Armi da fuoco fai-da-te: un futuro vicino? – by Gabriele Mori

“Domattina il sole brillerà, gli ucelli canteranno e chiunque sarà in grado di scaricare legalmente istruzioni per stampare in 3D un arma di plastica integralmente funzionante, incluso un AR-15, un’arma da guerra: cosa mai potrà andare storto?”Esordiva in questo modo, ieri, la CNN riferendosi al sito web del 30enne texano Cody Wilson, fondatore di Defense Distributed, una organizzazione no profit che sviluppa e pubblica progetti virtuali per la costruzione di armi le cui componenti verrebbero create materialmente dagli utenti usufruitori tramite stampante 3D.

Dopo anni di battaglie legali la Defense Distributed era riuscita ad ottenere il permesso, dallo stato del Texas, di poter pubblicare, in data d’oggi (1 agosto 2018), le istruzioni per il montaggio di diverse armi da fuoco e i relativi file CAD – Computer Aided Drafting. Questi file contengono rappresentazioni grafiche digitali delle componenti delle armi da stampare e, successivamente, da assemblare (così come mostra l’immagine seguente, presa dal sito dell’organizzazione).

Negli ultimi giorni però l’autorità giuridica di altri stati americani si è mobilitata per arrestare nuovamente il processo di divulgazione di questi materiali.

In questa sede, ciò che importa è che si sia giunti ad una possibilità tremendamente concreta: a prescindere che l’attuazione avvenga oggi, tra un mese o tra un anno è necessario riflettere sui risvolti che una scelta simile potrebbe avere in termini di sicurezza collettiva (tenendo comunque a mente che file di questo tipo già circolano nel deep web).

Il progresso tecnologico molto spesso genera un gap con quello normativo-culturale richiedendo alla norma sociale e giuridica un adattamento più o meno rapido a ciò che, per quanto rallentabile, si configura spesso come inevitabile.

La domanda che deve sorgere è quindi: saremmo stati pronti e lo saremo quando sarà il momento?

In questo caso il ritardo reattivo del processo normativo-culturale rispetto a quello tecnologico è osservabile anche da un altro punto di vista: la divulgazione di modelli 3D per la fabbricazione di armi, se anche fosse ritenuta accettata dalla cultura e leggi texane, avrebbe un impatto fuori dai confini statali. È chiaro che questa evenienza ci pone di fronte ad un altro problema di gestione delle nuove tecnologie, ovvero il rapporto, ancora non sufficientemente regolato e controllato, che c’è tra i confini nazionali e i non-confini del web.

Proseguendo il discorso sulle armi mettiamo la questione in prospettiva rispetto alla possibilità del “fai-da-te” su questi oggetti. In questi termini ci sarebbero diverse problematiche con le quale fare i conti.

La prima si sostanzia nel fatto che l’autoproduzione di un arma conduce alla maggior fruibilità da parte di chiunque dell’arma stessa. Comprare un’arma da fuoco, sia legalmente che illegalmente, comporta una serie di impedimenti: formali nel primo caso, tra costi e controlli statali, ed informali nel secondo, dal momento in cui accedere a determinati network di vendita illegale, siano essi fisici o digitali, implica la costruzione di rapporti di fiducia e tutti i rischi derivanti dalla relazione criminale. Stampare un’arma in casa, bypassando sia governo che crimine organizzato, rende l’ottenimento dell’oggetto di gran lunga più semplice.

Non solo, la semplicità è data, in parte, dai costi: il materiale per creare una pistola 3D ha prezzi nettamente inferiori a quello della stessa arma sul mercato legale e quello nero.

C’è un “ma”: le stampanti 3D sono molto costose, tendenzialmente più di una singola arma tradizionale (ossia non stampata). Ma quanto tempo ancora ci vorrà perché queste – com’è successo per i pc prima e per i droni poi – diventino una tecnologia alla portata di tutti? E anche se non fosse così, bisogna pensare anche all’evenienza di una piccola cellula criminale/terroristica che divida la spesa per una stampante 3D e si autoproduca le armi. In questo modo anche un piccolissimo gruppo sarebbe in grado di armarsi silenziosamente e in modo relativamente economico, senza la necessità di entrare in contatto con attori terzi (se non con normalissimi canali legali per l’acquisto di beni attraverso i quali è possibile, nella totale legalità, non lasciare alcun tipo di traccia).

Una seconda problematica è quella del difficile monitoraggio dell’arma da parte dello stato; e questo per due ragioni:

  • Le armi 3D, essendo fatte in casa, sfuggono alle maglie della burocratizzazione statale, perché, non avendo per loro natura un numero di matricola, non verrebbero registrate;
  • Queste, essendo composte quasi interamente da polimeri plastici, sfuggirebbero ai controlli dei metal detector.

La prima caratteristica ha portato le armi 3D ad ottenere l’appellativo di “ghost gun“, armi fantasma. È chiaro però che all’emento “fantasma” contribuisca grandemente la mancata rilevazione della plastica dai metal detector. Si immagini far passare un oggetto del genere dentro uno stadio affollato o oltre i controlli dell’aeroporto.

Il fenomeno della stampa 3D non va osservato solo come fatto a sé stante, va letto in connessione a dinamiche sociali e ad altre tecnologie, anche se in via ipotetica.

Un esempio è quello costituito da un possibile terzo livello nel mercato delle armi. Laddove il primo è quello legale e il secondo è quello illecito, una nuova fetta di mercato potrebbe essere occupata dal commercio di armi da stampa 3D (ma anche di oggetti di uso duale creati allo stesso modo). Tale mercato, pensandolo anche capitalizzato da produttori di massa, potrebbe rappresentare una scelta che abbatte il prezzo del prodotto finale per i bassi costi di produzione. Non solo, un’arma illegale si riconosce facilmente perché è tendenzialmente sprovvista della documentazione correlata oltre che del numero di matricola. Le forze dell’ordine sarebbero addestrate a riconoscere dei pezzi di plastica come le componenti di un’arma? E, anche riconoscendoli, come dovrebbero comportarsi di fronte ad un oggetto che non è legalmente rilevabile in qualità di arma?

Ciò che si diceva poc’anzi sul concetto di ghost gun in relazione ai metal detector non varrebbe solo nei termini della semplice detenzione individuale ma anche nell’ambito del traffico illecito di questi oggetti. Uno scenario del genere vedrebbe ridotti i rischi imposti dal trasporto e pertanto i relativi costi del bene.

Un altro esempio di uso combinato di tecnologie si sostanzia dell’assemblaggio di parti autoprodotte con le stampanti 3D e pezzi di armi tradizionali. In questo modo perfino una pistola da segnalazione o un’arma “replica” inoffensiva potrebbe diventare un’arma da fuoco letale. Non solo, in America, nonostante sia illegale rimpiazzare un certo numero di parti metalliche di un’arma al fine di renderla invisibile ai metal detector, una scappattoia nella legge non impedirebbe la sostituzione delle componenti che recano le matrici dell’arma rendendola di fatto invisibile agli occhi del governo e non più riconducibile al proprietario.

ITSTIME ha spesso scritto dell’eventualità di minaccia terroristica a mezzo di droni (usare la parola “droni” nella ricerca del sito). La stampa 3D potrebbe facilitare l’autoproduzione di componenti degli aeromobili a pilotaggio remoto? Certo, la sensoristica, le componenti elettroniche e motorizzate andrebbero acquisite a parte, ma tutto la restante parte strutturale potrebbe essere auto-prodotta.

Non solo, la stampa 3D verrebbe anche impiegata per la fabbricazione di involucri per esplosivi – cosa che è già stata fatta – potendo per altro sceglierne forma e dimensione per una maggiore adattabilità a diversi contesti.

In conclusione…

Come ogni mezzo in mano al genere umano la tecnologia non è da considerarsi né buona né cattiva in sé ma è il suo impiego che può essere benefico o malevolo. Solo conoscendola a pieno e cercando di prevedere gli infiniti risvolti sociali che una novità comporta – qualunque essa sia e specialmente tecnologica! – possiamo anticipare le possibili minacce alla sicurezza pubblica. In questo senso bisogna pensare in anticipo, creativamente e empaticamente rispetto all’impiego anomalo e deviante di qualsiasi strumento.

Siamo in un’era di democratizzazione tecnologica, dove la tecnologia è sempre più alla portata di tutti, sempre più liberalizzata, sempre più libera.

Ma si sa, c’è da stare in guardia: libertà e sicurezza non sono sempre andate d’amore e d’accordo.