Terrorismo Biologico: strategia comunicativa o reale minaccia? – by Nicolò Spagna

Il gruppo autonomo Abdullah al-Faqeer ideologicamente affiliato al califfato ha iniziato la diffusione di materiale propagandistico su Telegram che persegue il filone narrativo del bio-terrorismo. Il video diffuso nell’ultima settimana invita i supporter del califfato in tutto il mondo a sostenere la jihad adottando una nuova arma: le epidemie. Ne segue una descrizione (apparentemente accurata) dei principali agenti patogeni che potrebbero essere utilizzati a tale scopo, come ad esempio la Salmonella Typhi (tifo), Hantavirus e il virus del colera, oltre che alcune accortezze da seguire per la messa a punto dell’arma in maniera sicura.

Quando si accosta il terrorismo jihadista alle armi di distruzione di massa, CBRN (chimico, biologico, radiologico e nucleare) le reazioni sono principalmente di paura e allo stesso tempo scetticismo.

Proviamo a razionalizzare la questione a prescindere dalla dimensione mediatica. Innanzitutto è possibile identificare un concreto interesse da parte dei terroristi nel voler sperimentare questa frontiera nella jihad. Considerando nello specifico il bio-terrorismo vi sono diverse evidenze in relazione a questa volontà.

Nell’agosto 2014, il comandante dei ribelli siriani Abu Ali ritrovò in un nascondiglio del califfato situato nella provincia di Idlib un computer contenente 146 gigabyte di materiale. Tra questi emerse un documento riguardante lo sviluppo di armi biologiche per la diffusione della peste bubbonica e istruzioni su come testare l’arma in maniera sicura prima dell’utilizzo [i].

Nel gennaio 2016, un report dell’intelligence turca rivelò un’analisi che mostrava la volontà di membri del Daesh di contaminare le acque potabili in Turchia con il batterio della Francisella Tularensis che causa la Tularemia (anche denominata la febbre dei conigli)[ii].

Nel febbraio 2016 venne smantellata in Marocco una cellula di terroristi affiliata al Daesh in possesso di armi biologiche che, come affermò il  Ministro degli Interni del Marocco, era pronta a compiere attacchi su larga scala:

“Some of the seized substances are classified by international or­ganisations that specialise in health issues as falling within the category of biological weapons, dangerous for their capacity to paralyse and destroy the nervous system and cause death. […] members of the cell sought to carry out a series of separate and concurrent terror­ist attacks on sensitive targets, including hotels and public institu­tions”[iii].

Il 25 marzo 2016[iv] successivamente agli attentati di Bruxelles venne catturato Abderahmane Ameroud (parte della cellula coordinata da Reda Kriket) nel quartiere di Schaerbeek in Belgio. L’arrestato stava trasportando all’interno dello zaino materiale biologico animale (escrementi e testicoli) che potevano essere utilizzati per lo sviluppo di una infezione seppur non ad ampio spettro.

Tutti questi eventi evidenziano una volontà dell’utilizzo di questa tipologia di arma da parte dei terroristi. Ma la volontà non è sufficiente.

Quanto è realmente fattibile la messa a punto di materiale biologico infetto “armato” per scopi offensivi?

É evidente che per la definizione di un’arma così specifica siano necessarie competenze altrettanto specifiche. In altre parole, il know-how è fondamentale e ancor più un luogo adatto e la strumentazione necessaria per operare. Anche la fase di maneggio della eventuale arma biologica non sarebbe semplice, quindi rappresenterebbe uno stesso rischio per il potenziale attentatore. Ma in questa direzione secondo un approccio think forward il caso estremo di operazione Istishadi (martirio) che potrebbe esser messa in atto una volta ottenuto il materiale biologico è l’auto-contagio (untore) e la successiva diffusione dell’infezione all’interno di luoghi molto affollati e ad alta mobilità per aumentare le probabilità di diffusione di una epidemia. Per questo il monitoraggio dovrebbe principalmente avvenire a monte nei confronti di tutti quei luoghi come università, centri di ricerca e laboratori che per loro natura funzionale potrebbero detenere materiale biologico già “pronto all’uso”. In questa direzione a rischio risultano essere ad esempio gli impianti idrici delle città, tramite i quali possono essere diffuse velocemente alcune tipologie di infezioni.

Il terrorismo biologico in questo momento rappresenta un po’ un catalizzatore per la dimensione comunicativa jihadista che giace da un po’ di tempo in una fase di attività molto instabile e frammentata. Questo elemento di novità sicuramente produce lo stesso effetto che ha un grosso sasso lanciato in mezzo allo stagno. Propagandare l’utilizzo di un’arma silenziosa e facilmente occultabile come il biologico è in linea con un califfato che oramai e tutt’altro che rumoroso e che (soprav)vive principalmente di un lascito strategico ed operativo precedente cercando di intensificare il più possibile gli effetti degli strumenti mediatici a disposizione dalla dimensione comunicativa jihadista.

Al fianco delle armi da fuoco, delle armi bianche, del fuoco, dei mezzi di trasporto scagliati contro la folla, dei deragliamenti dei treni la bandierina è stata posta anche sull’arma biologica.

Quali sono i principali effetti che è capace di generare questo tipo di propaganda?

L’effetto che si genera con questa narrativa è duplice:

  1. Un’instabilità sociale prodotta da un potenziale aumento della paura dal punto di vista percettivo, o al contrario una negazione di qualsiasi possibilità di avveramento dell’evento in quanto estremo e impossibile nell’immaginario collettivo secondo senso comune;
  2. Una maggior suscettibilità ad una qualsiasi situazione epidemica (dolosa o non dolosa) che nel caso in cui dovesse manifestarsi può essere ulteriormente enfatizzata proprio perchè accompagnata da una minaccia terroristica precedente, portando così ad un maggior senso di vulnerabilità. Un semplice caso di infezione di Legionella come quello che si è verificato in provincia di Milano[v] (Bresso) da essere un “semplice” caso isolato generatosi per una concomitanza di variabili, può generare una situazione di panico qual’ora il terrorismo biologico della quotidianità entri nella visione collettiva come è accaduto per i vehicle-ramming attacks.

Inoltre, è fondamentale sottolineare che dal punto di vista della paternità di un attentato di questo genere il califfato (volutamente o meno) si è garantito la possibilità di rivendicare una qualsiasi epidemia di qualsiasi ordine e grado. Il processo di inversione dell’onere della prova ampiamento sperimentato e utilizzato in passato per reclamare la paternità di attentati terroristici passati da parte del Daesh sicuramente giocherebbe a favore in questa dinamica.

[i] http://www.dailymail.co.uk/news/article-2737639/ISIS-laptop-reveals-terror-group-working-biological-weapon-spread-bubonic-plague.html

[ii] http://outbreaknewstoday.com/isis-and-bioterrorism-tularemia-planned-use-in-turkeys-water-67823/

[iii] https://thearabweekly.com/isis-cell-planned-biological-attack-morocco

[iv] https://www.timesofisrael.com/belgian-terror-suspect-found-with-biological-material-during-arrest/

[v] http://www.ilgiornale.it/news/cronache/allarme-legionella-bresso-ora-i-contagiati-sono-33-1558908.html