la sospensione dello stesso ordine giuridico, ovvero il suo limite massimo. In questa maniera lo stato d’eccezione diventa base per qualsiasi nuova forma di diritto. In questo periodo le leggi fondamentali della Costituzione possono essere violate dal potere sovrano, come accadeva nei periodi di guerra e come invece accade oggi sotto la “war on terror”. “Sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione”, chiosava Carl Schmitt in uno dei suoi più famosi passaggi. Nello stato d’eccezione anche alcuni trattati internazionali sui diritti umani possono essere “bypassati” per fronteggiare l’emergenza, in base all’articolo 4 dell’ICCPR (International Covenant on Civil and Political Rights) e all’articolo 15 dell’ECHR (European Convention on Human Rights). La sospensione della legge colpisce le vite degli individui non solo come soggetti politici, ma come esseri umani. In ogni caso alcuni diritti sono inderogabili, come il divieto di tortura, la schiavitù, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione.

Nel contesto globale, l’emergere dell’eccezionalismo aumenta la nostra comprensione delle maggiori misure intraprese dai governi per proteggere l’esistenza biologica ed il benessere della propria popolazione. Sebbene l’idea dello stato d’eccezione è originariamente stata pensata per un’applicazione domestica, oggi la stessa idea si estende a livello internazionale, rendendo labile la distinzione tra interno/esterno, politica interna/relazioni internazionali, ordine/anarchia, fiducia/paura, polizia/militari e amico/nemico. Contrariamente al periodo pre-11 settembre, il punto di svolta delle politiche di sicurezza internazionali post-11 settembre è la prevenzione invece che la difesa contro una ipotetica minaccia terroristica.  In questo senso la prevenzione invalida il diritto internazionale senza dichiararlo apertamente obsoleto. La guerra al terrorismo rimpiazza l’ordine passato con un infinito spazio di eterna sorveglianza, detenzione e prevenzione. Per adesso però iniziamo ad analizzare un caso concreto nazionale come quello francese. La costituzione francese infatti rimane oggi l’unico documento che regola la dichiarazione dello stato d’emergenza.

Lo stato d’emergenza francese

La Francia è stata colpita il 13 novembre 2015 da forti attacchi terroristici dove hanno perso la vita più di 130 civili. Il Presidente francese, François Hollande, ha risposto a questi attacchi dichiarando immediatamente lo stato d’emergenza in tutto il paese in base all’articolo 16 della costituzione e ha poi chiesto una revisione della costituzione in tempi rapidi, che permettesse di agire “in conformità allo stato di diritto, contro il terrorismo e la guerra”. Il primo stato d’emergenza è durato per tre mesi, poi prolungato per altri 11 mesi fino al 15 luglio 2017, dopo la quinta proroga approvata dal Parlamento e dopo ulteriori attacchi terroristici come la strage di Nizza del 14 luglio 2016, rendendo questo lo stato d’eccezione più lungo dai tempi della guerra in Algeria degli anni 50’. Il 18 novembre 2015 l’84% dei francesi intervistati in un sondaggio IFOP erano pronti ad “accettare ulteriori misure di controllo e un certo grado di limitazione della (propria) libertà”. Si assiste dunque a una curiosa forma di accettazione democratica della restrizione della libertà democratica.

Lo stato d’emergenza ha toccato varie sfere del diritto, dalla messa al bando di manifestazioni pubbliche, alla possibilità per la polizia di ricercare individui nelle loro case senza un mandato. Altre misure sono state la sospensione dell’habeas corpus e il bloccaggio di alcuni siti web. Lo stato d’emergenza ha poi dato poteri speciali ai prefetti, permette misure di coprifuoco, interrompe la libera circolazione e consente inoltre il controllo dei mezzi d’informazione. A questo si sono aggiunte dichiarazioni dell’allora Primo Ministro Manuel Valls, che ha dichiarato la sua intenzione di protrarre lo stato d’emergenza finché la guerra globale contro l’ISIS non cesserà.

Questo persistente “eccezionalismo” ha movimentato l’opposizione nel paese, guidata da ONG come Amnesty International e Human Rights Watch e culminata in sede delle Nazioni Unite, dove la Francia è stata sanzionata verbalmente per le sue eccessive e sproporzionate misure restrittive dei diritti umani. In tutto il periodo d’emergenza infatti si è assistito ad un incremento dei poteri del Presidente e degli apparati di sicurezza come la polizia, capaci di sospendere la legge e intraprendere misure straordinarie, come l’arresto di sospettati senza un giusto processo, sulla falsa riga di quanto successo a Guantanamo o Abu Ghraib. L’arresto senza giusto processo fa cadere l’impianto di diritto dominante, l’habeas corpus, producendo una indistinzione tra vita privata e vita politica, tra zoe e bios. In questo stato d’eccezione, la distinzione tra cittadini e immigrati si fa labile, soprattutto dopo alcuni provvedimenti che prevedevano il ritiro della nazionalità francese per i cittadini sospettati di terrorismo, mossa che virtualmente porta a trasformare questo gruppo di individui in “nude vite”, sempre per citare Agamben.

La legislazione d’eccezione riduce gli strumenti di limitazione del potere, riducendo per esempio il ruolo del Parlamento: anche se obbligato a consultarlo, infatti il Presidente può decidere in autonomia dell’applicazione dell’articolo 16. Il potere della magistratura è in egual misura limitato, in quanto le garanzie procedurali vengono ridotte con il trasferimento delle prerogative della magistratura ai prefetti, come nel caso della “misura amministrativa” dell’obbligo di dimora. Come spiega Saint-Bonnet, “in linea di principio, qualunque limitazione alla libertà non può avere carattere preventivo e può essere ordinata soltanto da un giudice, guardiano delle libertà individuali, non da un prefetto”. Sempre secondo il giurista francese, la strada da percorrere sarebbe invece quella della costruzione ex nihilo di una tipologia specifica di diritto applicabile ai terroristi jihadisti, senza però che in questo modo si inquinino il diritto penale da una parte e quello internazionale dall’altra. Lo stato d’emergenza si è infatti concluso con una nuova legge antiterrorismo che l’attuale Capo di Stato Emmanuel Macron ha presentato davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo, normalizzando molte delle misure previste dallo stato di emergenza e inserendole nel normale diritto pubblico. Mossa questa che ha prodotto nuove critiche da parte dell’Onu, mettendo in guardia la Francia da eventuali rischi per l’integrità della protezione dei diritti umani e la stigmatizzazione di alcune comunità, come quella musulmana e quella più generale dei migranti.

Lo stato d’emergenza sembra aver comunque prodotto pochi risultati concreti. La sproporzione tra le limitazioni allo stato di diritto e i risultati ottenuti è enorme: infatti in soli cinque casi le perquisizioni svolte hanno dato luogo a un’inchiesta giudiziaria. Durante il primo anno, l’80% dei controlli non ha portato a nessun arresto, riscontrando perlopiù crimini minori. Va inoltre notato che né l’assassino di Nizza né quello dei due poliziotti uccisi a Magnanville erano stati toccati dai provvedimenti introdotti dallo stato d’emergenza. Inoltre il principale attentato sviato in Francia dal 13 novembre 2015 – quello che stava preparando Reda Kriket, arrestato il 24 maggio 2016 – è stato sventato grazie ai metodi giudiziari e di polizia classici, senza rapporto con lo stato d’emergenza. Lo stesso rapporto della commissione d’inchiesta conclude che “lo stato di emergenza e l’operazione militare Sentinella hanno avuto una portata limitata sulla sicurezza nazionale”.

Di parere diverso è il Ministro dell’Interno Gérard Collomb, che in un’intervista rilasciata al settimanale L’Express ha difeso il bilancio delle misure di urgenza adottate, fornendo per la prima volta una serie di cifre: 32 attentati sventati, 4457 perquisizioni amministrative e 625 armi sequestrate. Inoltre ad oggi in Francia 11 luoghi di culto restano chiusi e 41 persone si trovano ancora in detenzione domiciliare per sospetta radicalizzazione.

Difficile dire con assoluta certezza chi abbia ragione sull’efficacia dello stato d’eccezione, ma vero altresì che con la riforma sull’antiterrorismo Macron è riuscito a sbloccare lo stallo istituzionale che si era creato. Quello che preoccupa è che però lo stato d’eccezione non sembra in realtà terminare mai, almeno nell’inconscio collettivo: se è vero che il 57% dei francesi si è dichiarato favorevole alle misure contenute nel testo, il 62% ha stimato che la legge avrà la “tendenza a deteriorare le libertà”.

La mancanza di un accordo a livello internazionale sulla definizione di terrorismo significa che nell’attivazione dello stato d’emergenza gli stati hanno diritto di decidere non solo quando un’azione terroristica minaccia la vita della nazione, ma anche cosa è una vera minaccia terroristica. Infatti molte volte è difficile valutare se un atto è puramente criminale o sia un’azione terroristica. Stesso discorso riguardo all’eccezionalità dell’evento terroristico, la sua imminenza ed il principio della limitazione della durata dello stato d’emergenza e la sua necessità. Rimane dunque ancora attuale il pensiero di Giorgio Agamben: “Uno stato che ha la sicurezza come sola funzione e fonte di legittimità è un organismo fragile; può essere sempre provocato dal terrorismo per diventare esso stesso terroristico”.