Guerre future: la nuova centralità dell’intelligence e la ridefinizione dello spazio cibernetico – by Marco Lombardi

Un recente rapporto[1] del CNAS – Center for a New American Security[2] sull’evoluzione delle nuove forme di warfare ha messo l’attenzione su quelli che potremmo definire come gli inevitabili sviluppi della Guerra Ibrida, nel contesto conflittuale globale e reticolarizzato[3]. Si tratta di una visione di “guerra futura” interessante, da cui prendo spunto per una riflessione più ampia su alcuni aspetti emergenti del warfare.

La Guerra Ibrida, più volte definita come pervasiva, delocalizzata e diffusa, aveva già introdotto sia il tema della complessità, conseguente il moltiplicarsi degli attori, sia il tema del caos, conseguente l’incoerenza delle regole rispetto alla situazione, sia il tema della comunicazione, i cui asset sono centrali nelle strategie del conflitto. Il think tank americano, che ha sottolineato i caratteri delle future guerre emersi attraverso una serie di war game su numerosi scenari, suggerisce una significativa continuità con quei caratteri della Guerra Ibrida. Il conflitto futuro viene descritto come il confronto tra avversari che si misurano attraverso le rispettive piattaforme dei sistemi informativi e i processi cognitivi di comando, in quello che è chiamato il nuovo “confronto tecno-cognitivo”. Questa forma di guerra sottolinea la compresenza strategica di sistemi tecnologici capaci di gestire grandi quantità di informazioni e di funzioni cognitive dedicate ai processi decisionali di comando: il confine tra guerra e pace è sempre meno evidente, non è identificabile rispetto all’uso di strumenti e tecnologie dedicate ma, soprattutto, rispetto a un uso diverso di quegli strumenti e tecnologie. Come si è già visto in questi ultimi decenni, lo scenario di guerra è ormai caratterizzato più che dagli strumenti, dalle finalità con cui si usano gli strumenti: questo è esplicitato nelle problematiche del cosiddetto dual-use, ma non è ancora un dato sufficientemente consapevole per poter essere generalizzato a tante pratiche della quotidianità.

Il paradigma della Guerra Ibrida, che aveva suggerito la persistenza di una Terza Guerra Mondiale in corso, aveva anticipato la prospettiva del techno-cognitive confrontation sottolineando la centralità della comunicazione nel warfare, evidenziata dalla sua autonomia rispetto alle altre armi: oggi la comunicazione non è corollario a un’azione di guerra ma è essa una azione di guerra.

Proprio per questa primazia della comunicazione, nel mondo reticolarizzatto e iperconnesso, è opportuno cominciare considerare la persistenza di uno stato conflittuale da governare in continuum, che si esprime nel confronto tecno-cognitivo tra attori concorrenti. Questa forma di conflitto sarà percepita dal “pubblico” nella sua forma mediata, cioè per gli effetti indiretti che avrà sulla quotidianità prodotti dall’annientamento delle piattaforme di comunicazione e delle capacità di interpretazione e comando, organizzata in una guerra di flusso (continua) che i combattenti cercheranno di gestire all’interno di campi limitati, che esploderà in maniera fragorosa superando limiti di soglia più alti, rispetto agli attuali, ma più fragili.

Nella mia lettura, questo scenario, è caratterizzato, oltre che dalla permanenza, dalla variazione di velocità dei processi, che dunque richiederanno iper-rapidità nella presa di decisioni, e dalla enorme complessità dovuta all’aumento dell’informazione, ormai costituita da frammenti di bit correlati.

Un’azione di adeguamento, neppure preventiva perché ormai i processi sono attivi, per governare efficacemente questo conflitto deve ripensare il ruolo dell’intelligence e considerare lo spazio cibernetico come lo spazio di un nuovo ecosistema.

La necessità di considerare un nuovo ecosistema è sottolineata dalla definizione di techno-cognitive confrontation che ricorda la compresenza funzionale della dimensione tecnologica e di quella tipicamente umana della conoscenza e interpretazione: esse superano la sintesi contenuta nell’idea di sistema socio-tecnico, per affermare quella più recente di eco-sistema, aggiungo, digitale: siamo nel nuovo mondo dove si riduce la distanza con il cyborg e la dicotomia tra reale e virtuale è abbandonata.

Questo mondo, eco-sistema digitale, è la realtà del presente in cui si manifesta la forma di conflitto a cui dobbiamo abituarci.

La nuova centralità dell’intelligence è inevitabile in questa prospettiva di asset tecnologici per la comunicazione e di interpretazione delle informazioni funzionale alla presa di decisione: essa, l’intelligence, si configura come nuova Arma, non solo come servizio alla Armi. Ma per questo il suo ruolo deve essere declinato in maniera adeguata alle nuove necessità interpretative di processi sempre più accelerati, caratteristica del tempo presente e caratteristica di ogni situazione di stress, che richiedono maggiore rapidità nel prendere decisioni: oggi dobbiamo parlare di “simultaneità decisionale efficiente”, cioè di una decisione presa in estrema prossimità dell’evento. Purtroppo, questo non è così semplice né ha a che fare solo con la rapidità con cui si tramettono le informazioni: piuttosto ha a che fare con il processo interpretativo che necessita della consapevolezza della sua attuazione, nelle premesse e nelle conclusioni, per distinguersi dalla semplice reazione automatica all’evento. La nuova intelligence deve essere in grado di interpretare a rapidissima velocità una quantità sempre maggiore di informazioni per supportare decisioni consapevoli, in uno scenario di progressiva incertezza.

La domanda è come si ottiene questa capacità di simultaneità decisionale efficiente, intesa come una super velocità cognitiva e interpretativa, laddove esplode la compresenza di oggetti significativi: meno tempo, più segni “che hanno senso”, più relazioni tra le parti, più modelli interpretativi possibili. La risposta non può che indirizzarsi verso linee organizzative e strumentali.

Sul piano organizzativo, considerando la strategia di degradazione degli apparati decisionali in contesto di turbolenza (incertezza), bisognerà garantirne sia la sopravvivenza sia la varietà. Ciò significa superare lo schema della ridondanza, per inaugurare quello della contemporaneità di centri decisionali che hanno le medesime funzioni, in competizione funzionale alla sopravvivenza del risultato (decisione) più adeguato. Possiamo leggere questo modello in coerenza con il tema della reticolarizzazione che suggerisce, a fronte di un mondo sempre più frammentato ma connesso, la questione della governance delle diversità.

Sul piano strumentale, trovandosi nella condizione di dover gestire molti dati (aspetto quantitativo) e un’ampia una varietà di modelli interpretativi (aspetto qualitativo), avendo la necessità di aumentare la velocità del “processo decisionale consapevole” posizionandolo a ridosso dell’evento che reclama la decisione, significa sviluppare strumenti di supporto di Intelligenza Artificiale: acceleratori dei processi cognitivi umani, che sono irrinunciabili. Ciò, nel contesto del nuovo eco-sistema digitale, ci porta a superare quanto troppo spesso si pensa come novità: la SocMInt (Social Media Intelligence)[4], ancorata a piattaforme comunicative obsolete e la Virtual Humint[5], che ancora considera sussistente la contrapposizione tra virtuale e reale. E’ urgente il ricorso alla Digital Humint[6], utile per la relazione con i nativi digitali e, soprattutto, si comincia a intravedere il futuro della Techno Humint, che incorpora attori intelligenti ibridi tra i partecipanti al conflitto.

E’ evidente che questo scenario sollecita una riflessione sul cyber spazio, ma in una accezione che chiede di andare oltre la sola dimensione strutturale con la quale si guarda, quasi con esclusività, allo spazio cibernetico.

Indubbiamente ci troviamo in un momento in cui parlare di cyber è banale, per la frequenza con cui si affronta l’argomento. E allora, proprio per questo, sottolineo come la maggior parte dei discorsi ruotano pericolosamente soprattutto attorno alla dimensione infrastrutturale e tecnologica in senso stretto: la preoccupazione è quella di avere delle infrastrutture resilienti, capaci di sopravvivere agli attacchi e, magari, di rispondere.

Ma questo aspetto, strumentale, strutturale, perimetrale, del cyber si concentra solo su una faccia della medaglia: non vedo dibattito sull’altra faccia!

Lo scenario del conflitto futuro finora delineato, il tema del techno-cognitive confrontation, esalta il ruolo del digitale. La capacità che esso ha di fare transitare e trattare enormi quantità di informazioni massimizza il rischio che, bloccando l’infrastruttura si metta in crisi la catena decisionale.

Ma questo è solo un aspetto in cui può declinarsi la minaccia.

L’altro, a cui gli ultimi dieci anni di terrorismo dovrebbero averci abituato, è lo scontro che avviene sfruttando e utilizzando il nuovo ecosistema digitale della comunicazione: in molti casi, si è già dimostrato, è controproducente attaccare l’infrastruttura che regge lo spazio cibernetico ma conviene penetrarla utilizzandola “ai limiti delle opportunità” per modificare i piani cognitivi e interpretativi sui cui si basa sia la presa di decisioni sia la produzione del consenso dell’avversario.

Significa utilizzare il cyber per distribuire informazione “utile al nemico”.

Il rischio, se si guarda solo a un aspetto (quello tecnologico), è quello di garantire i canali della comunicazione attraverso i quali transitano informazioni utili all’avversario oppure informazioni che mettono in crisi la capacità di prendere decisione nei tempi adeguati. O, al contrario, garantire una infrastruttura infrequentabile, per le restrizioni all’accesso: situazione impossibile da considerare nell’eco-sistema digitale. Non credo di dire nulla di nuovo: la Guerra Ibrida che ha privilegiato gli asset comunicativi non poteva che condurre a questa guerra tecno-cognitiva che caratterizza gli ecosistemi tecno-umani. Anzi, gli aspetti tecnologici passano in secondo piano rispetto a una strategia di saturazione delle capacità cognitive e organizzative del target, perseguibile soprattutto con attività nello spazio cyber, che ci porterà a elaborare una sorta di “Iron Dome Cognitivo”.

In sostanza, lo spazio cibernetico richiede un governo strategico unitario che garantisce infrastrutture resilienti (dimensione tecnologica), aperte (dimensione normativa) e pratiche operative di (de)saturazione cognitiva (intelligence).

 

[1] https://www.cnas.org/publications/reports/more-than-half-the-battle/

[2] https://www.cnas.org/

[3] https://www.sicurezzaterrorismosocieta.it/wp-content/uploads/2019/11/Culture-and-Action_Cultural-Diplomacy-and-Cooperation-Marco-Lombardi.pdf

[4] https://www.sicurezzaterrorismosocieta.it/wp-content/uploads/2015/12/Lombardi_Burato_Maiolino-SicTerSoc_book-6.pdf

[5] https://calhoun.nps.edu/handle/10945/56397

[6] http://gnosis.aisi.gov.it/Gnosis/rivista47.nsf/servnavig/47-36.pdf/$File/47-36.pdf?OpenElement