L’Italia  s’è desta e protesta[1]- By Barbara Lucini

Le proteste che da venerdì 23 Ottobre stanno interessando varie città e paesi in Italia sono il prodotto costruito dalla gestione dell’emergenza in Italia.

Di emergenza infatti ancora si parla: con uno stato di emergenza prorogato a luglio e che, nonostante i margini di intervento nei mesi estivi, non ha prodotto risultati apprezzabili per quanto concerne la gestione della crisi – quale essa è ora – e non di una emergenza, individuata in una durata temporale circoscritta e supportata dall’ampia letteratura di crisis management.

La pressione comunicativa traspare anche dalla scelta delle parole come per esempio “urgenza”, “interventi immediati”, che se potevano essere la cifra stilistica e comunicativa delle prime settimane di diffusione epidemica, ora diventano una ripetizione alla quale pochi prestano attenzione, essendo quest’ultima sempre più indirizzata alla comprensione delle “nuove misure urgenti da adottare per il superamento dell’emergenza.”

La comunicazione della crisi, la scelta delle parole, tempi, strategie, metodi sono fondamentali per la gestione efficace e resiliente di eventi critici, mentre se attuate in modo inadeguato e inopportuno producono effetti negativi e deleteri sulla società colpita. Il risultato ultimo e più drammatico è quello di aggiungere caos e incertezza, producendo un maggiore senso diffuso di disorientamento e impotenza.

Le proteste che sono iniziate da qualche giorno in Italia, in seguito alla decisione di un lockdown parziale finalizzato alla speranza di non essere costretti ad una decisione ancora più stringente, portano alla luce elementi interessanti, quali:

  1. vi è stata una fase di incubazione piuttosto lunga (dove probabilmente hanno agito forme più strutturate di estremismo come Forza Nuova a Napoli) e proprio perché meno visibile e violenta, non ha portato alla considerazione del potenziale rischio;
  2. la violenza si è manifestata in molte piazze italiane, ma non sempre è stata segno di forme di estremismo organizzato. La rabbia e la frustrazione sociale sono un fattore di innesco importante per chi sa approfittarsene, cogliendo soprattutto le opportunità determinate da vuoti istituzionali, presenti ben prima della pandemia. In riferimento a questo, è utile ricordare che già durante l’estate, giornalisti e ricercatori stranieri parlavano di lobby delle proteste – concetto differente e semanticamente più adeguato rispetto alle definizioni di professionisti delle proteste o degli scontri[2], categorie queste che verrebbero quindi assunte come legittime e sistematizzate nell’alveo di figure professionali. Questa poca considerazione delle dinamiche citate ha chiarito la scarsa attenzione a processi sociali e comunicativi già presenti da mesi in forme di segnali deboli, poco strutturati ma ben visibili e interpretabili sia online sia offline. In particolare, è mancata la comprensione di fenomeni sociali di polarizzazione, non necessariamente di violenza estremista, che se uniti alle vulnerabilità pregresse dei differenti contesti sociali possono portare alle esplosioni di aggressività di questi giorni;
  3. la generalizzazione degli orientamenti della piazza e l’attribuzione di indirizzi politici estremisti come per esempio il caso di Napoli e di Forza Nuova, può portare ad una scarsa comprensione degli altri aspetti che gravitano intorno alle proteste anti – lockdown. Come ad esempio, il fatto che non tutte le proteste sono caratterizzate da violenza reale, alcune presentano atteggiamenti aggressivi che non raggiungono però il livello di violenza agìta.

Da una prospettiva culturale in queste proteste è possibile notare un alto livello di commistione,[3] osservabile dalla partecipazione di appartenenti a gruppi più estremisti (destra, sinistra, ultras), ma anche dalla presenza di cittadini comuni provati da misure on – demand,  da una carente gestione della crisi e da una inefficace comunicazione istituzionale e giornalistica della crisi.

Inoltre, gli studi più recenti sui movimenti sociali e le proteste globali supportano la riflessione che molto spesso, le proteste non presentano coerenze ideologiche identificabili in modo sistematico: la ricerca forzata di questo collegamento è un ulteriore elemento di debolezza interpretativa.

Sottodimensionare la complessità socio – culturale di queste proteste, significa decidere di interpretarle solo da un’unica posizione, probabilmente quella che si considera vincente,  dimenticando gli effetti che tali manifestazioni più o meno violente, possono generare a livello sociale e politico.

In un quadro più ampio, queste proteste sono comprensibili alla luce della mancanza di un piano unitario nazionale nella gestione di questa pandemia: è venuta meno una visione d’insieme che avrebbe permesso di produrre interventi efficaci e duraturi nel tempo, così come è stata assente la conoscenza dei processi collettivi, sociali pregressi e la considerazione degli effetti a cascata e interdipendenti, promossi dalle scelte attuate per gestire una crisi.

Per quanto concerne il chiaro fallimento delle attuali linee di gestione della pandemia, le parole di Diamond (2005)[4] chiariscono la questione: “vi propongo, invece, di esaminare insieme una serie di fattori che potrebbero essere alla base del fallimento. Li dividerò in quattro categorie, qui delineate per sommi capi: il gruppo non riesce a prevedere il sopraggiungere del problema; non si accorge che il problema esiste; se ne accorge ma non prova a risolverlo; cerca di risolverlo ma non ci riesce”.

E’ proprio avendo in mente questa prospettiva, che le proteste di questi giorni non stupiscono, perché sono il risultato e l’effetto delle decisioni comunicative e di gestione dell’emergenza, percepite come inadeguate rispetto alla complessità del fenomeno in essere.

Le attuali forme di protesta dovrebbero essere analizzate lungo un continuum, che consideri sia gli elementi estremisti, a volte loro stessi promotori delle proteste, sia coloro i quali partecipano in modo non violento, per dissentire sulle linee intraprese per gestire la pandemia.

Questa identificazione necessita di un ulteriore approfondimento, circa il ruolo che riveste in un contesto di così forte complessità, il delicatissimo rapporto fra cittadini e agenzie di Law Enforcement.

Infine, queste proteste sono indicatori di due situazioni fondamentali da comprendere se si vuole perseguire il fine di governare una crisi: da un lato la necessità di capire perché forme più o meno organizzate della varia compagine di estremismi abbia trovato spazio di azione violenta e/o sia diventata dapprima catalizzatore del malcontento e poi attivatore di proteste violente; dall’altro lato il bisogno, ora urgente, di gestire l’attuale crisi profonda secondo indirizzi comunicativi chiari e metodologie resilienti, che permettano il superamento della criticità nel rispetto delle libertà individuali e dei principi democratici.

[1] This article is part of the empirical findings that the author will use during the effort of the COVID-19 and Viral Violence Working Group (National Science Foundation funded Social Science Extreme Events Research-SSEER Network& CONVERGE/Natural Hazards Center at the University of Colorado Boulder, https://converge.colorado.edu/resources/covid-19/working-groups/issues-impacts-recovery/covid-19-and-viral-violence). This COVID-19 Working Group effort was supported by the National Science Foundation-funded Social Science Extreme Events Research (SSEER) network and the CONVERGE facility at the Natural Hazards Center at the University of Colorado Boulder (NSF Award #1841338). Any opinions, findings, and conclusions or recommendations expressed in this material are those of the authors and do not necessarily reflect the views of the NSF, SSEER, or CONVERGE.

[2] https://affaritaliani.it/coffee/video/politica/conte-attenzione-ai-professionisti-delle-proteste-a-infiltrazioni.html ; https://www.corriere.it/cronache/20_ottobre_27/scontri-covid-infliltrati-viminale-7266dcec-1826-11eb-8b6a-8e17b1e81f26.shtml

[3] Lucini, B. (2017), The Other Side of Resilience to Terrorism A Portrait of a Resilient-Healthy City”, Springer International Publishing Switzerland

[4] Diamond, J. (2005), Collasso Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi, Torino