Daesh è arrivato a San Bernardino?…forse non importa – by Alessandro Burato

14 morti e 17 feriti è il bilancio della sparatoria avvenuta mercoledì 2 dicembre a San Bernardino. La questione dei motivi che hanno portato Syed Farook, 28 anni e Tashfeen Malik, 27, a compierla è ancora aperta. Si stanno battendo tutte le piste: dalla vendetta, a un vero e proprio atto di terrorismo e ad una via di compromesso tra le due. La volontà di Syed di sfogare la sua insoddisfazione sul luogo di lavoro, forse in concomitanza allo sviluppo di un processo di radicalizzazione, lo avrebbe portato, insieme alla sua compagna, ad irrompere nelle struttura sparando a raffica e piazzando esplosivi che sono rimasti inesplosi.

Innanzitutto sarà interessante, nel caso non sia un attacco di stampo terroristico, capire quale ruolo può avere avuto il processo di radicalizzazione nella pianificazione dell’attacco. È probabile, in questo caso, che la propaganda per i combattenti abbia fornito a Syed spunti per la realizzazione dell’arsenale di cui è stato travato in possesso? La rete inizia a parlare di somiglianze tra i tubi bomba trovati nell’abitazione e quelli illustrati dai tutorial di Inspire (AQ)…

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Ad ogni modo, a prescindere dall’effettivo sfondo terroristico, del quale anche il Presidente Obama fa solo menzione, la campagna mediatica di Daesh non poteva che approfittare dell’evento. Con “Leoni che ci rendono orgogliosi: l’America sta bruciando” accompagnato dall’hashtag #America_Burning Daesh insinua il dubbio della propria mano dietro all’attacco riproponendo quello che avevamo definito come l’inversione dell’onere della prova. Starà all’FBI dimostrare quali fossero i legami tra i criminali e il gruppo terroristico (si parla di un viaggio in Arabia Saudita, di radicalizzazione online), quali fossero le loro intenzioni. Intanto la bandierina nera è stata messa anche su un attacco avvenuto in suolo americano.

Nella strategia comunicativa di Daesh questo episodio può essere di supporto anche in un secondo modo, per una probabile strategia più ampia: la scelta del target. È noto che il terrorismo sia comunicazione, una comunicazione che mira a destabilizzare la quotidianità, il vissuto di ognuno delle sue vittime indirette. Lavoro, divertimento, salute e educazione sono le sfere che quotidianamente intersecano la nostra vita e colpire li, significa mettere a segno un duro colpo alla “normalità”. La redazione di Charlie Hebdo, luogo di lavoro; Rezgui a Susa nel resort, turismo; Parigi, 7 punti di divertimento, Resort a Bamako, turismo; ora anche il centro di assistenza per disabili (sanità) si aggiunge alle sfere intaccate dal nero.

La guerra ibrida è confermata: la pervasività, la diffusione e la delocalizzazione anche solo della paternità degli attacchi, scelti e sostenuti secondo una strategia probabilmente premeditata per ragioni propagandistiche, conferma ancora di più quanto l’aspetto comunicativo prevalga sempre sulla realtà del fatto. La cosa fondamentale è che non è utile sapere se effettivamente Daesh abbia armato la mano o la mente degli assalitori, il solo fatto che lo abbia detto è già di per sé un atto che cambia la percezione dell’evento.