Terrorismo islamista: Francia sotto pressione – by G. Giacalone, M. Lombardi, M. Maiolino

La linea del tempo

La barbara uccisione del docente di educazione civica, Samuel Paty, mostra una serie di fattori dei quali non si può non tener conto se si vuole andare oltre cronache e sensazionalismi per capire in che direzione si sta evolvendo il terrorismo di stampo islamista in Europa e in particolare in Francia. Nel Paese transalpino gli attentati sono infatti ripresi dopo un periodo di silenzio e curiosamente in concomitanza con la politica di contrasto di Macron sul piano interno contro l’islamismo politico e a livello internazionale contro l’espansionismo di Erdogan nel Mediterraneo.

La chiarezza è amica dell’analisi; la situazione in Francia è volatile, il Covid-19 monta nel paese, e l’attuale escalation, per essere compresa, necessita di uno sforzo finalizzato a riordinare gli eventi significativi che hanno caratterizzato le ultime settimane:

Alla fine di agosto il governo francese, attraverso il ministro dell’interno Gerald Darmanin, ha fatto il punto sulla minaccia jihadista in Francia, sottolineando che essa resta “a un livello estremamente alto”, e che “Il rischio terroristico di origine sunnita rimane la principale minaccia che il nostro Paese sta affrontando”[1]. Ha inoltre affermato che nel paese le autorità hanno sventato 61 attentati a partire dal 2013, dei quali 32 dal 2017 e uno su vasta scala nel gennaio 2020, che sono 8.132 gli estremisti inseriti in Francia nella lista di soggetti sotto sorveglianza e a rischio di tendenze terroristiche, e che a questi si aggiungono 505 detenuti legati al Daesh e “702 detenuti comuni suscettibili di radicalizzazione”[2];

Il 1° settembre la rivista satirica Charlie Hebdo ha ripubblicato le caricature di Maometto che l’hanno resa bersaglio del terrorismo jihadista[3].

Il 2 settembre scorso si è aperto a Parigi il processo a 14 imputati accusati di favoreggiamento nei confronti degli autori degli attacchi alla redazione di Charlie Hebdo e al supermercato Hyper Cacher del gennaio 2015[4];

Il 25 settembre scorso Zaheer Hassan Mahmoud ha attaccato a colpi di mannaia due impiegati di Premières Lignes Television davanti alla ex sede di Charlie Hebdo. La rivista satirica è stata nuovamente bersaglio e l’attentatore ha motivato l’attacco come un gesto di ribellione contro gli insulti al Profeta. Tale azione violenta è il culmine di un climax fatto di proteste per la ripubblicazione delle vignette, sia on che off-line, in Francia così come in altri paesi, e di minacce diffuse in rete anche dalla propaganda jihadista ufficiale e spontanea.

Il 02 ottobre il Presidente francese Emmanuel Macron ha parlato alla Nazione evidenziando la problematica del separatismo islamista. Nella difesa, a spada tratta, della laicità dello stato francese e dei suoi principi fondanti, che vengono posti al di sopra di qualsiasi particolarismo, ha denunciato il rigetto e la posizione antagonistica della variegata rappresentanza islamista francese nei confronti dello Stato, delle sue regole e dei suoi principi fondanti; ha poi annunciato un’azione di contrasto decisa e intransigente.

Il 16 ottobre l’insegnante Samuel Paty è stato decapitato da Abdoullakh Abuyezidvich Anzorov fuori dall’istituto scolastico dove insegnava a Conflans-Sainte-Honorine. Anche questo attacco è il risultato di una serie di eventi iniziata con l’insegnante che ha mostrato le caricature di Maometto alla classe durante una lezione di educazione civica, continuata con consecutive e crescenti proteste sia in rete che non, e sfociata nell’atto violento. Quest’ultimo superato dal rilancio della propaganda jihadista spontanea ed ufficiale, dalle minacce al giornale La Nouvelle Republique per aver pubblicato una delle caricature di Maometto di Charlie Hebdo, e dalla messa sotto protezione delle moschee di Bordeaux e Beziers per via dei messaggi di odio e delle minacce ricevute via social media[5].

Il 22 ottobre una donna con indosso il burqa e diverse borse al seguito avrebbe gridato ‘Allah Akbar’ e, ripetutamente, “vi faccio saltare in aria” alla stazione di Lione ‘Part-Dieu’. A quanto si apprende, isolata e fermata dalle autorità, che hanno evacuato la stazione, non sarebbe stata trovata in possesso di esplosivi[6].

Se una concatenazione operativa e strategica tra questi episodi che non è né dimostrabile né ipotizzabile, appare tuttavia evidente una relazione forte tra tutti che è ancora più preoccupante perché sotto intende una sedimentazione culturale del terrorismo islamista nel Paese transalpino, la cui consapevolezza della esposizione alla minaccia comincia ad emergere e a “movimentare” le dinamiche istituzionali.

Certamente l’indegno assassinio di Samuel Paty ha contribuito significativamente a stimolare coscienze e a rilanciare paure.

Le dinamiche di una rete informale ma terribilmente efficace

Al di là della cronaca che narra, la riflessione mostra come le dinamiche che hanno portato all’uccisione di Samuel Paty risultino per sottolineare una serie di attori di differente tipologia ma che hanno tra loro interagito e svolto ciascuno un ruolo preciso nel “piano d’attacco”.

Un piano d’attacco magari improvvisato, spontaneo, non studiato a tavolino, ma che ha comunque mostrato la sua efficacia.

In primis abbiamo un’intensa parte propagandistica di istigazione contro il docente, perpetrata sul web sia dal predicatore islamista Sefrioui che da Brahim Chnina (il padre dell’allieva di Paty). In questo caso sono state coinvolte anche associazioni di stampo islamista (le già citate).

Nel contempo le indagini indicano dei contatti tra Chnina e il 18enne killer ceceno che ha trovato sostegno in alcuni amici che lo avrebbero accompagnato a comprare il pugnale di 30cm col quale ha poi decapitato il docente e che lo avrebbero portato in auto presso la scuola dove insegnava Paty.

E’ qui che secondo le ricostruzioni, Anzorov avrebbe avvicinato due studenti di 14 e 15 anni offrendo loro circa 350 euro per farsi indicare Paty. Il ceceno era tra l’altro pronto al martirio visto che era anche dotato di arma ad aria compressa con la quale ha puntato gli agenti giunti in loco (e tentando anche un’aggressione col coltello), facendosi così abbattere all’istante.

Per quanto riguarda il processo di radicalizzazione di Anzorov, pare sia stato piuttosto rapido, almeno secondo quanto dichiarato dai suoi amici che indicano un periodo di tempo di pochi mesi, caratterizzati da isolamento auto-indotto, cambio di vestiario (più “tradizionale”), frequentazione assidua in moschea (quale?) e affermazioni in sostegno del jihad e del Daesh.

C’è poi tutta la parte dei social che ha svolto un ruolo fondamentale sia nella fase d’istigazione precedente all’attacco, con post e filmati che hanno martellato il web ma anche immediatamente dopo l’omicidio, con il killer che ha subito pubblicato sul proprio account di Twitter la foto raccapricciante della testa mozzata di Paty. L’assassino è inoltre stato celebrato su Instagram dall’account salafita daghestano “dyx_dagestanca” che lo ha citato col nome “Abdullakh al-Shishani” e indicato come “difensore dell’onore di Maometto”. Elogi sono arrivati in rete anche da parte di sostenitori di al-Qaeda e del Daesh.

Siamo insomma ben lontani da quel terrorismo islamista di fine anni ’90 e della prima decade del 2000, quando erano le organizzazioni jihadiste strutturate a mietere vittime. Del resto il terrorismo islamista è mutevole, dinamico, adattabile e sa cogliere le nuove opportunità, incluse quelle offerte dai media e da un modus operandi improvvisato ma non per questo meno letale, anzi, al contrario, più difficile da individuare e prevenire.

Un’altra considerazione riguarda l’attentatore che non può certo essere definito “lupo solitario”, termine oramai obsoleto (e comunque inadeguato). Anzorov ha potuto godere di ampio sostegno logistico, informativo e mediatico. Un sostegno che, come già detto, differisce da vecchie dinamiche che caratterizzavano gli attentati di 20 anni fa, più informale, ma altrettanto problematico.

Il coinvolgimento dell’Islamismo politico

Col passare dei giorni e con l’approfondimento delle indagini risulta sempre più evidente come nell’uccisione di Paty vi sia anche un coinvolgimento propagandistico di quell’islamismo politico che è purtroppo divenuto da anni ormai una costante presenza in Europa e che a livello internazionale è oggi sostenuto da Turchia e Qatar.

Non a caso le autorità francesi hanno annunciato la chiusura di una serie di associazioni islamiste tra cui Le Collectif contre l’islamophobie en France (CCIF), il BarakaCity e il Collectif Sheikh Yasin, quest’ultimo fondato nel 2004 in onore del fondatore di Hamas, braccio palestinese dei Fratelli Musulmani, dal predicatore franco-marocchino Abdelhakim Sefrioui, uno degli arrestati degli scorsi giorni per l’omicidio del docente. Sefrioui, già classificato con Fiche S” dall’antiterrorismo transalpino, è infatti accusato di aver istigato sul web alla mobilitazione contro Paty e di essersi anche presentato a scuola assieme a Brahim Chnina, padre di una delle allieve presenti alla lezione dove il docente ha mostrato le caricature di Charlie Hebdo. Secondo le ricostruzioni dell’antiterrorismo, Chnina “vanta” una sorellastra in Siria nelle file del Daesh ed è anche risultato in contatto via Whatsapp con il killer ceceno Abdullakh Anzorov, prima dell’omicidio. Chnina è anche accusato di aver pubblicato sul web informazioni personali del docente, tra cui il numero di telefono.

Le autorità di Parigi hanno poi reso noto che Chnina si è rivolto al CCIF che ha a sua volta messo in atto (anch’esso) una campagna denigratoria contro Paty. Del resto capita spesso che queste “associazioni contro l’islamofobia” vadano ben oltre i limiti mettendo in atto vere e proprie azioni intimidatorie, sia sul piano legale (il cosiddetto “jihad da tribunale”, sempre meno efficace ultimamente) che su quello dei social contro chi osa criticare l’Islam (e che potremmo chiamare “social media jihad”). Nel caso di Paty è proprio quest’ultimo ad aver contribuito in maniera importante al suo assassinio.

Numerosi post comparsi sui social in seguito all’omicidio di Paty mostrano tra l’altro un preoccupante numero di utenti islamisti residenti in Europa che sostengono o quanto meno non disdegnano atti punitivi contro chi “osa” criticare l’Islam; qualcuno arriva addirittura a chiedere che le autorità europee emanino leggi che proibiscano di criticare o fare satira alla religione (l’Islam in questo caso), una visione totalmente in contrasto con i valori della democrazia e della libertà di espressione che caratterizzano la civiltà europea ed occidentale in generale.

 

L’ ultimo atto terrorista (per ora) di Parigi, la sua violenza sanguinaria, oggi sembra essere solo il contorno della nostra quotidianità assalita dal virus e è il substrato che alimenta intimamente i comportamenti di tanti. In tal senso, non dobbiamo perdere la consapevolezza delle minacce che sono sempre presenti: la guardia resta alta.

Il terrorismo islamista è ormai radicato e infiltrato nella quotidianità: in Francia perde la testa per una vignetta. Il Califfato sopravvive nelle famiglie, nelle cerchie di amici, nei propri “clan”, dove la radicalizzazione non è più un processo in corso ma un risultato conseguito e stabilizzante in termini di identità.

E’ necessario interpretare il terrorismo adeguandosi alla sua “normalità” piuttosto che alla sua “eccezionalità” in determinati contesti. A cominciare dal considerare un atto di terrorismo per gli effetti che esso genera non per le sue motivazioni. E questa prospettiva deve essere la prima nel giudizio, rispetto alle stesse condizioni personali del terrorista. Ogni attacco che sia diretto a modificare con la violenza, promuovendo il terrore, non solo i valori fondanti la nostra cultura è società, cioè quei valori in cui comunemente ci riconosciamo, ma anche i comportamenti che si fondano su quei valori fondanti, è un atto di terrorismo.

Si dirà che il terrorista è giovane, straniero, delle banlieue e, dunque, appartenente alle fasce marginalizzate e deboli della società: le più bisognose di aiuto. Considerazioni utili per avviare pratiche di prevenzione al fine di evitare la radicalizzazione violenta di questi soggetti, maggiormente esposti. Ma considerazioni del tutto inutili per giudicare il comportamento messo in atto da un terrorista.

È oramai evidente come vi sia un serio problema che riguarda un’ideologia, quella dell’islamismo (politico e militante) che è incompatibile con i valori europei e che genera soltanto problemi. Macron ha ragione quando dice di voler contrastare quest’ideologia, ma forse ci si è mossi fuori tempo e tale linea dovrebbe essere abbracciata dall’Europa tutta, perché le premesse non sono affatto buone.

Purtroppo, si può essere certi, che se l’emergenza covid-19 passerà, il conflitto legato al terrorismo in cui si esprime la radicalizzazione violenta continuerà.

 

[1] https://www.analisidifesa.it/2020/09/piu-di-8mila-i-potenziali-terroristi-islamici-in-francia/

[2] Ibidem

[3] https://www.repubblica.it/esteri/2020/09/01/news/charlie_hebdo_ripubblica_le_caricature_su_maometto_non_chineremo_mai_la_testa_-265967720/

[4] https://it.euronews.com/2020/09/02/parigi-comincia-il-processo-per-la-strage-al-charlie-hebdo

[5] https://www.reuters.com/article/france-security-mosques/update-1-mosques-in-two-french-cities-under-police-protection-after-threats-idUSL8N2HC3ON

[6] https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Media-donna-grida-Allah-Akbar-e-minaccia-di-farsi-esplodere-nella-stazione-Lione-4a8902ce-4f26-48c7-8609-7e8c7bba0d85.html